ESERCIZI PER “COMBATTERE” I DOLORI DA SOVRACCARICO FUNZIONALE

Attenzione a quel “combattere” virgolettato nel titolo. Con la parola “combattere” intendo dire che con certi esercizi ben studiati proviamo a mettere a punto un’arma per combattere gli innumerevoli dolori da sovraccarico funzionale che assalgono chi pratica sport in modo sistematico e con una certa continuità. Anche sulla parola dolore ci sarebbe da fermarsi un attimo nel senso che con una cavillosità che forse non rispetta nemmeno la lingua italiana distinguerei fra “dolori” ed “algia”, dove per i primi intendiamo i singoli episodi di una patologia che continua a proporci episodi di dolore che ci impediscono o ci rendono comunque disagevole la pratica sportiva mentre con il termine “algia” (e questa potrebbe essere anche pura astrazione…) intendiamo l’insieme di quegli episodi che tendono a verificarsi quando c’è una patologia infiammatoria in corso. E’ chiaro che combattere l’algia nel suo insieme è impresa ben più ardua che provare a contenere il dolore nei singoli episodi nel quale esso si manifesta ed evidentemente per combattere la prima in senso lato sarà proprio opportuno tentare di risolvere il problema infiammatorio, risolvere la patologia che è alla base dell’algia. Un tendine infiammato può facilmente dare dolore, se si disinfiamma il dolore automaticamente sparisce. Può restare infiammato e non dare dolore oppure darne in modo non eccessivamente limitante e ciò può avvenire “grazie” (grazie un corno in questo caso direi io e poi spiego perché…) all’impiego di farmaci analgesici che sopprimono il dolore anche se non risolvono l’infiammazione oppure anche “grazie” (e questo grazie a volte può essere anche un “grazie” sincero) all’adozione di strategie di allenamento che hanno la funzione di contenere il numero e la qualità di questi episodi di dolore.

Perché il mio “grazie” (e qui tiro l’acqua al mio mulino) è più sincero, pur fra mille distinguo, nei confronti delle strategie che si servono di esercizi mirati a contenere il dolore che non rispetto alla spesso forte e, per certi versi risolutiva, analgesia che si riesce ad ottenere con l’impiego di alcuni farmaci? Perché nel caso dei farmaci analgesici, lasciamo perdere il discorso relativo ai farmaci antinfiammatori che è più complesso, l’analgesia è benedetta nel senso che fa respirare il paziente che per il tempo di analgesia garantito da quel farmaco non sente nulla o quasi nulla a seconda della potenza dell’azione di analgesia ma poi, quando l’effetto passa, tutto torna come prima se non peggio. A quel punto, se il paziente vuole di nuovo “non” sentire dolore, deve farsi un’altra dose di farmaco e questo comporta in primis il fatto di sorbirsi tutti gli effetti collaterali (e non sono pochi…) di quel farmaco e poi il fatto che quel farmaco non fa certamente i miracoli e l’effetto analgesico tende a diminuire man mano che si prosegue con la sua utilizzazione per quello stramaledetto problema dell’assuefazione che ci fa pensare che meno farmaci si usano e meglio è perché quel giorno che ne abbiamo bisogno davvero va a finire che non funzionano più perchè ci siamo assuefatti in modo drammatico. Mi spiego con un esempio pratico che chiarisce il concetto più di tanti discorsi teorici. Se un soggetto si piglia un analgesico perché ha una periartrite di spalla che non lo fa dormire di notte e pur di non perdere il sonno e non essere costretto a ricorrere a farmaci ansiolitici (altra categoria di farmaci che te la raccomando e purtroppo gli italiani ne abusano come se fossero caramelle e non c’è nessuna pubblicità per televisione che dice “Smettetela di usare ansiolitici per niente che vi rovinate la salute…”) si piglia la pastiglietta miracolosa che toglie il dolore per un po’ di ore, mi spiace per quel personaggio, gli auguro tanto che la periartrite regredisca nella sua gravità “nonostante” (e poi capirete questo altro “nonostante” virgolettato) l’uso di analgesici ma purtroppo non ho niente da scandalizzarmi: nessuno sopporta di buon cuore un dolore forte che ti toglie anche il sonno e si fa di tutto per riposare di notte anche se c’è quello stramaledetto dolore (ci sono pure soggetti che non accettano di stare svegli anche se non hanno nessuno stramaledettissimo dolore ed è per quello che esiste l’abuso di ansiolitici, altri farmaci che danno una forte assuefazione e quando ci caschi dentro sono lotte terribili per venirne fuori) In quel caso l’analgesico fa egregiamente il suo lavoro e può evitare l’impiego di altri farmaci che forse sono anche peggio dell’analgesico. Ma quando il personaggio con l’episodio di periartrite (magari nemmeno molto grave) si piglia l’analgesico per andare a fare la partita a tennis e lo prende proprio prima della partita, così fa la partita anestetizzato, io dico che quello è un autentico pirla anche se è un professionista del tennis anzi forse ancora di più perché rischia di rovinarsi la professione e comunque sono proprio i professionisti ad insegnarci che se per sbaglio devono fare una partita sotto analgesia è un vero e proprio disastro e se sono veri professionisti quella partita se la risparmiamo perché sanno che avranno tempo di rifarsi quando il problema alla spalla è almeno parzialmente risolto e non più in fase acuta.

Pertanto analgesico come farmaco d’emergenza contro il dolore che ti guasta la vita e non contro il dolore che ti guasta lo sport. Per conto mio l’analgesico pigliato per proseguire una pratica sportiva che senza analgesico non si riesce a fare perché guastata da una patologia in atto è un modo di agire paragonabile in tutto e per tutto a quello di chi prende farmaci per migliorare il rendimento sportivo nella piena filosofia del doping, anzi, per certi versi può essere anche meno pericoloso questo secondo modo di agire, ma non inoltriamoci nell’analisi di questo delicatissimo aspetto della farmacologia applicata allo sport per non perderci in discorsi infiniti.

Torniamo alla disputa che a questo punto mi vede sostenitore fortemente motivato nel proporre tutti gli esperimenti possibili in fatto di esercizi per contenere e “combattere” gli episodi dolorosi legati ad un problema da sovraccarico funzionale. Sono fortemente motivato perché sono profondamente convinto che sia lecito fare dei prudenti esperimenti con le esercitazioni di riabilitazione e sia opportuno escludere l’utilizzazione sistematica di farmaci quando quel problema interessa l’attività sportiva ma non la vita di tutti i giorni.  Attenzione che è opportuno segnalare una cosa data per scontata: stiamo trattando di dolori da sovraccarico di lungo corso tendenti alla cronicizzazione (mesi o anni, non pochi giorni…) non di accidenti dovuti ad un trauma occasionale dove magari sono sufficienti pochi giorni di risposo perché vada a posto tutto. Solito esempio pratico: per conto mio una tendinite che va via con sette o dieci giorni di recupero non è assolutamente una tendinite, ma un banalissimo episodio di leggero sovraccarico perché se è una vera tendinite è pure possibile che con sette o dieci giorni di recupero peggiori pure e purtroppo su una vera tendinite il solo riposo produce effetti pressochè nulli e molto spesso è solo una banale perdita di tempo. Senza un programma di esercizi ben messo a punto specificamente sul soggetto che ha quel problema una vera tendinite non va via e soprattutto non restituisce il soggetto alla pratica sportiva che praticava prima di prendersi quell’accidenti. Per qui la via degli esercizi mirati che nei piccoli episodi dolorosi può essere un’opzione in alternativa all’uso degli analgesici e di altri farmaci, nel caso di un vero dolore da sovraccarico è una scelta obbligata perché, se non si scelgono i giusti esercizi riabilitativi e non si risolve sul campo con esercitazioni mirate il problema del sovraccarico funzionale, da un punto di vista sportivo non se ne viene fuori.

Altro dettaglio: ho scritto da un punto di vista “sportivo” ed anche questa è una cosa che deve essere precisata bene. I medici generici di un tempo, presi da mille urgenze e poco sensibili alle problematiche dello sport, avevano anche la triste abitudine di dire a chi giocava a tennis con la spalla dolorante: “La smetta di giocare a tennis, il tennis non fa per lei, almeno non più in queste condizioni”. Queste tristi sentenze, per fortuna attualmente in rarefazione, avevano alla base una motivazione che non era campata in aria: da un punto di vista medico un problema che si manifesta solo nella pratica di una certa disciplina sportiva in uno sportivo non professionista non è nemmeno un problema medico, basta cambiare sport.

Ai miei tempi si diceva “Datti all’ippica!” sport fantastico che però veniva preso in causa quando uno sportivo di altri sport non riusciva ad eccellere nel suo sport. “Datti all’ippica!” voleva dire “Cambia completamente sport” tanto per esortare il soggetto in questione a non insistere più di tanto. Ecco quando un medico al giorno d’oggi esorta un tennista con l’epicondilite (altra patologia molto frequante nel tennista) a cambiare sport oppure un mezzofondista con la tendinite del tendine d’Achille a darsi alla bicicletta, anche se non dice una cosa sbagliata è un po’ come se dicesse “Datti all’ippica” perchè rinuncia ad andare nel cuore del problema ed a tentare di risolverlo in modo complesso.

Ecco, la parola magica quando trattiamo di “combattere” il dolore da sovraccarico funzionale con il movimento è proprio “complessità” perchè è una cosa di una complessità incommensurabile ed in effetti viene proprio voglia di usare i farmaci che essenzialmente si tratta solo di centrare il farmaco giusto ed il dosaggio giusto e poi non ci sono tante altre cose da studiare.

Questo articolo esiste perché a mio parere, trattando di dolori da sovraccarico fuzionale, il farmaco “giusto” proprio non esiste, anzi temo che siamo anche piuttosto distanti dalla sua scoperta e pertanto siamo proprio condannati, se non vogliamo cambiare sport, a studiare molto attentamente cosa succede con gli esercizi riabilitativi.

Praticamente è attività fisica “contro” attività fisica. Attività fisica attentamente studiata che si pone il fine di contrastare gli inconvenienti provocati da altra attività fisica evidentemente meno studiata ed azzardata in modo poco opportuno nei confronti di un preciso inconveniente. Con l’attività fisica mi caccio dentro al problema, con altra attività fisica che ovviamente non potrà essere la stessa o almeno non riproposta con le stesse modalità, tento di venirne fuori e di poter riprendere nel modo migliore possibile l’attività che mi ha cacciato dentro a quel problema.

Attenzione che è maturo l’esempio degli esempi, il mio anatema che in un momento può farvi capire come sia audace la presunzione di combattere i dolori da sovraccarico con il movimento e quanto sia diversa la scelta di provare a risolverli con i farmaci.

Sapete per conto mio come si cura una tendinite del tendine d’Achille (uno dei problemi più invalidanti per i podisti) di quelle croniche che ci sono soggetti che stanno fermi anche un anno e non riescono più a riprendere? Con i balzi. Ma come, mi direte, questo è completamente scemo, i balzi sono la cosa più stressante che ci sia per i tendini d’achille, è come curare con un’altra bomba atomica una città che ne è appena stata vittima. No, perché anche se la tendinite del tendine d’Achille per la corsa può essere devastante come una bomba atomica i balzi non sono la stessa cosa e, consentitemi il paragone irriverente, possono essere quell’antidoto che pone rimedio ai danni delle radiazioni.

I balzi sono certamente pericolosi e sono una cura che deve essere centellinata con maestria per non fare ulteriori danni (anche se non bucano lo stomaco come gli analgesici) ma sono l’atto conclusivo di un processo di riabilitazione che se si vuole che abbia davvero successo e sia davvero efficace deve contemplare anche quelli. Il podista che non riesce ancora a balzare senza problemi perché nei balzi sente ancora dolore non è un podista perfettamente riabilitato ed è pure possibile, se crea equlibri particolari, che riesca a riprendere a correre anche se non ha i tendini perfetti ma quella incapacità di fare i balzi senza dolore è una spada di Damocle che può cadere ai primi errori di carico con la corsa.

Putroppo gli errori con le strategie riabilitative nella maggior parte dei casi non si fanno nelle fasi iniziali del processo di riabilitazione ma nella fase finale, quando l’atleta ormai è praticamente pronto per tornare a fare il suo sport e sembra che sia stato completamente riabilitato. In realtà questa è solo un’apparenza e la riproposizioni di carichi di allenamento di un certo significato nella sua precisa disciplina sportiva ricreano le condizioni per la comparsa di un nuovo sovraccarico funzionale analogo al precedente in breve tempo.

Con gli esercizi specifici, debitamente studiati sul soggetto per tentativi ed errori, noi non vogliamo fare miracoli e risolvere patologie che non si risolvono proprio mai (se non in modo finto cambiando sport, come si faceva una volta appunto) ma tentiamo di “combattere” i singoli episodi di dolore più o meno come facciamo con gli analgesici, solo che usando gli analgesici andiamo incontro ad un sacco di effetti collaterali tipici dei farmaci e se non la risolviamo in breve tempo (cosa purtroppo rara quando si tratta di vere patologie conclamate e tendenti a cronicizzazione) rischiamo di non venirne più fuori mentre agendo con gli esercizi, anche se obiettivamente le possibilità di venirne fuori del tutto non sono molto superiori almeno aumentiamo di molto la possibilità, in tempi successivi, di mettere a punto protocolli riabilitativi molto utili per continuare ad affrontare il preciso sport che ha causato l’inconveniente. Insomma l’antidoto è molto più facile che lo mettiamo a punto con l’attività fisica che non con i farmaci, poi se uno mi dice che per non aver bisogno di un antidoto basta non prendere il veleno sono perfettamente d’accordo.

Per conto mio lo sport non è mai un veleno anche se in molte circostanze può creare vari inconvenienti da sovraccarico, si tratta solo di studiare con calma altri movimenti che ci possano aiutare a compensare i danni provocati da movimenti un po’ esasperati quali sono spesso quelli dello sport agonistico. Il tutto senza usare farmaci che anche se nei momenti peggiori possono aiutare, nella comune routine di tutti i giorni fanno solo confusione ed inquinano pure la risposta adattiva del soggetto allenato rendendola illeggibile (non sai se il soggetto ha incassato bene un  certo stimolo motorio o se è semplicemente sotto analgesia del farmaco…).