MEGLIO POCHE COSE IMPARATE DAVVERO CHE TANTE PER FINTA

La grande ipocrisia della scuola italiana è l’utilizzazione esasperata della memoria a breve termine come contenitore fondamentale per superare le varie verifiche ed interrogazioni e la pressoché nulla stimolazione della memoria a lungo termine agganciata alla motivazione intrinseca dello studente che è la sola che può produrre qualcosa di nuovo, una rielaborazione critica autentica dell’informazione.

Praticamente l’unica motivazione usata è quella del superamento della verifica e pertanto si butta dentro alla memoria a breve termine una quantità spropositata di informazioni necessarie a superare brillantemente una verifica un certo giorno e poi superata quella le informazioni finiscono quasi tutte in una sorta di cestino come se il cervello fosse una specie di computer che deve liberare la memoria per poterla utilizzare per altri dati.

Tale ipocrisia viene tenuta in piedi dalle cosiddette interrogazioni programmate che sono una cosa che gli studenti vedono di buon grado ed invece non capiscono che sono la vera presa in giro della scuola italiana. Se loro sono davvero preparati e la loro preparazione dipende certamente dalla qualità delle lezioni degli insegnanti più che da ciò che gli allievi studiano a memoria sui libri di testo, sono pronti per affrontare una interrogazione o una verifica in modo dignitoso in ogni momento dell’anno senza dover studiare tre ore il giorno prima perché le nozioni importanti devono essere trasferite nella memoria a lungo termine. Ciò può avvenire solo se sono collegate ad una motivazione autentica che non è certamente quella che spinge a cercare un buon voto il giorno della verifica.

Ora mi si dice che una scuola che punta ad intaccare la memoria a lungo termine è quasi una scuola violenta perché ciò che va nella memoria a lungo termine condiziona davvero la nostra esistenza, ci modifica nel nostro modo di relazionarci con il mondo.

La premessa di tutto ciò è che noi non possiamo pretendere una reazione “prestampata” da parte di ogni allievo perché ognuno è fatto a modo suo e così ci sarà, per esempio, quello che dell’arte barocca ritiene tutto anche due anni dopo che l’ha studiata e quello che non ritiene un bel nulla perché dell’arte barocca non gliene è mai fregato niente e non gliene fregherà mai niente. Il grande compromesso della scuola italiana, che se estremizzato è molto discutibile e produce più danni che informazione, è quello che tu devi comunque dimostrare di aver letto tutto sull’arte barocca al professore, poi se di quelle mille cose lette non te ne resta nemmeno una perché nessuna è andata realmente a bersaglio e nessuna è riuscita ad intaccare la tua motivazione autentica questo è un problema che non riguarda nessuno. Ed invece è il vero problema che riguarda l’iinformazione perché in un corso di studi se proprio nessuna informazione giunge a bersaglio e va davvero ad interessare l’allievo vuol dire che quello non è un allievo ma un computer e non solo, ma cosa ancor più grave che deve assolutamente scuotere la coscienza dell’insegnante, che non si è riusciti a trasmettere entusiasmo per niente.

Se non fosse che è una cosa troppo severa per stabilire la qualità dell’insegnamento dovremmo valutare la bontà dell’insegnamento di un professore non in base alla quantità di informazioni che riesce a trasferire sull’allievo bensì sulla quantità e soprattutto “qualità” dell’entusiasmo che riesce a trasmettere sull’allievo per una determinata materia.

Capite che in mezzo a cento verifiche inutili quelle probabilmente veramente utili sarebbero solo quelle da fare sulla qualità dell’insegnamento dei vari professori. Per fortuna non ci sono parametri certi per poterla misurare perché sarebbe veramente un’operazione crudele nei confronti di certi insegnanti che faticano a stabilire un ottimo rapporto con gli allievi ma non devono comunque essere stressati troppo per questo e devono essere lasciati lavorare tranquilli per maturare serenamente.

Discorsi atterranti del tipo “Se non gli piace la matematica io non so cosa farci, lo boccio” fanno parte comunque di una realtà tangibile ma è una realtà che è problematica (visto che si parla di matematica…) anche per l’insegnante e non solo per l’allievo pertanto l’atteggiamento di lavarsene le mani ed intimare semplicemente allo studente di studiare di più per non incappare nella bocciatura è troppo limitante in una scuola dove i problemi dell’allievo devono essere anche quelli dell’insegnante e solo in quel modo si può giungere alla creazione di un rapporto di fiducia che deve stare alla base del processo di perfezionamento  formativo di entrambi perché, ed è questo che la scuola italiana non accetta, come impara l’allievo continua ad imparare anche l’insegnante. Di più, l’insegnante impara per professione mentre l’allievo nella maggior parte dei casi impara temporaneamente in vista di una collocazione che lo può portare a ragionare anche diversamente sull’opportunità di mettere sempre in discussione ciò che ha appreso. La grande differenza fra insegnante ed allievo è che le acquisizioni dell’insegnante devono perennemente essere messe in discussione se vogliamo che questo sia un buon insegnante mentre le acquisizioni dell’allievo teoricamente possono avere anche una parvenza di solidità, questo se l’allievo un giorno non avrà la bella idea di mettersi a sua volta a fare l’insegnante.

Per assurdo la scuola italiana manca sia di umiltà che di presunzione. Manca l’umiltà di capire che la cattedra è un luogo non luogo dove sul quale nella vita non ci si sale praticamente mai e manca della presunzione di poter incidere veramente nella formazione dei ragazzi in modo fantastico ed entusiasmante.