Della questione Schwazer ormai mi spiace scriverne. Avevo pure trovato la scusa che “salire sul carro del vincitore” è troppo facile per tentare di scriverne meno e dunque avevo glissato con la frase: “Se credete che venga fuori anch’io adesso come tutti gli altri andate a guardare cosa scrivevo quando pareva che l’unico demone fosse l’atleta e tutti gli altri i santi…”.
A questo punto mi spiace scriverne e voglio contenermi per attenzione verso l’atleta che mi piacerebbe davvero vedere in marcia punto e basta. Penso che la frittata si sia girata, mentre prima era importante parlarne per non far cascare tutto nell’oblio, adesso, dal punto di vista dell’atleta, è proprio il contrario. Almeno per un momento sarebbe proprio il caso che tutto si fermasse, che all’atleta fosse consentito di gareggiare e poi la posizione della Wada potrà essere rivista con calma in un momento successivo.
Perché la nuova novella è questa, anche se l’atleta Schwazer ci è ancora dentro e come atleta rischia di non venirne più fuori, la vera questione ormai non è più il caso “Schwazer” bensì il nuovo caso “Wada” che non è il primo della storia dell’istituto dell’antidoping e che rischia di sollevare il coperchio di un pentolone che molti non vogliono ispezionare.
Schwazer, riabilitato come persona, rischia di essere ancora sacrificato come atleta in questo scontro fra titani dove la posta in gioco è altissima.
Ho già detto della grande coerenza di Stefano Mei che mi auguro che duri molto come presidente di questa Fidal che sta acquistando grande credibilità. Il ragazzo ha coinvolto nientepopodimenoche il parlamento italiano ed in un moto di nazionalismo mi permetto di dire che il parlamento italiano ha avuto il coraggio di fare per un atleta solo quello che Putin non ha avuto il coraggio di fare per un’ intera squadra: sfidare i vertici dello sport mondiale. Qualcuno dice che Putin non poteva intervenire a difesa dei suoi atleti per il semplice motivo che erano colpevoli e la Russia, in quanto U.R.S.S., aveva troppi scheletri nell’armadio per poter intervenire su una questione che l’ha coinvolta in modo massiccio e non marginale con riferimento ad un solo atleta.
Atteggiamento analogo di paura e di eccessivo rispetto nei confronti della nomenclatura dello sport mondiale arriva anche da Sebastian Coe, presidente della Federazione mondiale di atletica che io continuo a ritenere (cosa che scrivevo già anni fa ed il panorama non è mutato) più grande come atleta che come dirigente. Continuo a dire che come atleta è stato gigantesco perché anche i grandi ottocentisti che sono apparsi sulla scena in questi ultimi anni (uno per tutti il primatista mondiale David Rudisha) non hanno scalfitto minimamente la sua immagine di atleta e continuo a dire che come dirigente dello sport non è questo grande fenomeno perché anche qui sta perdendo l’occasione per mostrare carattere.
Ricordo che fui duro sul suo comportamento quando gli atleti si misero a gareggiare con una scritta sul pettorale che recitava (proprio il caso di dire “Recitava”) “Io gareggio pulito” scritta in inglese che voleva dire a tutto il mondo debitamente tradotta:, “Purtroppo non è colpa nostra se l’istituto dell’antidoping non funziona, se credete alla nostra integrità, bene, altrimenti spegnete la televisione perché qui nessuno può garantirvi che non ci sia fra noi qualcuno che esagera con i farmaci in modo indecente…”. E fui altrettanto duro quando con un colpo di impopolarità propose di cancellare certi record dell’atletica perchè non c’era certezza che fossero stati ottenuti senza l’ausilio di sostanze dopanti come se adesso per incanto avessimo tutti gli elementi per stabilire con certezza tale eventualità.
Adesso Sebastian Coe dovrebbe semplicemente prendere le distanze dalla Wada implicata in uno scandalo pesantissimo che ne devasta la credibilità.
Questa cosa si sapeva fin dal giorno che i Ris di Parma alla ricerca di nuove prove per far luce sulla questione Schwazer si ritrovarono nel laboratorio di Colonia con le provette visibilmente alterate. Dopo tale scoperta i responsabili della Wada, pur non negando l’evidenza, non furono in grado di dare nessuna spiegazione se non ribadendo, ed è la posizione attuale, che loro avevano fatto tutto quanto il possibile per accertare l’eventuale positività dell’atleta Schwazer ai controlli. Avendo applicato il protocollo e non avendo a disposizione altri strumenti di indagine per loro la faccenda è chiusa. E dal loro punto di vista può addirittura davvero essere chiusa ed è per questo che mi spiace scriverne perché ne ho sempre scritto con sincerità e dunque, anche dal mio punto di vista, se c’è un iter procedurale e questo è stato rispettato loro si attengono esclusivamente da quanto emerge da questo iter.
Pertanto il problema qui non è più l’atleta, secondo questi metodi l’atleta è fottuto. Qui il problema è l’istituto dell’antidoping. Il problema non è più l’imputato ma il giudice. E soprattutto che il giudice non ammette nessun controllore e qui è la grossa battaglia fra il tribunale di Bolzano e l’istituto dell’antidoping perché con l’attuale normativa l’istituto dell’antidoping può pure affermare che della giustizia ordinaria non gliene frega niente. Resta la questione etica che non so come sia disciplinata a livello normativo, se sia effettivamente impalpabile come può sembrare ad un primo esame o se sia in realtà determinante come deve essere perché il rispetto di una certa etica è tutto per un istituto che si occupa di salvaguardare l’integrità morale dello sport.
Ed è la questione etica che il grande Sebastian Coe sta drammaticamente ignorando affermando che il suo organo di controllo è nato dopo la data e dei fatti e pertanto non hanno la possibilità di intervenire su questioni precedenti la nascita dell’ente (tale A.I.U. – Athletics Integrity Unit, per il quale è fin troppo facile commentare “AIUTO !”) ed insomma è un vero e proprio atteggiamento alla Ponzio Pilato per non aver voglia di ammettere ancora una volta che la WADA, l’organo dell’antidoping fa acqua da tutte le parti ed ormai è fonte di imbarazzo per tutto lo sport.
A me piacerebbe che la questione fosse per un momento insabbiata, visto che è una cosa gigantesca e visto che è stata insabbiata in tanti altri casi, anno più anno meno cosa vuoi che cambi, che all’atleta fosse consentito di gareggiare togliendosi un sassolone (non un sassolino…) dalla scarpa e che poi con calma si rivedesse tutta la questione a livello normativo ed anche e soprattutto a livello etico perché è proprio su questo che tutta la filosofia dell’antidoping ha decisamente fallito continuando a perseguitare una ristretta cerchia di atleti che devono pagare per la finta integrità morale di un ambiente dove la medicina è troppo infiltrata per evidenti e non nascosti limiti dell’istiututo dell’antidoping stesso. In una parola l’istituto dell’antidoping deve essere riformato ma non per la questione Schwazer, per il semplice motivo che non funziona ed è da tanti anni che non funziona e anche se con l’atleta Schwazer avessero fatto tutto alla perfezione (cosa che è palesemente falsa) non avrebbero avuto motivo di proseguire per una strada che non produce frutti ed ha portato a livelli impensabili di medicalizzazione esasperata dello sport di alto livello.
La Federazione mondiale di atletica deve prendere le distanze senza paura dalla Wada. Sebastian Coe non deve avere paura (la poche volte che ha avuto paura ha fatto disastri anche come atleta, per esempio a Mosca ’80 quando per paura di non farcela si è irrigidito e non è riuscito a produrre il suo solito finale che doveva giustamente portarlo all’oro sugli 800). A quel punto è chiaro che la Federazione di atletica verrà additata come l’unica nella quale avvengono scandali clamorosi ma tutti ormai sanno che non è così perché il vero problema non è l’atletica o il ciclismo o il nuoto ma la complessità dell’istituto dell’antidoping che guasta tutti gli sport.
Sono monotono e scrivo sempre le stesse cose. Il doping è un grande problema ma la base del problema è proprio l’istituto dell’antidoping che non è messo lì con il vero fine di combattere la medicalizzazione dello sport ma solo di salvare la facciata dello sport di alto livello che tanto sta a cuore ai grandi sponsor.