Oggi pomeriggio devo andare ad un incontro (incontro sul “web”, già questa per me è una cosa strana ma il problema non è quello…) nel quale mi si chiederà di dire due parole sul prof. Walter Bragagnolo nel ricordo del quale il mio amico Adalberto Scemma ha pubblicato un interessante libro dal titolo “Il profe che insegnava a sbagliare”. Ecco forse in quello strano titolo dato al libro da Adalberto c’è già un buon tentativo di dare un flash sinteticissimo della particolarità del profe, però stando sul sintetico, ma contraddicendo me stesso in una specie di gioco di parole, dico che in ogni caso ogni commento sintetico sul profe rischia di essere decisamente fuorviante e riduttivo, in poche parole ho la sensazione di andare ad una mission impossible nella quale qualsiasi sarà il mio comportamento comunque sbaglierò.
Il profe non aveva una comunicazione semplice e anche se amava usare esempi semplici e a volte pirotecnici per essere più immediato possibile parlava comunque un linguaggio da tentare di comprendere con calma.
L’ho conosciuto più come insegnante che come allenatore e penso che sia stato decisamente rivoluzionario anche come insegnante oltre che come allenatore. Con riferimento ai libri di testo consigliava di leggerli tutti e alla fine invitava a non considerarne proprio nessuno come “guida” per tentare di capirci qualcosa sulla teoria e metodologia dell’allenamento sportivo.
Non faceva domande delle quali sapeva già la risposta perché diceva che lo annoiavano ed insegnava invece ai suoi allievi a formulare nuovi quesiti senza arrabbiarsi con loro se proprio un tentativo di risposta razionale faceva fatica a venir fuori.
Se fosse stato per lui la scuola sarebbe già stata quella che forse sarà fra cent’anni un luogo dove gli studenti vanno a studiare sul serio per scoprire cose nuove senza dover dimostrare niente a nessuno. Quando qualche allievo tentava di far capire che aveva studiato citando famosi studiosi del movimento lui tagliava corto e diceva “Se il problema è il voto lo mettiamo subito, ci credo che hai studiato, adesso per favore non prendermi in giro e parliamo davvero della materia.”
E’ stato un grande rompiscatole per questa sua mania di mettere sempre in dubbio tutto ed è questa che a mio parere l’ha reso grande, praticamente unico nel suo genere. Questa sua non malleabilità sul credo scientifico l’ha reso ostico e poco incline ad essere inquadrato in ambienti dove la speculazione scientifica doveva comunque fare i conti con dei limiti, con delle regole necessarie al quieto vivere e così penso che per certi versi abbia vissuto un tempo molto difficile per le sue idee se è vero che il modello sovietico, basato sull’alta medicalizzazione dello sport, ha continuato ad avere un grande riconoscimento anche quando gli è stata dichiarata guerra. In realtà lui riteneva che a quel modello di sport di alto livello non fosse mai stata dichiarata guerra veramente ma solo a parole e sosteneva che di fatto quel modello aveva fatto scuola e proseliti in tutto il mondo provocando un adeguamento a certe scelte ben fuori dai confini dell’URSS e degli altri paesi dell’est.
Le considerazioni che faceva oltre trent’anni fa si possono riprendere pari pari anche ora e pertanto il suo messaggio è decisamente attuale. Studiarlo, ponendo nuovi interrogativi come istigava a fare lui, è senz’altro una buona idea, tentare di sintetizzarlo è idea folle ma si fa finta di farlo per parlare di lui anche in ambienti dove non ha mai tentato di rendersi popolare. A tal proposito ricordo uno dei suoi ultimi ammonimenti al mio indirizzo: “E’ meglio che ti capiscano in pochi ma come devono capirti che non che ti capiscano in tanti ma in modo superficiale…”