Secondo alcuni 15 ore di attività fisica alla settimana sono una cosa semplicemente folle che non sta né in cielo né in terra, che non ha nessuna utilità pratica e dunque io sarei semplicemente un folle ad immaginare una scuola che possa prevedere la strutturazione di un monte ore di circa 15 ore di attività motoria alla settimana.
Ovviamente questa è un’osservazione che parte da un insegnante di educazione fisica e si fa poca fatica ad osservare che l’insegnante di italiano dice che andrebbero previste almeno dieci ore di italiano la settimana, quello di matematica dice che ne andrebbero fatte almeno otto di matematica, quello di inglese almeno sette di inglese, quello di latino 6 di latino e così via fino ad educazione civica e religione materie che fra l’altro anch’io sostengo a spada tratta ritenendole quasi più importanti dell’educazione fisica.
Quindici ore di attività fisica nella scuola italiana sono in effetti veramente un’autentica follia ed io non ipotizzo assolutamente che si possa arrivare ad una cosa simile nemmeno entro i prossimi cent’anni. Faremo certamente prima a vedere che lo scioglimento dei ghiacciai non è una bufala e forse è pure opportuno dare un po’ più di spazio anche all’educazione ambientale a scuola.
La realtà non impedisce che possa esistere anche un mondo ideale. Nella realtà ci sono anche più di un milione di persone che perdono la vita in incidenti stradali ogni anno, circa 8 milioni che muoiono di fame, altri 8 milioni che muoiono per il cancro per il quale abbiamo investito cifre colossali per tentare di capirci qualcosa e, se va avanti così, stando sull’attuale, anche più di due milioni di persone che perdono la vita per un virus che non si capisce nemmeno da dove venga fuori.
La realtà la si vive, a volte la si subisce ma non per il fatto che sia realtà deve essere idolatrata, può anche essere opportunamente cambiata ed immaginata diversa.
Se il modello ideale di scuola razionale potrebbe prevedere un monte ore di 15 ore di attività fisica a fronte di 30 ore passate sul banco ed ogni medico, libero da pregiudizi di sorta, può affermare questo senza perciò essere definito “matto”, allora si può anche immaginare che una scuola che raddoppia il numero di ore di educazione fisica da due a quattro e soprattutto che inizia a coordinarsi con il mondo sportivo per organizzare effettivamente l’attività fisica dello studente senza conflitti imbarazzanti, potrebbe essere semplicemente una scuola al passo con i tempi anche se cronicamente in affanno nei confronti di ogni proposta di cambiamento per motivi in primo luogo strutturali (mancano le palestre, gli impianti sportivi ad uso delle scuole) ed in secondo luogo per motivi culturali (nella scuola italiana secondo un clichè atavico si studia e basta).
La tragedia della scuola italiana non è la sua situazione attuale ma il fatto che non provenga da nessuna parte una concreta proposta di ristrutturazione verso modelli più razionali ed al passo con i tempi E’ una scuola in balia di sé stessa, dove verrebbe da dire che comanda il corpo docente ma non è nemmeno vero che sia così, perché anche per un docente avere a che fare con uno studente apatico che arriva in classe senza nessuna speranza di poter migliorare la scuola, senza speranze di poterla vivere in modo entusiasmante e costruttivo, alla fine è deprimente.
La contraddizione di questa scuola è che è immersa in una società che non funziona per niente, con problemi epocali di urgenza immediata e pertanto diventa un limbo di immobilità in un contesto che evoca tutto tranne l’immobilità. Sembra improntata ad un mesto “Salviamo il salvabile” dove riuscire ad andare avanti secondo le vecchie regole in un contesto che si sta sgretolando a tutti i livelli pare un valore positivo. Se tutto va a remengo e la scuola tiene in qualche modo allora la scuola va già un po’ meglio di tutto il resto.
Questa è la visione attuale che, a mio parere, ed insisto sul concetto che il matto dice che i matti sono gli altri, è semplicemente folle perché a fronte di una società che sarà certamente costretta ad evolversi anche abbastanza repentinamente la scuola resta quella di un tempo.
Il modello attuale è quello dello “studente lavoratore” dove il lavoro non è quello che che fa lo studente oltre a studiare (cosa che dopo i 16-17 anni potrebbe anche non essere del tutto disprezzabile per offrire ulteriori possibilità pratiche di formazione allo studente) bensì l’atto stesso dello studiare che viene visto come un vero e proprio impegno professionale. Lo studente è un professionista dello studio. Non dai diciotto anni in poi ma già dai 6 anni, facciamo undici per chi ha la fortuna di aver a che fare con una scuola primaria ancora poco soffocante come ne esistono ancora sul territorio nazionale.
Nella società attuale il lavoratore si sbatte per sopportare turni di lavoro sempre più insopportabili e manda giù amaro perché la disoccupazione dilagante crea situazioni terribili, nella realtà scolastica lo studente integra a casa con molte ore di studio una preparazione su programmi scolastici poco razionali e sproporzionati in massa di informazioni per scimmiottare il mondo del lavoro alle prese con lo stress e la compressione del tempo libero.
Lo studente già a 14 anni è un piccolo lavoratore in miniatura che ha grandi problemi di stress ed organizzazione del tempo libero che viene a mancare sempre di più.
Ora, sempre dal punto di vista del matto, io sostengo che la scuola dovrebbe essere quel laboratorio dove si studia come costruire una realtà più razionale, una realtà più sopportabile, una realtà che possa migliorare quanto non funziona nella società civile.
Invece io ricordo che quando c’è stata quella storica mobilitazione che ha fatto parlare del cambiamento climatico a tutti gli studenti italiani è successo che all’ipotesi che si ripetesse una giornata uguale solo poco tempo più tardi (Greta queste cose le faceva tutti i venerdì, non solo una volta l’anno…) qualche insegnante ha sbottato che avrebbe preso provvedimenti straordinari nei confronti di eventuali aderenti a quelle manifestazione ritenuta “decisamente sovversiva”.
Nella scuola italiana lo studente non decide praticamente nulla, non ha nemmeno diritto di scioperare, penso che sia l’unico ambito dove il diritto allo sciopero sia fortemente represso.
Purtroppo lo studente italiano non è represso solo in quello perché è represso già nel momento in cui gli si da in mano il telefonino ad undici anni e con ciò si fornisce un ottimo strumento di adattamento e sottomissione ad una società rimbecillente e fortemente narcotizzante su tutte le velleità di autentico rinnovamento.
A volte per non darmi del matto mi danno semplicemente del sessantottino. Non sanno che del ’68 penso che sia stato semplicemente una terribile disgrazia, una sorta di vaccinazione di massa che ha impedito ogni cambiamento della scuola e che nel mio essere folle (a questo punto ci credo anch’io perché quando tutti ti dicono che sei folle o diventi anche disadattato sostenendo che non è vero oppure ti adatti e ti cali nel ruolo accettandolo di buon grado…) sostengo pure che la scuola non sia più cambiata proprio per colpa del ’68. Ogni tentativo di cambiamento viene rapidamente represso e se c’è proprio bisogno di dare giustificazioni si dice che anche nel ’68 hanno provato a cambiare la scuola ma hanno fatto solo disastri.
Su questo sono perfettamente d’accordo. Non sono d’accordo sul fatto che siccome quella generazione ha sbagliato ed ha agito in modo irrazionale allora anche tutte le generazioni successive devano astenersi dal folle progetto di porsi in atteggiamento fortemente critico nei confronti dell’istituzione scolastica.
Lo studente che protesta, che osserva, che propone è semplicemente folle. Quelli regolari sono tutti gli altri, armati di regolare smartphone e generalmente accumulatori seriali di ottimi voti.