A volte mi dicono che sono “l’assurdo in persona” perché reclamo un eccesso di competitività nella scuola che ritengo troppo stressante per i ragazzi e poi predico uno sport dove la componente agonistica sia ben sentita e motivata, affermando anche che l’attività fisica senza agonismo molte volte rischia di essere noiosa.
Aggiungo che mi sento pure un po’ “vecchio e cadente” così cito nientepopodimenoche Edoardo Bennato, ma più che vecchio e cadente mi sento “vecchio e monotematico” nel senso che continuo a sostenere che la competizione deve essere trasferita dai banchi di scuola ai campi sportivi. Perché? Per il semplice motivo che la competizione sui banchi si scuola fa solo che danni e crea emarginazione mentre quella sul campo sportivo è molto divertente, produttiva e pure educativa perché quando l’atleta ha inparato a perdere ha imparato una gran cosa.
C’è una grande differenza fra la competizione scolastica e quella nello sport: mentre l’ultimo della classe è in una posizione scomoda che deve essere assolutamente abbandonata e sarebbe quasi meglio anche per questioni di privacy che proprio non si sapesse chi è, l’ultimo di una competizione sportiva, anche se è giusto augurargli che non ricopra questo ruolo per tutta la vita, non ha nulla da vergognarsi (così come l’ultimo della classe teoricamente, anche se poi questo viene sonoramente bastonato a livello sociale) e non solo ma a volte può proprio essere orgoglioso del suo ruolo e dello stile con il quale riesce a sostenerlo. Per certi versi il vero protagonista è proprio l’ultimo perché è quello che regge il palco a tutti gli altri pure al penultimo (anzi forse soprattutto al penultimo) e deve sostenere il ruolo più difficile. Immaginate se l’ultimo di ogni competizione dopo essersi classificato ultimo decidesse di abbandonare la pratica sportiva, in breve nessuno farebbe più sport perché ci sarebbe via via un ultimo sempre più competitivo pronto ad abbandonare. Sacrosanto l’applauso all’ultimo classificato in una gara di mezzofondo e può sembrare crudele ma non lo è per niente, quell’applauso arriva soprattutto se il distacco dal penultimo è considerevole perché sta quasi a testimoniare che quell’ultimo forse dovrà arrivare ultimo ancora un po’ di volte prima di poter cominciare a sperare di intravvedere la possibilità di un fantastico penultimo posto.
Può farvi ridere ma più volte prima di una gara (soprattutto da master) mi sono trovato a commentare con qualche mio amico “Oggi spero di non prendermi l’applauso…” riferendomi al fatto che se arrivi ultimo vicino agli altri è più difficile che trovino il tempo per far partire l’applauso se invece c’è più distacco l’applauso parte inevitabilmente.
Però lo spirito sportivo è proprio quello, il vero sportivo è proprio quello che non ha problemi ad arrivare ultimo e sa interpretare bene anche il ruolo di perdente. Chi sa solo vincere sarà anche un grande atleta ma non è un vero sportivo.
In questi giorni il nostro governo sta riflettendo e legiferando dello sport. Ci sono indubbiamente delle cose che vanno riviste. Se siamo tutti d’accordo che lo sport è anche quello degli ultimi, non possiamo continuare ad affidare l’organizzazione sportiva in toto alle federazioni sportive nazionali che sono quelle che per compito istituzionale hanno l’onere di preparare gli atleti di vertice per la preparazione delle Olimpiadi o dei vari Campionati del Mondo delle singole discipline sportive. Chi si occupa essenzialmente di questo compito potrà anche avere un occhio di riguardo per lo sport di base, per quella base dalla quale poi ovviamente viene fuori anche il campione ma dovrà sempre stare attento allo stato dell’arte con riferimento preciso alla forma sportiva degli atleti che potranno tenere alto il nome della nazione nello sport di vertice. E’ evidente come necessiti in un sistema sportivo efficiente anche un organismo che si occupi dello sport degli ultimi, di quegli atleti che quasi certamente non saranno mai di interesse nazionale almeno con riferimento alla partecipazione a competizioni di vertice. O meglio il giochino di parole è proprio quello: questi atleti poco performanti che quasi di sicuro non parteciperanno alle Olimpiadi né tantomeno ai Campionati del Mondo sono anch’essi di interesse nazionale e lo sono non per la loro grande capacità sportiva di arrivare ultimi ma in quanto destinatari di un’opera di profilassi sanitaria che alla fine è quella che salva la nazione più di quanto riesca a fare il primatista del mondo di chissà quale disciplina.
L’ultimo, atterrando con uno stile che non è più per niente poetico, è una questione di stato e con grande pragmaticità potremmo dire che non ce ne frega nemmeno nulla se riesce a fare sport con entusiasmo o meno (ma questa cosa è importantissima e spero che si capisca fra le righe perché…) ma l’importante è che lo faccia, l’importante è che non abbandoni perché per assurdo, per lo stato può essere un danno più grande se abbandona lui (ha pure un maggior rischio potenziale di patologie rispetto ad altri) che non se abbandona l’atleta di alto livello.
Insomma ci perdiamo su mille cavilli che riguardano il primo classificato ma siamo avari di considerazioni che riguardano l’ultimo, salvo riconoscergli i meriti sportivi ma senza prevedere in tema di organizzazione sportiva che il suo ruolo deva essere “ampiamente tutelato”. Gli ultimi dello sport sono quelli che fanno capire come funzionano anche gli ultimi della società. Un sistema che non considera con la dovuta importanza gli ultimi dello sport con lo stesso stile tenderà ad ignorare anche gli ultimi della società.