Questo articolo potrebbe piacere a qualcuno, a qualcun’altro potrà fare semplicemente pena, in ogni caso penso che sarà un articolo che potrà darmi un po’ di energia per sostenere la mia idea bislacca di come la scienza del movimento sia più un’arte che una vera e propria scienza. Gli “scienziati” super appassionati di cardiofrequenzimetro e loro elucubrate applicazioni non leggano quest’articolo, potrebbero risultarne oltremodo infastiditi. In effetti la fatica si può misurare con il cardiofrequenzimetro, ed è un sistema che da i numeri (a mio parere da i numeri in senso figurato e pure metaforico oltre che matematicamente parlando…) e dunque si presta ad essere codificato ed offre spunti di discussione fra i vari amanti di questo sistema di misurazione che si dilettano a costruirci sopra varie teorie, ma può essere misurata anche in altri modi molto meno precisi e molto più fantasiosi.
Non c’è dubbio che attorno al mondo della fatica esista anche la fantasia ed è difficile che una fatica possa essere “179” punto e basta (che possono essere i battiti del cuore rilevati dal cardiofrequenzimetro durante un impegno abbastanza intenso di un giovane qualsiasi), Può essere discreta, elevata, trascurabile o “mortale” dove quando si dice “mortale” non è praticamente mai veramente “mortale” ma lo è nella fantasia di chi la descrive, così come quando è “trascurabile”, “insignificante” o addirittura “ridicola” non è mai davvero così ma lo è sempre solo grazie alla fantasia di chi la descrive. Mi è capitato di sentire definire “ridicola” la fatica di atleti che avevano appena vinto una gara che vi garantisco che se il loro rivale aumentava solo di poco il ritmo in quella gara l’esito della stessa sarebbe cambiato quasi sicuramente. Questa era la “cifra” esterna, quasi oggettiva, a determinare che l’atleta vincitore, quasi di certo non aveva fatto una fatica ridicola, anche se, molto probabilmente non elevatissima.
Dunque numeri contro parole. Fatti contro sensazioni. Ma anche le sensazioni sono un fatto questo è il problema. Se volete complicarvi ulteriormente la vita non leggete qui sopra ma sfogliatevi “Sulla materia della mente” di Gerald Maurice Edelman, è un libretto neanche tanto leggero scritto da un fisiologo americano. Le sensazioni non sono solo fantasia, che poi facciamo fatica a codificarle, quello è un altro discorso ma insomma quando io chiedo ad un atleta: “Hai fatto fatica?” e questo mi risponde “179”, io chiedo di nuovo “D’accordo, ma hai fatto fatica si o no?” se questo continua a rispondermi “179” e non sa cosa altro dirmi probabilmente è un atleta che io non riuscirò mai ad allenare perché parliamo due linguaggi diversi.
Il passo dal cardiofrequenzimetro all’elefante rosa è breve e non è Edelman a suggerirmelo. Edelman si occupa solo di far capire che dobbiamo accostarci con molta umiltà alle neuroscienze e come queste possano essere decisive per comprendere la fisiologia a 360°.
L’elefante rosa non è amico di quelli che usano il cardiofrequenzimetro ma, si sa, ognuno ha le sue passioni, le sue inclinazioni affettive, le sue simpatie, il suo modo di relazionarsi con il mondo.
Stavamo trattando di fatica, prima di scomodare Edelman e voglio spiegarvi perché la fatica può essere trattata anche a parole. La fatica possiamo sentirla o non sentirla. Oppure possiamo sentire la “non fatica”. E qui, anche chi armato di tanta pazienza, fino ad ora mi aveva seguito scappa via. Basta, sulla “non fatica” non ci sto, va bene il pressapochismo delle parole ma la “non fatica” non la tollero.
E’ proprio il nostro elefante rosa a portarci in campo il concetto di “non fatica”. Se io dico ad una atleta “non devi sentire la fatica” lo sto prendendo in giro, lo sto invitando a stare fermo, forse farà fatica pure se abbandona il campo di allenamento e va a vedere la televisione. Io personalmente quando guardo la televisione faccio molta fatica, ma è una fatica psicologica più che una fatica fisica. In ogni caso “non sentire la fatica” non è una cosa da dire ad un atleta se non si vuole essere presi per imbroglioni. La fatica è strettamente connessa all’attività fisica.C’è certa gente, animata da propositi sadomasochisti, che viene al campo addirittura per sentire la fatica, figuriamoci se possiamo dire che in una qualsiasi attività fisica si possa assolutamente non sentire fatica.
Insomma dire “non sentire la fatica” è come dire: “Non pensare ad un elefante rosa!” E’ impossibile. E non perché il nostro elefante rosa sia molto simpatico. Che l’elefante rosa sia simpatico o sia un rompiballe di prima categoria è impossibile non pensarlo nel momento in cui uno ce l’ha citato. E’ proprio la prima cosa che facciamo, appena uno ci intima di non pensarci ci pensiamo subito, non è per dispetto o per mancanza di rispetto nei confronti di chi ce l’ha suggerito. E’ così punto e basta. Probabilmente il miglior modo per fare pubblicità ad un certo uomo politico è proprio continuare ad insultarlo. Molti riusciranno ad uscire indenni dal bombardamento mediatico ma altri cadranno sotto il logorio della pubblicità e finiranno per votarlo. Quell’uomo politico, finalmente eletto, dovrà ringraziare certamente i suoi sostenitori che l’hanno aiutato in tanti modi ma dovrà ringraziare anche i suoi detrattori che probabilmente sono risultati decisivi per il buon esito finale.
Senti la “non fatica” è un messaggio diverso, certamente complesso, quasi impossibile da concretizzare ma non del tutto. E’ come dire: “Prova a pensare ad un elefante non rosa”. Ci si può riuscire. Il primo pensiero correrà proprio all’elefante rosa (tormentone di questo articolo, più ancora della fatica…) ma in un secondo tempo, grazie ad una buona fantasia, e qui entra in campo la fantasia che il cardiofrequenzimetro non ci aiuta a sviluppare, riusciremo anche a pensare ad un elefante non rosa.
Non è un discorso astratto, è terribilmente concreto.
Se volete avere qualche possibilità di sentire la “non fatica” senza mentire a voi stessi dovete certamente tentare di correre in modo non faticoso. E’ quasi impossibile sentire la “non fatica” se l’elemento principale della corsa che state producendo è proprio la fatica.
Ma senza fatica non riesco proprio a correre. Appena parto anche di corsa lenta, sento subito la fatica. Non ci credo. Sentirai un “certo tipo di fatica”. Vi auguro di imparare 179 tipi di fatica diversi, alcuni di questi saranno tranquillamente definibili come “non fatica” e vi auguro pure che questi stati di non fatica, diversi fra loro, siano pure più numerosi degli stati di fatica. Quando avrete imparato tutte queste tipologie di fatica allora saprete destreggiarla certamente bene nella vostra attività sportiva e saprete non sprecarla. In più, quando qualcuno vi chiede “Quanta fatica stai facendo potrete pure rispondergli 179 senza prenderlo in giro”. Rispondere con un numero può anche essere di moda, prendersi in giro perché questa moda ci ha fatto perdere le parole è un po’ meno divertente.