Uno dei problemi più ricorrenti che mi trovo ad affrontare nell’esercizio della mia professione è smontare quel pregiudizio per cui nell’attività fisica esista sempre un modello ideale da perseguire, da “imitare” per essere nel giusto ed essere sicuri “di non sbagliare”. Invece, siccome l’attività fisica non è una scienza esatta ma un’arte non esiste alcun modello ideale, alcun modello perfetto, per quanto gradevoli e apprezzabili tutti i modelli di movimento sono assolutamente criticabili ed hanno i loro pro e contro.
Questo è un grande vantaggio ed un grande svantaggio al tempo stesso perché data questa situazione non possiamo aprioristicamente dichiarare come errato alcun modello di movimento, sia esso il più orrendo e apparentemente sconveniente, così come non possiamo essere sicuri della validità di un modello di movimento apparentemente cristallino, di grande qualità, elegante e che ad una prima analisi potrebbe sembrare “da manuale” come si usa dire con un’espressione che ci può illuminare ulteriormente il concetto.
In realtà i movimenti “da manuale” non esistono per il semplice motivo che il manuale non esiste. Esiste un’ampia letteratura sull’attività motoria per lo più ferma al modello ( e daje con ‘sto “modello”) sovietico elaborato in URSS fra gli anni ’50 e ’70 del ventesimo secolo, ma non esiste alcun manuale, alcun libro “magico” (chissà perché questo riferimento mi fa venire in mente il romanzo “Il nome della rosa” di Umberto Eco, romanzo nel quale per colpa di un presunto libro importantissimo vengono compiuti una lunga serie di delitti) che sancisca una dottrina del movimento universalmente accettata.
Se questo manuale esistesse, in ogni caso dovrebbe fare i conti con 7 miliardi di applicazioni diverse, tanti siamo sul pianeta perché il problema è comunque applicare a sé stessi questo potenziale modello perfetto.
Siamo più portati ad imitare e a leggere il libretto delle istruzioni che non ad inventare e ad applicare al nostro essere indicazioni che non ci provengono da nessun libretto di istruzioni mai scritto. Siamo stati prodotti senza il libretto delle istruzioni, questa è la fregatura e se abbiamo tanti tasti diventa un bel problema capire come funzioniamo.
In realtà tanti tasti (tantissimi…) ce li abbiamo tutti, sia chi si muove molto elegantemente e sembra che possa dettare legge fornendo un modello per gli altri (si pensi, per esempio nel salto in alto, al leggendario Dick Fosbury, inventore dell’omonima tecnica di scavalcamento dell’asticella “di schiena”, che però è stato ampiamente superato un’infinità di volte anche da atleti meno dotati di lui che hanno solo messo a punto in modo ottimale questa idea) sia chi è un vero disastro e non sa nemmeno calciare un pallone in un modo decente ma, proprio per questo, se si trova a calciare un rigore contro un grande portiere diventa più pericoloso e imprevedibile del più affermato e conosciuto dei campioni.
Per certi versi allenare gli incapaci è molto difficile, per altri versi è quasi più facile che allenare i campioni per il semplice motivo che i campioni tante volte hanno uno schema di movimento molto strutturato, quasi “calcificato” dal quale non ci si riesce a muovere e sopra il quale è difficile innestare nuovi apprendimenti.
Torniamo al concetto di “invenzione” o imitazione. Chi ha l’umiltà di inventare più che la presunzione di voler imitare tutto e tutti ha più possibilità di evolversi. Ho scritto di presunzione dell’imitatore e potrebbe sembrare un’affermazione strana. In realtà potrebbe sembrare più presuntuoso chi vuole inventare, rifiutando i dogmi e scegliendo una strada nuova. Chi è “costretto” per necessità ad inventare, molte volte invece è più umile perché la sua è una scelta dettata da una condizione di necessità. Inventa chi tentando di imitare non ne ha la capacità e si trova a produrre un modello inefficiente che non porta a nessun risultato apprezzabile. Se il compito deve essere superato ma non si ha a disposizione alcun modello imitativo efficace per poterlo affrontare si è costretti a scoprire un proprio modello più efficace possibile ed in questo caso “scoprire, selezionare e inventare” diventano praticamente sinonimi perché indicano tutti la necessità di studiare un qualcosa che non si riesce a vedere da nessuna parte.
Gli atleti che scoprono nuove metodiche di allenamento in genere non sono atleti superdotati perché quelli riescono ad emergere anche con tecniche di allenamento già sperimentate.
In tal senso, anche se questo discorso è molto complesso, l’evoluzione delle tecniche dopanti avvenuta proprio con la messa a punto del sistema sovietico ma poi portata avanti fin ai giorni nostri da tutto il resto del mondo anche ben dopo il crollo del sistema sovietico (ormai sono passati 28 anni…) ha frenato l’evoluzione delle tecniche di allenamento perché ha favorito molto la persecuzione del modello imitativo. Se ho a diposizione riserve energetiche notevolissime (e ciò è possibile grazie alla continua evoluzione delle tecniche dopanti) è inutile che stia a sperimentare tecniche nuove perché potrò tranquillamente emergere replicando quelle già adottare dai campioni di qualche anno prima. Se le riserve energetiche sono superiori a parità di tecnica rendo di più ed il gioco è fatto.
Per certi versi la pratica del doping è quasi più sicura (non per la salute, a mio parere) per il risultato perché non è dipendente da nessuna sperimentazione. O meglio la sperimentazione è fatta a monte, in laboratorio ma l’atleta non sperimenta un bel niente. Ha sempre lo stesso motore, cambia benzina che sappiamo essere una benzina più performante ed il risultato è quasi sicuro. Rischia di più, e qui si che viene voglia di parlare di presunzione, chi vuole cambiare anche il motore e non si accontenta di cambiare benzina perché sappiamo benissimo che cambiare motore espone ad una infinità di eventuali messe a punto che possono portare via tantissimo tempo ed una lunga serie di inconvenienti ed imprevisti.
Fra umiltà (di chi non è capace) e presunzione (di chi vuole scardinare il sistema del doping anche se detta legge da oltre mezzo secolo) la scelta di inventare piuttosto che imitare è certamente una scelta audace e molto difficile.
Chiudendo con uno dei miei soliti voli pindarici, visto che ho citato il romanzo “Il nome della rosa” mi va di citare anche papa Bergoglio che ritengo il più innovatore e audace (forse a parte la meteora papa Luciani) dei papi apparsi negli ultimi cento e forse anche duecento anni. Guardate che fatica che sta facendo per cambiare anche solo 4 parole al Padre Nostro. Non l’ha stravolto, l’ha solo rettificato sostenendo che il Padreterno non si sogna minimamente di indurci in tentazione. Ebbene saranno quasi due anni che questa rettifica è ancora nel suo percorso di “ratifica”. Pensate quanta fatica fa un atleta scarso che vuole inventarsi un suo schema motorio quando ci sono 7 miliardi di soggetti che non si sognano minimamente di suggerire un modello per quel tipo di atleta. Già è difficile imitare, inventare è veramente una fatica immane.