Il metodo “M.A.E.” è un po’ difficile da applicare in un ambito che non sia quello motorio-sportivo. Anche nell’attività fisica il rischio più grande è che sia traumatizzante in quanto possibile veicolo di cambiamenti un po’ troppo repentini nelle abitudini dell’atleta per cui una delle prime raccomandazioni al tecnico che vuol servirsi del “M.A.E.” per intervenire tecnicamente sugli schemi motori del suo allievo è una grande prudenza, pena il fallimento dell’applicazione del metodo per l’impossibilità di creare nuovi grandi adattamenti in tempi brevi.
L’applicazione del “M.A.E” ad ambiti non sportivi è dunque cosa probabilmente pericolosa oltre che utopistica. Penso a delle semplici scenette, rapportate alla realtà di tutti i giorni che anche se non è opportuno vivere forse è bene raccontare per capire come la realtà possa essere vista in tanti modi diversi.
Come spesso accade parto da un qualcosa di molto distante per poi atterrare su cose che sono terribilmente vicine ai nostri problemi quotidiani.
Una specie di Greta c’era già stata 28 anni fa. Solo che era ancora più giovane. Alla conferenza del clima di Rio de Janeiro del 1992 una ragazzina di 12 anni (Severn Cullis Suzuki, ma il nome non conta, conta di più quello che ha detto e, semmai il fatto che aveva 12 anni perché tale precisazione amplifica l’importanza delle sue osservazioni) è salita sul palco e ha detto molto semplicemente che stavamo prendendo in giro i bambini continuando a costruire un mondo sbagliato che non ha futuro. Per 6 minuti ha zittito il mondo. E’ stata applaudita, dopo però è stata dimenticata e presa in giro e adesso non se ne ricorda più nessuno, torna su Greta, un po’ più matura e soprattutto più incazzata, facciamo un po’ più fatica a dimenticarla perché pare che sia sopravvissuta al Covid e pare che non abbia ancora finito i suoi discorsi ma… stiamo comunque tentando di prenderla in giro nello stesso modo di quella poco famosa ragazzina di 28 anni fa.
La frase mitica che si sentono dire i milioni di giovani in cerca di lavoro è: “Le faremo sapere”. E questa è la grande bugia del nostro tempo. Pare che non ci sia lavoro. Quando invece non c’è mai stato tanto lavoro quanto adesso perché c’è da rifondare un mondo che sta andando alla deriva e c’è da lavorare tantissimo e pure in modo urgente per scongiurare la catastrofe ecologica. Non manca il lavoro, manca chi lo sa organizzare. Manca una classe politica che veda più in la della punta del naso e sappia condizionare le scelte politiche partendo dall’ambiente e non dall’economia, dal riequilibrio sociale e non dalla tutela dei privilegi della classe dirigente. E’ una classe dirigente che ha fallito, incapace di accettare il cambiamento e di riprogettare il futuro. E’ una classe dirigente con una cultura monolitica capace di pensare solo secondo criteri di massimizzazione del profitto, ma qui purtroppo le carte in gioco sono cambiate e lasciare l’economia in mano a questi veterani è cosa semplicemente folle e sconsiderata. C’è bisogno di un nuovo modo di pensare dove le esigenze del pianeta in senso globale siano poste davanti agli interessi politici dei singoli stati.
Ecco che allora se lavoro ce n’è e si tratta di riorganizzarlo al meglio per non lavorare troppo, per non ammazzarsi di lavoro, perché in fase di emergenza non è che si possa procrastinare con molta facilità.
E dunque tornando al nostro fantastico M.A.E. (mi tocca chiamarlo anche “fantastico” perché forse stimola un po’ troppo la fantasia), il famoso “Le faremo sapere” va visto in modo un po’ diverso. Lavoro ce n’è si tratta solo di organizzare il nuovo personale che ha voglia di lavorare e ha bisogno di indicazioni su come cominciare.
La prima domanda la deve fare l’aspirante lavoratore perché c’è un problema di finanziamenti. C’è bisogno di lavoro ma manca la copertura finanziaria ed è quello il problema politico. E’ li che lo stato deve intervenire. Allora o un’azienda ha le garanzie per poter assumere oppure è inutile che vada alla ricerca di nuovo personale, può solo che chiudere. La prima domanda tanto per smascherare situazioni un po’ paradossali è riferita al responsabile del personale: “Scusi, lei quanto porta a casa ogni anno?” perché se questo porta a casa più di 100.000 dollari allora il problema non esiste. La copertura finanziaria, almeno per l’assunzione di quel pirla che ha davanti a sé, esiste. Per cui la pluralità sono i giovani che devono lavorare ed il singolo è lui, incapace di assumere persone che sappiano portare innovazione in azienda, gente che sappia portare in azienda i problemi del futuro che, anche se scomodi, vanno affrontati, per non restare spiazzati di fronte alla concorrenza. Per cui alla fine del colloquio non è il responsabile del personale a dire “Le faremo sapere” ma deve essere il giovane che parlando più giustamente al plurale (la nuova forza lavoro è una massa, la classe dirigenziale è ristretta ad una elite di conservatori sempre più esigua che non vogliono cambiare niente) fa capire che se il responsabile del personale sa come impiegare questa nuova forza lavoro può anche continuare a fare quel mestiere altrimenti è bene che si reinventi pure lui.
Insomma il quesito non è se il giovane serva o meno all’azienda, il problema è come riuscire ad integrarlo per innovare l’azienda e farla sopravvivere ai problemi contingenti.
Così come nel “M.A.E.” se qualcosa non funziona la colpa è sempre dell’allenatore, nelle aziende se non si riesce ad assumere personale la colpa non è dell’aspirante lavoratore ma dell’azienda che non riesce a trovare le strategie per integrarlo. In sintesi la colpa è del responsabile del personale che se manda via troppa gente vuol dire che non sa fare il suo mestiere. Ma c’è un problema sociale per cui ad un’azienda che mancano tre lavoratori vengono mille proposte. Quello è certamente un problema sociale che la politica deve risolvere. E’ chiaro che se nessuna azienda assume quell’unica che assume ha un’infinità di proposte.
C’è il lavoro, ci sono i giovani se la cosa non si sistema vuol dire che c’è un problema organizzativo che blocca tutto.
Al momento questo problema si chiama solo logica del profitto che non funziona più e ha devastato il pianeta. Secondo la logica del profitto lavoro non ce n’è più, facciamo lavorare le macchine e basta che costano meno e questo tipo di impostazione aziendale è tutelata. A quel punto si può anche risparmiare sui costi per la ricerca del personale perché personale non ne occorre più, bisogna solo trovare i sistemi legali per licenziare più gente possibile.
Se la politica esiste, ed è ipotizzabile che tutto sommato esista ancora, mai come adesso deve funzionare perché c’è un mondo da smontare e da rimontare prima che la catastrofe ambientale ci travolga. Altro che “le faremo sapere…”.