ATTIVITA’ FISICA SECONDO LO STATO O SECONDO IL LIBERO MERCATO

Se qualcuno crede che l’attività fisica sia sempre quella e che te la proponga lo stato o che te la proponga un privato è sempre attività fisica punto e basta non ha capito niente di attività fisica e non può assolutamente comprendere la deriva che ha assunto l’attività fisica per la popolazione negli ultimi decenni.

E’ chiaro che una corsa di 10 chilometri ad un certa andatura sortisce gli stessi effetti sia che te la proponga un ente pubblico o che te la proponga un ente privato che ti chiede anche una bella quota di iscrizione per il suo tornaconto. Qualcosa cambia per le tue tasche ma la corsa è sempre quella. Il discorso di base è che, proprio per un discorso di monetizzazione, il privato tenderà a non proporti le cose che ha interesse a proporti lo stato.

L’obiettivo principale per il privato è monetizzare e dunque proporti un qualcosa del quale tu senti bisogno, che ti fa piacere e che sei invogliato a provare e riprovare. Al riguardo della tua salute può anche far piacere che questa migliori, è certamente importante che non peggiori altrimenti ti perde come cliente, ma l’obiettivo principale è che torni a comprare il prodotto che ti viene offerto più che la tua salute migliori in modo netto ed inequivocabile. Al privato viene in tasca la tua quota di iscrizione ma la tua salute, direttamente, non crea nessun utile.

Per lo stato la faccenda è molto diversa, è interessato a proporti cose che costano poco perché non può far cassetta sulla tua necessità di muoverti ed è anche interessato al fatto che la tua salute migliori e lo è perché se tale cosa accade ha un ritorno economico in termini di minor esborso per la spesa sanitaria.

Purtroppo lo stato non sempre si muove in modo coordinato ed organico e così può accadere che ciò che di buono accade ad un certo ministero  venga rilevato da un altro ministero che non è quello che innesca quella situazione ottimale. In soldoni a chi organizza l’attività fisica anche all’interno dello stato potrebbe assurdamente non interessare che la salute del cittadino migliori perché ciò non è facilmente rilevabile in modo diretto e se anche tale cosa avviene diventa un buon evento per un altro ministero che non è quello che ha organizzato l’attività fisica. Per dirla terra terra la scuola deve spendere soldi che non ha per l’organizzazione dell’attività sportiva scolastica e chi ne trarrà beneficio sarà il sistema sanitario nazionale, uno lavora e l’altro ne trae i  profitti. Resta il fatto che se lo stato è un tutt’uno e non un insieme di ministeri che lavorano a compartimenti stagni deve comunque muoversi secondo un’ottica di attività fisica che faccia bene alla salute perché è solo ciò che interessa davvero allo stato. Per cui le due ottiche fra stato e libero mercato sono decisamente diverse: il primo punta a piazzare prodotti che costano poco ma che facciano bene alla salute, il secondo punta a piazzare prodotti che non costino poco e che possibilmente facciano anche bene alla salute anche se l’importante è che non facciano male per non guastare l’immagine del prodotto da piazzare sul mercato. Non c’è dubbio che il cittadino va molto meglio quando vengono perseguiti gli obiettivi dello stato più che quelli del privato.

E allora ci si potrebbe domandare perché nel nostro paese la gran parte dell’offerta di attività motoria per la popolazione è offerta dai privati più che dallo stato. Il problema, tanto per cambiare, è di ordine economico e consiste nel fatto che ogni proposta di attività motoria è comunque costosa, anche quella proponibile dallo stato che anzi alla fine può risultare anche molto più costosa di quella proposta dai privati anche se si potrebbe credere il contrario. Alla fine lo stato fa un patto di ferro con i privati che è un patto di non belligeranza del tipo: “Tu vendi pure ciò che vuoi, ti prendi l’onere di diffondere l’attività motoria che chiede la cittadinanza, fai i prezzi che vuoi e ti occupi anche di distribuire attività che come minimo non danneggi la salute di chi la pratica per non far saltare il sistema, io come stato non ti faccio concorrenza perché ne sto fuori”.

E’ l’accordo tacito che regola l’attività motoria di fatto da ormai un bel po’ di tempo in Italia ma non è decisamente vincente se è vero che molti cittadini sono ancora sedentari incalliti e tanti altri praticano attività fisiche che fanno bene alle tasche di chi le propone ma servono gran poco per innalzare il livello medio di salute della popolazione.

Il mio tormentone delle piste ciclabili (oltre che quello dei 30 all’ora ormai sono anche quello delle piste ciclabili…) non è un tormentone di poco conto e alla fine è molto più costoso di ciò che si possa credere perché è una cosa che andrebbe a scardinare questo sistema con costi economici difficili da determinare. Partiamo dalla cosa più semplice che è determinare chi potrebbe averne vantaggi. Potrebbe averne vantaggi il sistema sanitario nazionale, sempre che questo abbia interesse a lavorare di meno perché diminuirebbe in modo significativo il numero di patologie che portano il cittadino comune a richiedere l’assistenza sanitaria. Ne avrebbero vantaggi importanti una buona parte di popolazione che sappia sfruttare le opportunità di movimento offerte da nuove situazioni sociali. Ne potrebbe avere vantaggi ma non macroscopici un certo comparto economico legato alla produzione di biciclette ed alla creazione di piste ciclabili. Il rovescio della medaglia è molto più difficile da analizzare e forse richiederebbe una articolata analisi di un economista più che un limitato parere di un insegnante di educazione fisica. Pensate per esempio solo all’impatto economico di una mobilità urbana non più impostata sull’uso dell’auto ma sull’uso della bici. Anche senza essere economisti e facendo un conto della serva se gli italiani che usano l’auto sono circa 40 milioni  e questi spendono mediamente “solo” (stando molto bassi) 2000 euro per l’auto all’anno fra costi di carburante e costi vari, nell’ipotesi che questi costi vengano dimezzati da nuove abitudini avremmo un mancato esborso di qualcosa come 40 miliardi all’anno. Per il singolo cittadino può anche essere una bella cosa ma per lo stato è un mancato introito insostenibile, oltre al danno che andresti a creare ad un certo tipo di industria. Per cui dietro all’attività fisica rigidamente in mano ai privati che ti fanno pedalare in palestra non c’è un discorso casuale di incuria e disorganizzazione ma al contrario c’è un freddo calcolo di costi e ricavi che porta al consolidamento di tali scelte.

E allora c’è poco da scandalizzarsi se sulla mobilità urbana in bici vengono fatti grandi proclami ma poi l’informazione latita ed ogni buon proposito viene deriso ed ignorato. Sentivo alcuni politici dileggiare il bonus bici in questi giorni (in modo quanto obiettivo e disinteressato?) e trattavano tale bonus come un inutile capriccio per comprare il monopattino agli italiani quando c’è gente che non ha nemmeno i soldi per comprare gli alimenti.

Messa giù così è proprio una cosa da discutere, che spreco questo bonus… Chi glielo spiega a questi signori che se, al di là del pittoresco monopattino, riusciamo a convincere gli italiani ad usare la bici invece dell’auto risparmiamo in tumori, ictus, infarti e forse saltano pure fuori dei soldini per la pastasciutta visto che l’auto costa veramente tanto? Questo è un altro punto di vista ma il cerchio si chiude analizzando il blocco economico che produce un cambio di abitudini su vasta scala come auspicabile. Alla fine per lo stato è un costo esorbitante ed i soldi per la pastasciutta rischiano davvero di essere meno di prima.

L’analisi economica non si può certamente ridurre così, non si può concludere che l’attività fisica deve restare nelle mani dei privati altrimenti dopo non ci sono più i soldi per la pastasciutta ma è chiaro che uno stato più presente e più attento ai problemi della sedentarietà, ai cittadini comuni (soprattutto ai meno abbienti) farebbe molto comodo.