Lo sport in certi casi dovrebbe dare l’esempio, invece, purtroppo, molto spesso si adegua al tran tran delle cose che non funzionano.
Il Covid ha evidenziato dei problemi sociali che c’erano già prima. Chi dice “proviamo a tornare alla normalità” non si rende conto di qual’era la normalità dell’ultimo periodo.
La burocrazia dilagante che impediva l’evoluzione della società si è ulteriormente ingigantita e tale disastro è molto evidente nello sport che arranca in mezzo a regolamenti a volte incomprensibili oltre che irrazionali.
Se guardiamo agli impianti sportivi pubblici, anche all’aperto, sono decisamente sottoutilizzati e riservati soprattutto agli atleti di un certo livello che però non sanno che gare preparare perché, in certe situazioni anche giustamente, le competizioni sono bloccate o concesse solo in modalità che ne scoraggiano decisamente l’organizzazione. Il concetto di sport per tutti, sport per la salute, è completamente ignorato. Prima era semplicemente bistrattato adesso grazie ad un nuovo supplemento di burocrazia è decisamente vietato perché non ritenuto opportuno, addirittura pericoloso.
Ci viene da pensare ad un’immagine di sportivo gladiatore che deve far andare avanti lo spettacolo a tutti i costi. Così com’è impostata l’attività sportiva adesso sembra di vedere degli atleti cavie che vanno in avanscoperta per vedere se il Covid è pericoloso anche con certe precauzioni o se invece ci si può fidare.
Per fortuna non è così ed i severi protocolli ai quali sono obbligati gli atleti di un certo livello autorizzati a frequentare i campi sportivi pubblici hanno già dimostrato che, almeno in Italia, il Covid non te lo pigli su un’area di 20.000 metri quadrati a fare sport in poche decine di atleti.
Qualcuno può osservare che questo è il punto. Bisogna essere molto selettivi perché se gli atleti sono venti o trenta è un discorso ma se sono cinquanta allora cambia tutto. Non mi risulta che gli impianti dove gli atleti ammessi sono arrivati a cinquanta o più abbiano avuto casi di Covid. D’altro canto ciò sarebbe in netto contrasto con le concentrazioni di persone ammesse anche al chiuso in altre attività.
20 atleti su un’area di 20.000 metri quadri vuol dire un atleta ogni 1000 metri quadrati. All’aperto. Se questi atleti sono cinquanta allora la quota di metri quadrati pro capite crolla a soli 400 metri quadrati a testa. Sempre all’aperto. Non è questo il problema. Semmai il problema è che in questa giungla burocratica quando il virus correva ancora forte sul nostro territorio, qualcuno si era sognato di dire che in un campo di atletica poteva starci un atleta ogni 65 metri quadrati. Tale uscita insensata. formulata da qualche personaggio che probabilmente non conosce la realtà quotidiana degli impianti per l’atletica, ha sortito l’effetto opposto: grazie ai regolamenti locali che hanno ovviamente la facoltà di modificare in senso restrittivo tali indicazioni in base alle varie situazioni ci si è trovati invece che un atleta ogni 65 metri quadrati (che su un impianto di 20.000 metri quadrati avrebbe concesso l’uso dell’impianto a 300 atleti contemporaneamente) ad un atleta ogni 1000 metri quadrati. Una soluzione molto più razionale avrebbe potuto concedere l’utilizzazione dell’impianto ad un numero oscillante fra 50 e 100 atleti che è il numero di soggetti che normalmente frequentano una qualsiasi pista di atletica sul nostro territorio.
Per farla breve, la nostra atletica già normalmente moribonda (per questo nessuno vuole tornare alla “normalità”) avrebbe potuto benissimo andare avanti con il suo tran tran salvo rispettare tutte le norme di distanziamento sociale che con i numeri dei nostri campi sono certamente applicabili anche senza alchimie particolarmente selettive. Insomma qualcuno ha pensato che le piste di atletica funzionassero come i centri commerciali e pertanto bisognava assolutamente evitare la bolgia infernale dove il virus danza in tutta libertà da un soggetto all’altro.
La nostra atletica non vive (e non viveva) i fasti dei centri commerciali e ha subito una mazzata storica grazie all’eccesso di burocrazia esasperato in seguito alla comparsa del corona virus.
Guardate che non sto assolutamente ignorando le insidie della pandemia-. Quando il campo andava chiuso era sacrosanto tenerlo chiuso. Ancora adesso io sostengo che sia presto per riaprire gli spogliatoi dove una eventuale trasmissione del virus può essere facilitata. Quanto ai servizi igienici purtroppo bisogna avere grandi precauzioni, ma dopo una timidissima apertura per pochi eletti era giusto e sarebbe giusto ora aprire i cancelli non dico a folle oceaniche ma almeno alle 50-60 persone che frequentano normalmente il campo. Se, in crisi di astinenza una folla di amatori vuole accedere al campo e tale folla supera un certo numero (80, 100? Discutiamone…) allora inventiamoci dei criteri di turnazione per fare in modo che questo numero non venga mai superato, però mantenere norme talmente rigide che consentono l’accesso al campo solo a 10-15 atleti mi pare troppo limitante.
Queste tutto sommato sono quisquilie di poco conto in un contesto sociale che vive un momento drammatico ma è proprio lì che io vedo una incoerenza di base.
Come per l’atletica anche nella società si inneggia al motto di un ritorno alla normalità ma come per l’atletica io penso che chi dice così abbia vissuto fino ad ora un mondo ovattato. Lo sport per tutti viveva già prima momenti difficili e alla stessa stregua la “società per tutti” non viveva grandi fasti. Al contrario il Covid ha scoperto nervi dolenti di una società caratterizzata da squilibri patologici e così c’è molta gente che non ci sta assolutamente a tornare come prima.
Le pubblicità recitano più o meno tutte nello stesso modo “Ripartiamo con entusiasmo!”. Se si vuole ripartire con entusiasmo bisogna rifondare tutto perché l’entusiasmo era già finito ben prima dell’apparizione del Covid. Nella società dei consumi il campo sportivo riapre per le esigenze dello sport spettacolo. In televisione continuano ancora a pubblicizzare una marea di prodotti inutili come se non fosse successo nulla ed i politici ci dicono che dobbiamo comprare quei prodotti per far ripartire l’economia ma qualcosa si è inceppato.
Da pazzo utopista io dico che lo sport dovrebbe informare la società invece che subirla. Ma io sono un soggetto poco attendibile perché ho già scritto che anche la scuola dovrebbe informare un nuovo mondo del lavoro invece di continuare a subirne uno non al passo con i tempi che non funziona più.