Non lo conosco nemmeno. Però lo definisco mio amico perché in un’era nella quale per definirsi amico di uno basta fare un “clic” io penso di essere decisamente amico di Vittorino Andreoli. Concordo pienamente praticamente su tutte le cose che scrive e la mia opinione diverge dalla sua solo in tema di religione.
La mia stima verso questo psichiatra è talmente grande che dopo aver letto alcune sue considerazioni sulla religione sono andato a parlarne con un mio amico prete (questo lo conosco davvero ed è da circa trent’anni che sa come la penso. Fra l’altro lui conosce davvero anche personalmente Andreoli) e questi mi ha rincuorato dicendo “Ah, stai tranquillo, Andreoli è un grande psichiatra, fra l’altro molto simpatico, purtroppo di religione non ci capisce mica molto, per fortuna che non ha fatto il prete…”.
Vabbè, il presunto “quasi ateismo” (fra l’altro io non lo ritengo per niente ateo…) di Andreoli non lo scredita ai miei occhi e non è di questo che voglio scrivere. Mi interessa analizzare invece un suo pensiero che fa più o meno così e che spero di non distorcere nella sua sintesi ed interpretazione: “Noi crediamo di vivere in una democrazia perché anche grazie ai social, a internet, possiamo scrivere ciò che vogliamo in realtà viviamo nella dittatura dell’informazione controllata e viene trasmesso di ciò che scriviamo solo ciò che fa comodo al mercato perché ciò che non fa comodo va certamente nell’oblio e non viene pubblicizzato. Anche gli uomini politici vengono elevati o repressi secondo questa logica di utilità al mercato”.
Ora le mie parole sono quelle di uno che non se la cava troppo bene con l’italiano (sono un insegnante di educazione fisica…) però spero di non aver distorto troppo il senso delle affermazioni di Andreoli. In ogni caso sono convinto che, anche se volesse denunciarmi, dopo aver letto qualche mio articolo su questo sito, cambierà idea perché avrà capito certamente che sono uno che non se la cava troppo bene con l’italiano ma nel mio sito tento di propagandare concetti che sono molto simili ai suoi (tranne che in ambito religioso come sottolineavo prima).
Diciamo che mi sento un mezzo “Andreoli dell’attività fisica”. Non sostengo molto il mercato e invito a diffidarne perché controlla l’informazione e ci vende cose che non ci servono. Peggio, se vendesse solo cose che non ci servono sarebbe quasi accettabile. Non è accettabile che per colpa del mercato sia offerta un’ immagine di attività fisica svuotata della sua essenza, che non serve ad un cavolo. Siamo in balia della consacrazione dell’apparire a discapito dell’umiliazione dei contenuti, della sostanza.
Quando io mi scaglio contro pesi, macchine da palestra e integratori alimentari non lo faccio solo perché sono convinto che non servano a niente, se non in casi del tutto particolari, per portare avanti un piano di attività fisica efficace ma lo faccio perché penso addirittura che questo business stia rovinando proprio la cultura dell’attività fisica relegandola a strumento di cura dell’immagine esteriore di se. Vince lo specchio sulla salute. Non si va in palestra per stare bene, si va in palestra per essere più belli. Così le palestre che dovrebbero essere quei luoghi dove ti insegnano a muoverti per lanciarti verso la conquista di nuove libertà di movimento diventano dei luoghi dove ti insegnano nuove costrizioni, dove ti mettono di fronte allo specchio e ti dicono che devi cambiare per essere alla moda. Non più nuove libertà ma nuove costrizioni. Nessuna democrazia, un solo modo di pensare, quello del mercato.
In questo sono terribilmente Andreoli e penso che se per sbaglio Andreoli (che mi piacerebbe tanto conoscere davvero un giorno) legge questo articolo finisce per leggerne altri, probabilmente più di quelli che riescono a sopportare la media dei miei lettori.
La cultura dell’esteriorità è devastante in palestra così come lo è nella vita di tutti i giorni. Non è importante come ti muovi, come stai, è importante come appari. Se il fisico è bello da vedere anche se come capacità di movimento sei imbranato come una foca e organicamente non godi di ‘sta gran salute quello non conta, l’importante è che il gluteo sia sodo. Praticamente chi ti racconta queste cose ti prende per i glutei, come ho già ripetutamente scritto sul mio sito.
Traslato alla vita di tutti i giorni questo concetto è ancora più devastante: non conta che ideali hai, cosa hai dentro, che valori, conta come appari. Sei quello che la tua immagine racconta di te. Se appari in modo gradevole allora è tutto OK anche se dentro sei vuoto, svuotato di valori che ormai sono solo ingombranti e danno fastidio al mercato.
Dobbiamo riappropiarci della capacità di pensare in modo critico, nell’attività motoria che deve esaltare le nostre capacità di movimento invece di reprimerle e omologarle ad un unico schema accettato dal mercato e anche e soprattutto nella vita dove la dittatura della televisione e dei telefonini sta uniformando l’informazione e ci sta condizionando l’esistenza in modo sempre più drammatico.
P.s.: in questo articolo non ho scritto (dopo circa un mese…) di corona virus e qualcuno penserà che sia il classico articolo scritto in altri tempi e pubblicato adesso che non ho un cavolo da scrivere perché tutti gli argomenti extra corona virus sono esauriti. Non è vero, questo articolo è stato scritto proprio oggi, in pieno clima di corona virus e sono convinto che non sia per nulla fuori dai tempi, perché mai come oggi televisione e telefonini stanno esercitando la loro dittatura. Qualcuno dirà che ci stanno salvando perché visto che non si può fare proprio un cavolo ci fanno passare il tempo in qualche modo finché siamo ingabbiati in casa. Io dico che ci possono aiutare solo se li usiamo in un certo modo altrimenti finiscono per rimbecillirci sempre di più e diventano un problema nel problema. Buon isolamento a tutti, speriamo che duri poco e non rinunciate mai a pensare con la vostra testa.