Per non continuare a farmi appioppare l’etichetta di matusa voglio sforzarmi di trovare qualcosa di positivo nell’atletica di oggi facendo un confronto con quella di ieri. Non è una missione impossibile e con un po’ di buona volontà ci si può riuscire.
Intanto partiamo dalle cose semplici, partiamo dal confronto con una quindicina di anni fa più che con quello con trent’anni fa. Direi che, almeno da qualche punto di vista, dal fondo toccato una quindicina di anni fa ci si è già staccati, almeno nei numeri. Almeno a livello di ragazzini, se non a livello di Junior-Senior, mi pare che ci sia stata una ripresa accettabile.
Facciamo poi uno sforzo e tentiamo di vedere il mezzo bicchiere pieno alludendo ad un certo clima che aleggia attorno alle manifestazioni odierne: è diminuita la drammatizzazione. Invece di dire che c’è meno vissuto emotivo diciamo che c’è meno pathos e dunque meno stress nelle competizioni giovanili.
Esageriamo in questo sforzo quasi filosofico ed aggiungiamo che di 500 ragazzini intervenuti ad una manifestazione ce ne sono si e no dieci o venti che sono lì per diventare dei campioni, gli altri, essenzialmente, sono lì per divertirsi.
Poi però non si può nemmeno bluffare e allora, senza distruggere i buoni propositi che hanno animato questa mia partenza vediamo di aggiungere qualche cosa che, pur essendo obiettiva, non sia distruttiva.
Siamo proprio sicuri che il fatto che solo dieci o venti ragazzini che partecipano ad una manifestazione di atletica siano lì per diventare dei campioni sia una bella cosa? Siamo proprio sicuri che questo sia un segnale di maturità e non sia invece il segnale di una precoce e terribile consapevolezza sul fatto che: “Tanto io l’atletica la faccio per un altro paio di anni e basta…”?
E’ aumentata la frattura fra sport di vertice e sport di base. Il ragazzino non si riconosce più come prima pedina di quel movimento che porta poi alla formazione del campione. C’è una distanza abissale fra l’atletica televisiva e quella dei campi di periferia. Forse anche per colpa del fatto che gli atleti di vertice non frequentano più le gare regionali. Quella che è stata disintegrata negli ultimi trent’anni è stata l’atletica di serie B, quella dei talenti non professionisti, anello di congiunzione fra i campioni ed i comuni mortali. Il campione simpatico di una volta, quello che andava a prendersi una sonora bastonata in un gara regionale perché fuori forma e poi andava a rappresentare la nazionale in tutt’altro stato di forma nelle gare internazionali, non esiste più. Nessun campione di oggi riesce a rimediare nemmeno un’accidentale sconfitta nelle gare regionali di oggi, è troppo il divario tecnico perché ciò possa accadere.
Allora senza cadere nel disfattismo da matusa e dire il solito “quella di un tempo sì che era atletica!” si potrebbe cercare di ricreare il clima positivo di commistione fra sacro e profano che regnava un tempo sui campi di atletica. Se la scelta di tirare giù dal piedistallo i professionisti è improponibile proviamo ad immaginare quella di una nuova incentivazione dei numeri due. Inventiamoci qualcosa per rendere interessante l’atletica dei numeri due. La strada è riuscita a dare motivazioni addirittura ad atleti che ci impiegano il doppio del vincitore per portare a termine una gara, possibile che la pista non riesca ad incentivare chi accusa un ritardo dal vincitore che è decisamente meno significativo anche se non paragonabile a quello ben più esiguo dei numeri due di qualche generazione fa?
Dobbiamo incentivare chi non riesce a correre i 100 metri in meno di 11″, chi non supera i 2 metri nel salto in alto, se riempiamo i campi con quel tipo di atleti riusciremo a sanare la frattura fra atletica di vertice e atletica di base. Come ragazzino non mi interessa andare a casa a vedere per televisione l’atleta che salta in alto 2 metri e 35 se posso vedere dal vivo sul campo quello che fa 1.95, ma sono costretto ad andare a casa a vedere la tv se non c’è sul campo un senior che sia uno che sfiora i 2 metri e l’unico atleta più performante del ragazzino è uno junior da 1 e 70 o un master da 1 e 60. Per quanto esempi di buona volontà quegli atleti non possono fungere da traino per quel ragazzino, non riescono a creare quel ponte che unisce l’atletica dei sogni dall’atletica di tutti i giorni.
L’atletica di oggi non è più moribonda, nei numeri si è ripresa ma scusatemi l’immagine, è ancora un po’ in coma e non ha ripreso la capacità di far sognare. Per svegliarla da questo coma, a mio parere, più che insistere nel pubblicizzare l’atletica spettacolo bisogna spettacolarizzare l’atletica di tutti i giorni, tornare a dare importanza al titolare di una certa disciplina di una squadra che non competerà mai ad armi pari con nessuna squadra militare, ma, accidenti, non toglietemi il gusto di poter far fare una brutta figura ad un atleta di una squadra militare anche se faccio parte di una normalissima squadra civile, altrimenti l’atletica non ridecolla più.