Non sto alludendo alle quote di iscrizione esorbitanti che lievitano continuamente per partecipare alle innumerevoli corse su strada sulle lunghe distanze in giro per il mondo. Per risolvere quel problema basta accorgersi di quanto è bello correre in pista, accontentarsi di distanze un po’ più brevi, anche se i 10.000 in pista non sono per niente brevi ed invece di continuare nella mania di andare a gareggiare dall’altra parte del mondo iniziare a gareggiare a dieci o venti chilometri da casa sulla pista più vicina. Quello è quasi un discorso filosofico più che pratico ma ciò a cui alludo con questo titolo non è il costo proprio monetario della corsa quanto il costo in termini di fatica, insomma, una volta tanto è proprio un discorso tecnico e non organizzativo.
La corsa economica non è solo quella dei tapascioni che si trascinano da una parte all’altra della città ad oltre 6 minuti per chilometro. Era corsa economica, anche se non molto elegante, pure quella di Michael Johnson che si spostava da un punto all’altro della pista distante 200 metri in poco più di 19″ (19″32 per l’esattezza) a quasi 40 chilometri all’ora oppure ci faceva un giretto in poco più di 43″ ed in quel caso erano solo i 34 km/h di media per coprire i 400 metri. Era corsa economica ma velocissima. Lo stesso Bolt, osannato interprete della velocità pura in tempi più recenti, è stato il vero Bolt fin tanto che è stato in grado di correre in 10″0 con estrema facilità, poi quando non riusciva più a correre facile ed economico in 10″ netti, anche se era ancora in grado di correre in 9″80 e dunque di vincere ancora, comunque non era più lui e di lì a poco ha abbandonato la scena.
Dunque corsa economica intesa come capacità di produrre una grande qualità di corsa spendendo poco, spendendo meno di quello che la maggior parte dei comuni mortali spendono per produrre quel tipo di corsa.
E per cui, girando la frittata il campione, è sì quello che nella sua specialità riesce a correre più forte di tutti (ai 40 all’ora se fa i 200 metri, ai 22 all’ora se fa i 10.000 metri) ma è anche quello che ai ritmi che servono nella sua gara riesce a fare meno fatica di tutti. Un diecimilametrista da 27′ sui 10.000 non può correre in 27′ se corre male ed antieconomico a 2’40” per chilometro, un duecentista da 20″ netti sui 200 non può correre in 20″ netti se già a 38 km/h è rigido, dispersivo ed antieconomico in modo esagerato.
Cosa sta a significare questa osservazione piuttosto ovvia e banale? Che invece di occuparsi sempre ed esclusivamente solo di correre forte e sempre più forte possibile bisogna occuparsi anche di economizzare il gesto ed imparare a correre ai ritmi che ci servono nel miglior modo possibile, più efficace, ma anche più economico e dunque meno dispendioso energeticamente, in una parola meno “faticoso”.
Se potessimo avere degli strumenti di bordo più che il solito stramaledetto cardiofrequenzimetro che ci dice tutto e niente, ci vorrebbe un ipotetico misuratore di fatica e se la fatica cresce (al di la della frequenza cardiaca che non sempre è direttamente correlata con la fatica) vuol dire che stiamo correndo male in un modo che non è idoneo a produrre quella velocità che cerchiamo.
Si tratta di ragionare in modo un po’ diverso dal solito. Invece di considerare la fatica come una variabile indipendente e tenerla fissa su livelli che molto spesso sono sconvenienti, fissare come variabile indipendente la velocità di corsa assestandola su un valore fisiologico ma comunque stimolante ed in base a quella vedere se si riesce a diminuire la fatica per arrivare a correre davvero quasi gratis.
Quel “quasi gratis” come definizione tecnica è abbastanza disorientante. Cosa vuol dire “quasi gratis”? Siccome non esistono parametri attendibili di misurazione della fatica, dimenticatevi che uno di quelli possa essere la frequenza cardiaca che è un parametro che vi porta semplicemente “fuori strada” per dirla con un modo di dire che piacerà agli stradisti, non abbiamo definizioni codificate per definire il problema.
Allora, trattando per immagini, non posso fare a meno di citare Loris Pimazzoni, grande atleta delle mie parti scomparso un paio di mesi fa che correva a 3′ per chilometro “quasi gratis”. Pimazzoni, che non ha poi siglato grandi tempi sulla maratona anche se su distanze più brevi aveva fatto fuori tutti, potrebbe essere la dimostrazione che forse non è sufficiente correre “quasi gratis” ad un certo ritmo per poter diventare un protagonista assoluto delle gare che si corrono a quei ritmi.
In ogni caso anche se Pimazzoni non era riuscito a costruire la capacità di resistere per 42 chilometri aveva dimostrato di avere l’economia di corsa tipica del maratoneta di alto livello. Lui era economico, correva “quasi gratis” a 20 chilometri all’ora, non a caso aveva corso 20.467 metri nell’ora su pista, non a caso aveva regolato tutti i migliori stradisti dell’epoca sulla mezza maratona con finali travolgenti dopo corse condotte a ritmi attorno a 3′ per chilometro.
Citando altri economici illustri su altre distanze, Sebastian Coe, Steve Ovett, Wilson Kipketer nel mezzofondo, atleti certamente veloci ma che hanno trovato nella capacità di produrre il ritmo gara con un’ economia impensabile la dote per vincere tante gare importanti. Questi non erano in grado di produrre avvii di gara molto più veloci degli altri ma al ritmo che occorreva per impostare queste gare di alto livello spendevano decisamente meno degli altri e pertanto arrivavano alla fase conclusiva della gara in grado di produrre finali strabilianti. Coe e Kipketer dopo 600 metri corsi in 1’16” erano ancora belli arzilli e pronti ad accelerare, Ovett dopo 1200 metri corsi in 2’55” era come appena partito e pronto per chiudere gli ultimi 300 in 38″. Qualcuno mi cita Rudisha per contestare questo mio ragionamento ma io sostengo che anche Rudisha conferma questo punto di vista nel senso che, nell’evoluzione della specialità, Rudisha è stato l’unico in grado di transitare ai 400 metri in 49″ senza spendere troppo. Se trent’anni fa il problema era passare in 50″ ai 400 senza morire il problema nel tempo si è spostato a 49″. Probabilmente se si potessero sovrapporre le epoche, il miglior Rudisha avrebbe portato a sfinimento anche Kipketer e Coe, però a difesa di questi due immensi campioni del passato c’è da dire che questi già un bel po’ di anni fa hanno corso in tempi che anche per Rudisha sono di grande rilievo e che comunque consentirebbero di vincere la maggior parte delle gare anche ai giorni nostri.
Insomma associamo sempre il concetto di campione al concetto di velocità e forza ma stentiamo a mettere in evidenza l’aspetto razionale e “sobrio” del campione. Il campione è anche un personaggio che sa dosare e calibrare alla perfezione le proprie energie e pertanto è pure uno che sa spendere meno degli altri, non è solo ricco di doti ma pure parsimonioso e non dispendioso. Questa cosa probabilmente va tenuta ben presente nella preparazione di tutti gli atleti di tutte le età visto che nessuno ci sta a sperperare le energie, soprattutto se non ne ha molte perché non ha talento da vendere, Se non avete talento da vendere… non vendetelo ed anzi mettete a frutto quel poco che avete nel modo più razionale possibile. E’ quasi un ammonimento evangelico…