Campo CONI, mattino, sul cancello è appeso un cartello non “sinistro” ma certamente singolare: “Oggi campo chiuso per gare studentesche”. Vado dentro, ci sono circa una quarantina di ragazzi abbastanza tranquilli che gareggiano controllati da un certo numero di professori (anch’essi abbastanza tranquilli…). Faccio il conto che se sono due classi probabilmente qualcuno è restato a casa, ma, probabilmente, dal numero di professori, sono ben più di due classi.
Vedo se ci sono controlli e visto che nessuno dice niente mi butto dentro. Al limite se mi dicono qualcosa gli rispondo che sono un ripetente di 53 anni che è la trentottesima volta che ripete la terza superiore. Poi non sono l’unico, un altro mio collega dovrà dirgli che è la quarantatreesima volta che ripete la stessa classe perché ha qualche anno più di me e un altro ancora è praticamente un bambino perché gli do poco più di trent’anni anche se poi scoprirò che ne ha di più.
Una buona parte dei frequentatori del campo non c’è. Hanno preso paura del cartello. Non sono venuti a livello “preventivo” (il cartello era fuori già da qualche giorno) o se sono passati da lì non hanno messo dentro nemmeno il naso.
Commento con il più giovane degli avventori che sarebbe opportuno che tutti i giorni qualche scuola si facesse un giro lì, magari anche più di due classi o comunque più di 40 studenti, che sarebbero molto ben accetti e non c’è certamente bisogno di chiudere il campo per una cosa del genere.
Mi dice che “…non ci sono più i Giochi Studenteschi di una volta”. E già li comincio a sospettare che abbia qualcuno in più dei poco più di trent’anni che dimostra. In realtà è un master della categoria over 45 nel senso che ha appena compiuto 45 anni e come da tradizione, siccome è un velocista io sapevo ben poco di lui. Questo è un retaggio culturale del passato che fa parte dell’epoca di quando i campi di atletica erano davvero affollati. I mezzofondisti conoscevano gli altri mezzofondisti, i velocisti conoscevano gli altri velocisti e così i saltatori ed i lanciatori. Adesso i numeri sono tali per cui è assolutamente possibile conoscersi tutti.
L’over 45 mi dice che ai suoi tempi i Giochi Studenteschi erano importanti, i ragazzi ci tenevano a fare bella figura ed era un onore sostenere il nome della propria scuola. Io che sono più vecchio di lui confermo che una delle maglie che vorrei proprio avere ancora è quella della scuola che purtroppo, come tutti, ho dovuto restituire perché non c’erano certamente i soldi per dare una maglietta personale a tutti.
Siamo concordi sul fatto che la scuola deve promuovere maggiormente i Giochi Studenteschi e dovrebbe renderli più importanti. Adesso contano solo le finali nazionali. Che una scuola sia la più forte della provincia non gliene frega niente a nessuno e non è certamente un obiettivo molto ambito. E’ un peccato perché l’atletica va rilanciata così.
Dico che una volta ci si allenava molto, perfino troppo, che tutto sommato ci si prepara in modo più razionale oggi, almeno nel senso che certamente non si esagera.
Mi da una risposta che è di una chiarezza disarmante: “Adesso è impossibile allenarsi troppo, non ci sono stimoli. Un tempo era il contrario, era impossibile allenarsi poco: c’erano troppi stimoli.”
Ed in effetti mi da una chiave di lettura dell’atletica contemporanea che non è del tutto inattendibile. Io, un po’ illuso, credevo che l’aspetto quantitativo della preparazione fosse passato in secondo piano perché i tecnici, forti dell’esperienza dei nostri massacri degli anni ’70 e ’80, si sono evoluti ed hanno capito che bisogna allenarsi meno ed in modo qualitativamente più soddisfacente. Invece la realtà è un’ altra e più semplice: adesso ci si allena di meno per il semplice motivo che non si trovano più ragazzi disposti ad allenarsi quanto ci allenavamo noi.
Allora l’atletica ha bisogno di idee, se non vuole funzionare solo come contenitore di ragazzini che praticano la propedeutica all’atletica per mollare tutto sul più bello che lo sport vero sta per cominciare (verso i 14-15 anni), deve inventarsi qualcosa per offrire nuovi stimoli. Non dico che si debba tornare ad allenarsi come un tempo ma è lecito attendersi la creazione di stimoli che abbiano almeno la vaga somiglianza di quelli di una volta.
Ma della maglietta della scuola adesso non interessa niente a nessuno, puoi regalargli anche la tuta della scuola che si e no che la guardano. Probabilmente gli stimoli da dare sono diversi. Siccome in termini di rendimento la scuola ha riacquistato una sacralità che è perfino pericolosa sarebbe proprio il caso, sul modello all’americana (visto che già in tantissime cose copiamo gli americani), di fare in modo che il rendimento sportivo entri a far parte del rendimento scolastico. Ovviamente parlando di sport più che il rendimento vero e proprio deve essere premiato l’impegno e non puoi premiare uno studente solo perché ha talento da vendere anche se è un grande lavativo ma ritengo che sia proprio opportuno premiare uno studente che con il suo impegno nello sport ha contribuito a tenere alto il nome dell’istituto scolastico. Nella provincia, non a livello nazionale. Questo è il punto, non si può snobbare qualsiasi risultato sportivo che non è di altissimo livello. Bisogna avere l’umiltà ed il buon senso di esaltare i risultati a livello locale. Una volta tanto impariamo dal calcio, sport nazionale, dove per un derby fra due paesi confinanti ci si scanna all’inverosimile. Senza scannarsi diamo importanza alla sfida fra gli istituti scolastici e rendiamo la conquista del posto a rappresentare la classe all’interno dell’istituto come un traguardo già importante.
E’ giusto che le tecniche di allenamento si evolvano verso un approccio più qualitativo che quantitativo ma non perché i ragazzi sono depressi, demotivati e ad allenarsi tanto proprio non ci stanno più. Abbassiamo la competizione scolastica sui banchi (assurda, improduttiva ed assolutamente inopportuna per preparare al mondo del lavoro) ed innalziamo il sano agonismo su piste e pedane: è l’unico sistema per riequilibrare lo scompenso fra attività fisica e bombardamento di nozioni che affligge ormai cronicamente la scuola italiana.