In Italia nell’appena concluso 2018 ben più di diecimila persone hanno portato a termine una maratona che è una corsa infinitamente lunga della distanza di 42.195 metri. Quelli che sono riusciti a correre ufficialmente i 100 metri almeno una volta in tutta la stagione sono stati meno di 4000. Perché? Per una questione di business e non certamente per una questione di salute. Rende molto di più agli organizzatori mettere in piedi una bella maratona che ti stronca nel fisico e nella mente che non organizzare uno splendido 100 metri che anche se fa molto bene a tutte le età, anche a cent’anni, non muove danari a sufficienza per poter essere considerato con attenzione.
Allora si può pure dire che ci muoviamo anche per riempire le tasche di qualcuno e non sempre per la salute, perché se i 100 metri, che in linea di massima fanno meglio alla salute, vengono corsi da molte meno persone di quelle che corrono la maratona vuol dire che non è soprattutto un fatto di salute.
Oltre che un fatto organizzativo c’è un fatto culturale dietro. Avete mai sentito un medico che consigli di andare a fare i cento metri? No di certo. E perché, visto che fanno meglio alla salute della maratona? Per il semplice motivo che il medico non consiglia mai nemmeno la maratona. Il medico vi dice: “Fate qualcosa, camminate, correte, fate qualcosa”. Voi iniziate a camminare, poi vi annoiate ed iniziate a correre perché vedete che sapete ancora correre e correre è più divertente che camminare. In una amen vi trovate nel turbillon della maratona, ma non è stato il vostro medico a spedirvi lì, è stato il business della maratona a risucchiarvi nel suo vortice. Tutto sommato vi è andata abbastanza bene perché qualcuno è pure stato risucchiato nel mondo dei pesi, in quel mondo dove chi ha più muscoli è più bravo e se li lucida pure per far vedere quanto sono gonfi. Almeno chi casca nella maratona, anche se rischia l’artrosi del ginocchio, si cura un po’ il cuore e migliora l’efficienza generale dell’organismo. Nessuno casca nel vortice dei 100 metri o del salto in alto o, se proprio parliamo di pesi, del getto del peso che, per chi è un po’ robustino di costituzione è una disciplina decisamente affascinante molto di più dei pesi intesi come accidenti da sollevare senza essere lanciati da nessuna parte. Sono vortici che non esistono, non c’è nessun business dietro alla pratica della vera atletica leggera amatoriale e così l’atletica leggera amatoriale viene intesa essenzialmente come pratica della corsa su strada, tutto il resto non esiste.
E’ vero che parlando di distanze comprese fra i 5 ed i 15 chilometri (ma estendiamoci pure alla battutissima mezza maratona che, pur essendo un po’ lunghina perché è 21.097 metri è comunque ancora una cosa abbastanza affrontabile più o meno a tutte le età anche se non deve essere reiterata un po’ troppo per non portare ad inevitabili squilibri muscolari) il gioco è molto salutare, divertente e facilmente affrontabile più o meno in tutte le situazioni, ma se ci svegliassimo un po’ fuori praticare la vera atletica leggera dovrebbe essere altrettanto facile e soprattutto più vario ed entusiasmante. Lo stradista che, nella maggior parte dei casi finisce per ammazzarsi di fatica nella classica Maratona, di solito si cimenta su distanze comprese fra i 10 ed i 21 chilometri della mezza appunto, poi, quando prepara la fatidica distanza intera, comincia a cimentarsi anche in allenamento su sedute di 25, 30, talvolta 35 chilometri che anche se possono aiutare ad affrontare il massacro della maratona sono esse stesse delle belle botte con le quali non esagerare, tanto è vero che i tecnici moderni con quelle distanze consigliano di andare molto cauti anche agli atleti di vertice perché c’è il rischio di rimanerne storditi invece che provocare i migliori adattamenti in vista della gara. In pista potrebbe essere tutto molto più vario perché il velocista può provare i 100 metri, i 200 metri, i 400 metri e se si lancia a fare pure gli 800 non compie certamente un peccato mortale. Il velocista, per il solo fatto che è veloce, sa già andare abbastanza distante nel salto in lungo e se è veramente reattivo può mettersi a provare tutte quelle specialità dove la reattività è importante, diciamo che a parte le corse dai 1500 in su dove la resistenza è determinante, può provare di tutto. Il resistente ha pane per i suoi denti anche in pista perché per fare i 1500 bisogna essere resistenti, ma anche per fare gli 800 anche se pare difficile crederlo, bisogna essere resistenti, tanto è vero che ci sono velocisti che gli 800 non li provano proprio mai ed altri che dopo averli provati una volta giurano di non provarci più. Il resistente, può spaziare dagli 800 ai 10.000 metri, splendida classica del fondo che dovrebbe godere di ottima salute visto il numero sempre crescente dei praticanti della corsa di resistenza, ed invece soffre in una crisi senza fine paradossalmente innescata proprio dalla corsa su strada che offre montepremi molto più allettanti di quelli della pista, soprattutto a bassi livelli. Sopravvivono un po’ le corse campestri, vagamente imparentate con la corsa su strada, ma anche lì, la versione pistaiola della corsa campestre, che è la splendida gara dei 3000 metri siepi, langue in un torpore cronico senza trovare nuovi adepti.
L’atletica amatoriale su pista è bella, entusiasmante e salutare ma non ha nemmeno il 10% dell’attenzione che ha la corsa su strada perché non è interessante a livello di business. Peccato, perché correre i 100 metri fa molto bene alla salute, anche se non lo sa quasi nessuno.