L’idea di trasferire la competizione dai banchi di scuola ai campi sportivi accennata in un articolo che trattava del bullismo, anche se non convince molti, incuriosisce alcuni e così mi pare giusto mettere i puntini sulle “i” su quelle che sono le mie idee di agonismo sportivo e accennare pure a cosa reputo “eccessivamente agonistico” nella scuola attuale.
Parto dal mio campo di competenza dove ho le idee molto chiare anche se non sono certamente quelle di buona parte dei miei colleghi in campo sportivo.
Io sono per un agonismo molto diffuso ma controllato nella sua intensità, soprattutto con riferimento agli atleti più giovani.
Partendo dai bambini della scuola primaria di primo grado direi proprio che più che di agonismo di deve parlare di gioco. Giusto giocare tanto e proporre un agonismo “giocoso” che però deve essere episodico e non assolutamente in un contesto eccessivamente strutturato.
L’agonismo dei bambini deve riguardare essenzialmente gli sport di squadra: calcio, pallavolo, pallacanestro e potrebbe essere parzialmente tollerato come agonismo di squadra anche in sport prettamente individuali quali l’atletica leggera. Negli sport individuali non sono d’accordo sul fatto che deva essere inserito l’agonismo vero e proprio già negli anni della scuola elementare., ritengo che sia troppo presto e dunque sia opportuno far “giocare” il bambino alle gesta dell’atletica o del nuoto o del ciclismo senza innescare dinamiche di vero agonismo che a questa età non sono facilmente gestibili. Pertanto in questa fascia di età direi che il gioco deve essere di tutti e l’agonismo di nessuno, almeno per quanto riguarda il vero agonismo.
L’età della scuola media, dagli 11 ai 14 anni, può essere la prima età nella quale si può cominiciare a parlare di agonismo, anche negli sport individuali, ma con una grande attenzione a non esasperare questo aspetto della pratica sportiva.
Di agonismo vero e proprio penso che si possa iniziare a parlare dalla scuola secondaria in poi e quindi dopo i 14 anni avendo l’accortezza di “verificare” (visto che poi si tratterà di verifiche) che questo agonismo non parta in quarta per poter essere ragionevolmente e fisiologicamente aumentato negli anni successivi.
Ovvio ipotizzare che l’agonismo di un diciottenne deva essere già considerato un agonismo autentico ma parlando di rendimento sportivo sono molto convinto che questa non deva essere l’età della massima tensione agonistica. Il diciottenne non è attrezzato a reagire positivamente ai grandi stress dello sport veramente agonistico e se è già maturo in tal senso a questa età rischia di patire dei clamorosi vuoti di concentrazione nelle età successive.
In tal senso io sono molto critico nei confronti del reclutamento sportivo da parte dei gruppi sportivi militari che istigano ad un atteggiamento autenticamente e marcatamente agonistico, quasi su base professionale a giovani che non hanno ancora compiuto la maggior età. Se si vuole entrare a far parte di una squadra di un gruppo sportivo militare verso i 19 – 20 anni perché dopo, per certe dinamiche sociali, potrebbe essere tardi, bisogna cominciare a ragionare in termini altamente agonistici già prima dei 18 anni, se non a 16. E ciò è un’ aberrazione dello spirito agonistico molto diffusa nel nostro paese che purtroppo trova giustificazione nel fatto che in Italia riescono a fare sport con spirito autenticamente agonistico dopo i vent’anni solo i giovani che sono accasati in qualche gruppo sportivo militare, per gli altri che non fanno parte di queste squadre conciliare la preparazione di uno sport di buon livello con lo studio è un compito improbo, una mezza utopia. E ciò è assurdo perché l’età del vero agonismo dove l’atleta ce la mette davvero tutta perché sa che qualche anno dopo sarà troppo tardi, dovrebbe essere proprio quella dell’Università, compresa fra i 20 ed i 25 anni. E’ vero che ci sono atleti al top agonistico anche a 30-35 anni ed oltre ma questi sono autenticamente agonisti solo in virtù del fatto che sono riusciti ad approdare allo sport di alto livello qualche anno prima. Praticamente nessun atleta che a 25 anni praticava sport in modo abbastanza superficiale è riuscito ad approdare all’alto livello della disciplina qualche anno più tardi. Vero che atleti già abbastanza performanti a quell’età sono riusciti a vincere competizioni importanti solo verso fine carriera ma quello è un discorso più complesso legato ad una lenta maturazione agonistica avviata comunque verso i 18-20 anni e non dopo i 25.
Dunque, sintetizzando, in campo sportivo io sono per un agonismo che deve partire in dolce attorno ai 12-13 anni per maturare lentamente fin verso i 18 e per concretizzarsi nella sua pienezza solo nell’età dell’università. Questo tipo di agonismo a mio parere deve essere capillarmente diffuso e non riservato solo ai ragazzini che già prima dei 14 anni si sono messi in evidenza con buoni risultati sportivi. I risultati sportivi di un quattordicenne non hanno alcun significato ed il genitore che tollera che il ragazzino snobbi la scuola perché pare già un mezzo campione non ha capito nulla. Questo è un peccato, e pure abbastanza grave, ma il peccato ancor più grave e purtroppo ancora più diffuso è quello del ragazzino che a 15 anni, prima ancora di cominciare a praticare sport davvero e dunque di cominciare a sondare davvero i suoi limiti, sentenzia che lui con lo sport ha già chiuso perché non si sente i numeri per poter “diventare qualcuno”. Questa è la grande follia: pensare che lo sport vero sia destinato solo a quelli che hanno elevate possibilità di diventare dei numeri uno. Lo sport autentico deve essere per tutti, non solo per i potenziali numeri uno e quando dico lo sport autentico non dico quello per buttare giù la pancia ma quello per sondare i propri limiti che non vanno scoperti a 17-18 anni ma ben più tardi verso i 23-25 anni.
Ho idee terribilmente chiare sull’agonismo nello sport: deve essere regolato, disciplinato e controllato perché è troppo importante per essere bruciato da ragazzini e, soprattutto, deve essere per tutti perché anche chi probabilmente non diventerà mai un campione ha diritto alla sua quota di vero sport, non solo i ragazzi che hanno la fortuna (o sfortuna?) di essere selezionati dai gruppi sportivi militari.
Detto questo mi inoltro nel territorio minato dell’agonismo scolastico, con più umiltà (non voglio nascondere falsa umiltà con riferimento all’agonismo sportivo: lì proprio umile non ci sono) conscio anche di ricevere gli attacchi di chi mi dice che di scuola non ci capisco niente e che non faccio mai i conti con i programmi ministeriali.
Io sono convinto che a scuola ci sia una competizione esasperata: si perde un sacco di tempo in un numero esagerato di verifiche che potrebbe essere decisamente ridotto e, ciò che più è grave che tali verifiche sono proposte in modo massiccio anche nella scuola primaria. Tali verifiche stressano il bambino-ragazzino e talvolta pure la famiglia che è sempre più invadente nei confronti degli impegni scolastici dei figli. Una volta i compiti se li facevano i bambini ed era la cosa più ovvia che potesse accadere, adesso dietro ai compiti del pargolo c’è l’intera famiglia che va in crisi perché i compiti sono pure difficili e non sono di immediata risoluzione nemmeno per gli adulti. Ci manca solo che l’adulto si giustifichi nel libretto di comunicazioni con la scuola scrivendo “Mi scuso se non sono riuscito a fare i compiti di mio figlio ma non ha avuto tempo di prepararmi…”.
Non me lo vedo un genitore andare a fare la competizione sportiva al posto di suo figlio e così non mi pare giusto che deva intromettersi nelle tecniche di apprendimento delle materie di scuola. Dobbiamo rendere i figli più autonomi, già dai primi anni della scuola e rispettare il loro tempo libero, avendo cura magari di controllare che tale tempo libero non sia buttato fra telefonini, tablet e televisione.
E’ ovvio che tutto ciò coccia contro i programmi ministeriali ma evidentemente i programmi ministeriali non fanno i conti con le nuove realtà quali quella che per esempio un ragazzino per fare una sola ora di sport può essere costretto a perderne quasi tre per motivi logistici. E’ chiaro che se la scuola potesse disporre dei mezzi e delle strutture per poter organizzare l’attività sportiva il ragazzino potrebbe risparmiare tempo importante da dedicare allo studio ma questa non è la realtà attuale della situazione italiana. Le strutture non ci sono, non ci sono nemmeno i mezzi finanziari per delegare la scuola alla gestione dello sport. Preso coscienza di ciò, ridurre il tormentone delle verifiche è il meno che si possa fare, se per giungere a ciò è necessario modificare i programmi ministeriali evidentemente la strada è quella visto che la manna del cielo non casca nemmeno per la scuola ed il sistema sportivo che abbiamo non ci consente di fare miracoli.