Che l’attività motoria possa essere più un’arte o una scienza è un dubbio amletico.
Personalmente mi rifiuto di credere che possa essere una scienza con riferimento alle gesta sportive di atleti di altissimo livello e spiego molto semplicemente il perché. Il campione è unico per definizione, allenarlo come si allenano tutti gli altri è un errore in partenza e molto spesso il campione è campione proprio in quanto capace di sopportare allenamenti che altri non sono in grado di sopportare. L’unico approccio scientifico che si può tentare con il campione è quello con i protocolli farmacologici che se non si vuole rischiare devono essere assolutamente standardizzati ed è proprio per questo che c’è una certa “giustizia morale” nei confronti degli atleti di alto livello perché in questo senso sono dopati più o meno tutti allo stesso modo, anzi non sono nemmeno dopati perché bisogna far vedere che l’antidoping funziona e pertanto i protocolli farmacologici adottati comunemente non possono essere chiamati doping, pena la denuncia per calunnia di chi osa chiamarli così. Le ingiustizie in tal senso vengono fuori incredibilmente quando l’antidoping ferma qualcuno per motivi del tutto incomprensibili mentre non si possono più chiamare ingiustizie quelle nei confronti dei pochi atleti puliti che sanno benissimo di giocare in modo un po’ pericoloso ed eroico in un mondo dove l’intervento farmacologico è la prassi.
Se l’unico approccio scientifico possibile è quello farmacologico, approccio che io personalmente detesto anche se mi rendo conto di essere rimasto ancorato a logiche arcaiche, per esclusione l’approccio metodologico tecnico è di tipo artigianale o meglio ancora “artistico”. L’empirismo regna sovrano, non vi sono assolutamente numeri e casistiche tali da poterci far inneggiare ad una presunta scienza dell’allenamento sportivo.
Abbandonato l’ambito dello sport di vertice che riguarda una ristretta elite di eletti si tratta di capire se possa esistere un approccio scientifico con riferimento alle gesta degli sportivi “normali”, di quei milioni di sportivi che fanno sport per divertirsi e per stare bene (secondo una interpretazione letterale della parola “sport”, il “vero” sport…). E anche qui io patteggio per l’arte anche se devo ammettere che trattando di grandi numeri un approccio scientifico è certamente possibile. Si tratta di vedere a chi giova questo tipo di approccio e chi può entusiasmare. Ebbene, pare strano dirlo, ma un approccio di tipo scientifico allo sport per tutti può essere sensato, giustificato ed addirittura auspicabile per uno Stato che grazie a questo approccio di tipo scientifico può programmare una maggiore diffusione dello sport per tutti presso la popolazione con conseguenti, anche se non immediati, minori costi patibili dal sistema sanitario nazionale. Ha senso programmare in modo scientifico lo sport per tutti perché è sui grandi numeri che possiamo fare una previsione di massima e ottenere quasi di sicuro quei risultati in termini di salute e quindi alla fine di bilancio dell’assistenza sanitaria.
Per cui, al paradosso, mentre il singolo cittadino è meglio che non programmi troppo il suo sport per non perdere quella giocosità che lo rende ancora più salutare ed ottima attività anche per combattere lo stress quotidiano, per lo Stato è importante programmare quelle mosse che possono garantire una grande diffusione dello sport per tutti.
Da noi, tragicomico dirlo, avviene esattamente l’opposto. Allo Stato non gliene frega praticamente niente se i praticanti veri dello sport per tutti sono la maggior parte o una minoranza sul totale della popolazione, è già tanto che non ti metta il bastone fra le ruote con assurdi controlli che dovrebbero essere resi obbligatori per i sedentari e non per gli sportivi che spendono già abbastanza per la loro salute visto che le strutture sportive quasi sempre sono a pagamento. Per quanto riguarda i singoli si assiste sempre più ad una parvenza di approccio scientifico nella preparazione anche di atleti amatori che con riferimento a questo tipo di sport dovrebbe essere piuttosto inutile ed inappropriato. Ci si diverte a scimmiottare i professionisti, si adottano improbabili diete che non sono certamente necessarie per raggiungere risultati sportivi di livello medio basso, si rinuncia a gareggiare quando non si è al top della forma quasi come se si dovesse salvaguardare un’ etichetta che deve fruttare ingaggi stellari. Insomma tutto quanto non riesce a programmare lo Stato per essere più capillare possibile nella diffusione dell’attività motoria lo fanno alcuni atleti delle categorie amatoriali con riferimento al loro approccio pseudo scientifico allo sport. Il vero artista è lo Stato che ha tanti piccoli scienziati del movimento.
E’ famosa nel mondo la fantasia degli italiani ma sarebbe più bello che questa fantasia si scatenasse nel modo di intendere lo sport da parte dei singoli che non da parte dello Stato che lancia mille idee a spot ma non ha un suo piano organico per la diffusione dello sport per tutti. Diciamo pure che lo Stato con il suo “possibilismo” non ci tarpa le ali nella scelta dello sport e del tipo di attività motoria che fa al nostro caso. Peccato che per molti italiani lo sport prescelto sia ancora il giro della tavola attorno alla quale si investono entusiasmi, sentimenti, grandi passioni ed uno spirito sportivo che poi si scatena davanti alla tv a guardare i campioni che fanno sport davvero.
Forse è solo un fatto culturale, la fantasia ce l’abbiamo e non per niente riusciamo anche ad eccellere in sport che da noi non sono molto praticati ma dire che siamo una nazione di sportivi solo perché riusciamo a fare figure discrete in molti sport nell’alto livello non è appropriato. con riferimento allo sport di base si può fare di molto meglio e gli unici sport veramente diffusi capillarmente sono solo il calcio a livello maschile e la pallavolo a livello femminile. Per quanto riguarda l’atletica, a fronte di un movimento di podisti che corrono su strada che è semplicemente mostruoso nei numeri abbiamo un movimento di atleti che pratica l’atletica su pista che è piuttosto deprimente anche se forse in leggera ripresa rispetto a qualche anno fa. Ed è qui che manca l’organizzazione statale, lo sport nella scuola, la disponibilità dell’impianto sportivo a prezzi popolari. Tutto è lasciato alla fantasia del cittadino che si limita a correre su strada perché non sa in quale altro luogo andare. L’idea di mettere degli spogliatoi nelle aree verdi più frequentate dai podisti è quasi un’idea del futuro e, piuttosto di niente, bisogna pure ammettere che non è un’idea da buttare però un piano organico per diffondere davvero lo sport per tutti non dovrebbe essere un’ utopia in un paese civile del terzo millennio. Al momento siamo solo degli artisti, armati di molta fantasia e poche strutture sportive. Chissà che con la buona volontà l’arte non possa produrre anche quadri d’assieme di discreto pregio oltre che isolate pennellate estemporanee.