GINNASTICA “TRANQUILLA” E SALTI MORTALI

Io non so quanto durerà la terra e non so se c’è qualche scienziato in grado di prevedere con una discreta precisione quanto possa durare. Temo che le variabili in gioco siano un po’ tantine per sbilanciarsi con sufficiente attendibilità su queste previsioni, non da ultima quella che a volte l’uomo pare pure un po’ scemo (leggi Hiroshima) e pare addirittura in grado di poter condizionare la durata del pianeta stesso.

So un’altra cosa, da insegnante di educazione fisica, che quando la terra finirà comunque il fantasma dell’esercizio sbagliato sopravviverà perché quello non può finire, è scritto nel firmamento.

Molte volte, in palestra, mi chiedono qual’è la giusta esecuzione di un tale esercizio ed io rispondo che a questa interessante domanda la risposta può darla solo chi formula la domanda perché io non sono nelle fibre muscolari e nei propriocettori del soggetto che mi fa la domanda e da fuori non vedo un bel nulla se non un’ esecuzione elegante, meno elegante, molto dinamica, meno dinamica.

Poi io ho un mio concetto di eleganza che è molto particolare e non ha nulla a che spartire con i canoni della ginnastica artistica (che non insegno in nessun corso). Per me è molto elegante il gesto atletico di quell’allievo che, quando non è oberato da impegni di lavoro e da impegni familiari, “torna” a ripetere le sue gesta di ginnastica “tranquilla” (io tendo a chiamarla così più che ginnastica di mantenimento perché ginnastica di “mantenimento” sa tanto da frigorifero più che da palestra…) anche se non sono intrise di un valore artistico molto elevato. Ritengo “elegante” proprio il fatto di riuscire a frequentare la palestra senza accusare danni da sovraccarico di alcun tipo e senza dover accampare scuse strane per andare a fare qualcos’altro di meno pesante.
Per certi versi sono un egoista, antepongo il mio desiderio di avere l’allievo in palestra alla sua necessità di esplorare nuovi mondi, nuove possibilità per farsi del male.

In sintesi non baratto la ginnastica “tranquilla” per i salti mortali e la mia correttezza professionale sta proprio nell’avvisare il cliente appena si presenta in palestra: “Qui facciamo ginnastica tranquilla, non insegno le acrobazie”. Non dico che una sia meglio dell’altra, ritengo che le acrobazie ci siano molti miei colleghi specializzati nell’insegnarle e se qualcuno vuole addestrarsi per quel tipo di attività fisica non ha che l’imbarazzo della scelta. Fra l’altro le acrobazie si possono imparare pure al circo dove ci sono un sacco di acrobati esperti e desiderosi di tramandare la loro arte.

Ora io mi sento investito di un compito insostenibile che è quello di provare a contrastare il fantasma dell’esercizio sbagliato, è una missione impossibile (ed io non sono certamente Tom  Cruise che è specializzato in quel tipo di missioni…) che la maggior parte dei miei colleghi ha rinunciato a perseguire e, molte volte, nel provare a giocare in questo ruolo mi sento un po’ come Don Chisciotte contro i mulini a vento, ma questo solo quando sono in vena poetica perché il più volte in realtà mi sento scemo e basta.

Non esistono esercizi sbagliati, esistono modalità infinite di esecuzione dei vari gesti più o meno utili per chi le esegue ed è su questa utilità che dobbiamo schiarirci le idee per non prenderci in giro. Essenzialmente gli obiettivi possono essere di due tipi: di ordine salutistico oppure di ordine sportivo agonistico. Nel primo caso il fine principale è la salute nel secondo il rendimento sportivo e dunque l’affinamento di una certa qualità del gesto per il conseguimento di un risultato sportivo.

Mentre nel primo caso devo selezionare il gesto più utile per ottenere il miglior beneficio possibile da quel gesto, nel secondo caso devo trovare le migliori strategie e gli adattamenti fisici opportuni per svolgere un preciso gesto che sarà indicato da dei modelli di competizione, da delle regole sportive. Nel primo caso il gesto è la variabile dipendente (quella indipendente è la salute che voglio raggiungere con quel gesto) nel secondo caso il gesto è la variabile indipendente e quella dipendente sono le strategie di allenamento per riuscire a realizzare quel preciso gesto nel modo più consono. Io sostengo che non esista un esercizio “sbagliato” nemmeno in questo caso perché quel povero atleta che non è riuscito a prendere un ottimo punteggio non ha sbagliato nulla nella sua sana presunzione di praticare un bello sport. Semmai l’esercizio potrà essere “sbagliato” quando l’atleta rovina a terra fracassandosi qualche legamento in una evoluzione del tutto improbabile. Per cui, anche a livello di ginnastica agonistica, più che di esercizio “sbagliato” dovremmo parlare di esercizio vincente o meno a seconda del punteggio che ti può dare.

Quando dico che sono egoista devo spiegare perché lo sono. E’ chiaro che è nei miei interessi avere l’allievo in palestra e per raggiungere questo obiettivo devo fare in modo che l’allievo rischi meno possibile, che non vada in sovraccarico, che ritenga l’attività che propongo eseguibile senza troppo stress. Questo allievo non diventerà mai un acrobata o meglio, se lo diventerà, non lo diventerà certo in virtù dell’apprendimento ottenuto nelle mie lezioni, al più, se tutto ha funzionato, nelle mie lezioni avrà imparato a non farsi del male con l’attività fisica (addirittura a farsi del “bene” se tutto è andato a dovere…) ma non avrà imparato a fare le acrobazie. Mi dicono che fra le acrobazie e certe esecuzioni di esercizio un po’ più spinte c’è una bella differenza e questo è certamente vero ma il concetto è comunque che io non proporrò mai un tipo di esecuzione più “difficile” ma potenzialmente a rischio per la struttura muscolare del mio allievo in luogo di una più facile che quasi di sicuro è più sopportabile anche se magari da un punto di vista estetico pare meno “elegante”.

Torniamo al concetto di eleganza. Ritengo che per un allievo che vuole muoversi per restare in salute sia più elegante riuscire a muoversi con una certa continuità in modo abbastanza tranquillo anche se non appariscente che non riuscire a compiere gesta degne di un soggetto in perfetta forma per poi pagarne le conseguenze con uno stop forzato di una durata indefinita.

Insomma, mentre l’atleta agonista è condannato a rischiare per ottenere il miglior risultato possibile, l’allievo che fa ginnastica per la salute è condannato a non rischiare per portare avanti con maggior continuità possibile la sua attività. In questa missione il fantasma dell’esercizio sbagliato deve essere ignorato anche se esiste ed aleggia in tutte le palestre dell’universo.