Un clamoroso calcio di rigore sbagliato, o forse nemmeno battuto, è quello che ha fallito lo scorso anno il presidente russo Putin quando ha avuto la possibilità di far capire al mondo che la Russia, quanto a correttezza sportiva, non ha nulla in meno degli altri stati. La Russia sportiva lo scorso anno è stata letteralmente “sputtanata” (mi si scusi il termine volgare ma non ne trovo di analoghi per definire l’azione esercitata dall’istituto dell’antidoping su questo movimento sportivo) a livello mondiale per colpa di una serie di controlli mai effettuati. Putin aveva a disposizione un vero e proprio calcio di rigore per riabilitare agli occhi del mondo intero il suo paese ma avrebbe così messo in ginocchio un certo tipo di mondo dello sport.
Io sono convinto che alla fine lo sport in toto ne avrebbe tratto beneficio, in ogni caso sarebbe stata un’autentica rivoluzione ed è chiaro che la parte lesa dello sport da un’eventuale clamorosa reazione di Putin sarebbe stata la parte dello sport che conta a livello economico, quella trainata dai mega sponsor, quella che appare sui teleschermi di tutto il pianeta.
Putin si è praticamente rifiutato di battere questo importante calcio di rigore, ha preso la rincorsa ma poi non lo ha calciato. Ha preso la rincorsa quando ha ammesso che nella sua nazione molti atleti hanno letteralmente saltato dei controlli antidoping che proprio non sono stati effettuati, poi quando doveva spiegare perché questa cosa non era così mostruosa nel panorama internazionale si è fermato. E ha lasciato che la Russia passasse per il nuovo demone dello sport mondiale. O meglio quei quattro pirla che invece di stare al gioco come tutti gli altri, facendo i “doverosi” controlli, non solo non li hanno fatti ma si sono pure messi in tasca i soldi dei controlli non effettuati. Diciamo che sono stati semplicemente patetici e affamati di danaro in modo clamoroso perché mettersi in tasca quei soldi rischiando di sputtanare tutto lo sport mondiale (e non solo quello russo…) non è stata una bella mossa.
Putin ha limitato i danni, con le coda fra le gambe ha ammesso i clamorosi errori dei suoi dirigenti e… non ha battuto il calcio di rigore.
Era nella logica, anche se Putin ha dimostrato in altri frangenti di non farsi pestare i piedi da nessuno (a livello politico, al contrario pare fin troppo permaloso ed intransigente, altro che remissivo ed ubbidiente…) di fronte alle logiche dello sport mondiale di vertice non ha osato contestare nulla ritenendo che la sua Russia abbia potere zero in tema di sport confronto alla potenza dei grandi sponsor internazionali.
Perché ne scrivo adesso che è passato più di un anno e ne ho trattato solo in modo marginale quando il fatto è accaduto? In primo luogo perché invece di scrivere a vanvera volevo accertarmi che anche su tale questione di doping scendesse l’oblio come su tutte le altre e venisse debitamente insabbiata e archiviata come una questione riguardante solo una parte di “disonesti” e poi perché adesso a me il calcio di rigore per scriverne è offerto dal fatto che ultimamente hanno pigliato positivi un paio di personaggi nel calcio. Poca cosa, quel tanto che basta per far capire che nel calcio non c’è questo grande abuso di farmaci, solo qualche scemo che si dopa senza avvisare il club di appartenenza.
Il calcio è arrivato al doping sistematico con circa vent’anni di di ritardo sul altri sport quali ciclismo, atletica e nuoto, vi è arrivato più o meno ad inizio anni ’80 e l’unico torto che ha avuto è stato quello di ostacolare in modo ancora più clamoroso di quanto abbiano fatto gli altri sport tutta l’informazione sull’abuso di farmaci nello sport di alto livello. Praticamente da quando il doping è arrivato al calcio non si è più potuto chiamarlo doping. Peggio, non solo non si è più potuto chiamarlo doping, non si è più potuto affrontare nemmeno l’argomento. Così è nata la “tolleranza zero”. Tolleranza zero nei confronti di chi ne parla. Non è che nel calcio il doping sia più evoluto che negli altri sport, non c’è mai stato il grande sorpasso, i più all’avanguardia in tal senso continuano ad essere altri sport, il calcio si è dimostrato subito solo come leader nell’occultamento dell’informazione sull’uso sistematico dei farmaci nello sport di alto livello.
Quando un paio di calciatori vengono trovati positivi all’antidoping si applicano le regole dell’antidoping al calcio così come viene fatto in tutti gli altri sport. E non è che quei due pirla presi non siano positivi. No, quelli per chissà quale motivo, positivi lo sono davvero (magari non lo sanno nemmeno loro il perché e da un punto di vista morale sono pure innocenti). Il problema è che la positività di quei due giocatori non serve assolutamente a risolvere il problema dell’uso ed abuso sistematico da parte degli atleti professionisti del supporto farmacologico adottato per sostenere preparazioni un po’ troppo consistenti in volume di allenamento.
La domanda cruciale è se questo modo di agire sia effettivamente pericoloso per gli atleti. Io sono convinto che in realtà sia meno pericoloso di ciò che succedeva quarant’anni fa quando si usavano i farmaci a vanvera come fossero noccioline e non esisteva nessun protocollo di trattamento sistematico e standardizzato. Praticamente quasi di sicuro il trattamento farmacologico è meno pericoloso adesso che farmaci se ne usano molti di più di una volta quando di farmaci se ne usavano meno ed erano le solite tre o quattro fesserie normalmente reperibili in farmacia.
La differenza fra un vigile ed un atleta di alto livello nell’esercizio della propria professione è che mentre il vigile quando si piglia il proprio stramaledetto broncodilatatore per lavorare sull’incrocio super inquinato è controllato solo dal suo medico di base, l’atleta di alto livello è controllato da medici altamente specializzati sulle problematiche sportive. Io mi auguro che anche il vigile possa venirne fuori sano grazie alla preziosa collaborazione del suo medico di base ma, tutto sommato temo che fra i due soggetti sia quello a rischiare di più. Diciamo che, come minimo, non ha anche il riscontro dell’agenzia mondiale dell’antidoping a dirgli se magari con un determinato farmaco non sta un po’ esagerando.
Forse da questo problematico articolo non si è ben capito come Putin poteva battere quel “calcio di rigore” e che nesso ci sia fra quel rigore fallito e questi due pirla che in questi giorni cascano nella rete dell’antidoping pure nel calcio. Poteva semplicemente dire che i suoi collaboratori dello sport hanno fatto una scemata mondiale intascando i soldi dei controlli senza farli ma poteva anche aggiungere che il problema dell’abuso dei farmaci nello sport di alto livello non si risolve sputtanando lo sport russo quasi come se fosse una vendetta per quanto fatto cinquant’anni prima.
Sì perché agli occhi del grande pubblico questa grande operazione dell’istituto mondiale dell’antidoping è suonata come una vendetta. Visto che lo sport russo ad inizio anni ’60 è stato il primo ad adoperare la ricerca scientifica ivi incluso il ricorso alla farmacologia per migliorare le prestazioni degli atleti di spicco allora adesso, cinquant’anni dopo, gliela facciamo pagare. Ormai lo sanno tutti che la Russia di adesso è allo sbando e non ha nemmeno i soldi per trattare gli atleti (il fatto che vadano ad intascarsi i soldi dell’antidoping è sintomatico…), la Russia non è certamente più all’avanguardia nel doping. Ma bisognava fare una certa “pulizia”, con lo stesso spirito con il quale è pure opportuno beccare qualche calciatore scemo. La sostanza non conta. o meglio la “sostanza” conta tantissimo: puoi prendere solo quella che ti viene autorizzata dall’agenzia mondiale dell’antidoping, ma non dirlo in giro altrimenti viene fuori che l’antidoping è solo una grandiosa pagliacciata.