Sono convinto che ci sia una componente psicologica determinante in tutto lo sport. In quello di alto livello per una serie di motivi anche molto complessi che non c’entrano nulla con quelli dell’amatore ma che sono in grado di modificare il rendimento sportivo in modo decisivo, nello sport amatoriale in modo quasi più importante perché anche se le dinamiche sono semplici c’è sempre di mezzo la prosecuzione o l’abbandono dell’attività sportiva.
Per certi versi potemmo dire che la componente psicologica nello sport di base è ancora più importante che in quello di vertice perché mentre in quest’ultimo grazie al denaro l’atleta resta comunque sempre agganciato al mondo sportivo e, semmai, avrà minori introiti se il suo rendimento non è di altissimo livello ma proprio per questa causa economica l’atleta non esce dal mondo dello sport, nel caso dell’atleta di basso livello invece l’aspetto psicologico può essere letale perché si va dalla carica che ti porta a gestire lo sport con l’entusiasmo di un professionista (anzi di più perché con meno incubi) alla paranoia che ti porta all’abbandono totale delle pratica sportiva.
Dietro all’abbandono precoce dell’attività sportiva di base (non quella professionistica) non vi sono quasi mai motivi di natura fisica ma motivi di natura squisitamente psicologica: la causa fisica è sempre una balla spaziale, una scusa che raccontiamo a noi stessi per sentirci meno in colpa per avere abbandonato un’attività che sappiamo benissimo che fa bene alla salute.
Dunque è più che giusto dedicare molta attenzione all’analisi delle cause psicologiche che possono portare a far salire l’entusiasmo verso una data attività o che, al contrario, possono rendercela noiosa e problematica.
Una delle motivazioni devastanti a livello psicologico per scegliere l’attività fisica è quella di scegliere un determinato sport in base agli effetti estetici che può produrre sul proprio fisico. Invece che andare a vedere se è divertente e su può far bene alla salute si va a vedere che effetti estetici può produrre. Uno sport affrontato così è deprimente in partenza e non può durare molto. Quasi di sicuro si instaureranno delle cause psicologiche anche abbastanza razionali che porteranno all’abbandono di quella pratica sportiva. Quando invece l’attività sportiva piace, è divertente e produce effetti benefici per la salute non esistono cause razionali per un suo abbandono e teoricamente può accompagnarci per tutta la vita. In quei casi a volte si instaurano comportamenti poco razionali a farci deviare e così nonostante che quell’attività sia utile e ben calibrata si può arrivare a troncarla per cause strane dettate da sensi di colpa, motivi organizzativi che con un po’ di determinazione potrebbero essere risolti. Quelli sono momenti importanti perché per colpa di qualche tara psicologica che potrebbe benissimo essere risolta ci si mette in strade senza ritorno e così quella certa attività che poteva essere condotta per sempre viene interrotta anche per venti o trent’anni, se non per sempre.
Fra queste motivazioni bislacche dettate per lo più da stereotipi culturali di tipo arcaico ci sono il tipico “Non avevo più tempo per motivi di studio”. Quando dovrebbe essere proprio la struttura che ti fa studiare che si occupa anche di fornirti l’assistenza per la tua attività sportiva. Più tardi il senso di colpa porta al pronunciamento del mitico “Non avevo più tempo per i troppi impegni familiari” quando dovrebbe essere proprio la famiglia ad occuparsi del fatto che ogni suo singolo membro abbia il tempo necessario per svolgere le cose di vitale importanza. E’ curioso perché questi soggetti che abbandonano una sanissima pratica sportiva per la famiglia sono gli stessi che più tardi, beccati in flagrante con l’amante (fa pure rima), si giustificano dicendo che è stato un momento di sbandamento ed insomma una scappatella può capitare a chiunque. Non è il concetto della scappatella, sul quale non mi dilungo altrimenti mi metto a fare la concorrenza alle riviste di gossip, ma il concetto che questo fino a pochi anni prima ha fatto l’eroe che si immola per la famiglia e pur di far andare avanti le cose nel modo migliore possibile rinuncia anche all’irrinunciabile poi salta per aria e cade rovinosamente nella più bassa delle perdite di stile che può avvenire per una persona adulta che ha fatto un certo tipo di scelte.
Insomma cause psicologiche che possono portare all’abbandono (o anche alla scoperta in chiave positiva) di un’attività sportiva ce ne sono molteplici e possono sembrare tutte giuste ma in realtà se sono inventate per smettere la pratica sportiva sono tutte sbagliate. Poi ci sono le cause sbagliate di invenzione del nuovo sport e questo succede per lo più nei sedentari che fanno finta di accostarsi ad una attività fisica che sanno benissimo che abbandoneranno subito. Il problema del sedentario è che è attorniato da una folla di rompiscatole (chi gestisce questo sito è uno di quelli…) che stanno lì a dire “Ma muoviti, devi fare qualcosa, devi smetterla di fare il sedentario assoluto!” Una delle mosse più istintive, per reagire a chi ci aggredisce così è iscriversi in palestra, ma iscriversi in palestra non serve proprio a nulla. Non è che quando il personaggio con la falce ti viene a prendere perché hai il colesterolo a 270 puoi esibirgli il tesserino della palestra per mandarlo via. Questo ti viene a prendere, se sei capace di muoverti abbastanza per cacciarlo via se ne va, altrimenti ti corre dietro anche se sali in macchina per andare all’ospedale.
Molti soggetti che riprendono a fare attività fisica sono ex infartuati e c’è da dire che rispetto a quelli che lo fanno per la prova costume gli ex infartuati hanno una marcia in più. Sono più assidui, non fanno attività solo sei mesi all’anno in vista della prova costume perché sanno che il personaggio con la falce può arrivare benissimo anche d’inverno quando la prova costume non c’entra proprio nulla, non partono in quarta come gli scalmanati che vogliono a tutti i costi buttare giù peso velocemente. Non è bello dire che in molti dovremmo imparare proprio da loro ma… è così.
Fra l’altro sono anche più furbi degli altri perché sapendo che con l’attività fisica ci dovranno aver a che fare fin che campano tendono a scegliersi attività gradevoli che si possono tranquillamente sostenere nel lungo periodo senza andare in crisi “psicologica” (il vissuto psicologico che ricorre…).
Un concetto base per affrontare psicologicamente nel verso giusto una certa attività fisica è comprendere se questa è un’attività nostra o se è un qualcosa che c’è stato proposto dagli altri per adeguarsi ad un certo stile di vita. Se l’attività fisica è un qualcosa di nostro nessuno ce la potrà mai portare via e nessuna causa sarà così nobile da sacrificarla. Saremo molto disposti ad ascoltare chi ci da consigli in proposito ma ci renderemo perfettamente conto di essere i primi responsabili di ogni variazione della nostra attività fisica pertanto non faremo come quel tale che si è buttato nel fosso solo perché gli è stato suggerito da un luminare della scienza. Chi invece fa attività sportiva per difendersi dalla società parte con il piede sbagliato e sarà sempre a giocare sulla difensiva pronto a cambiare l’attività per stare alla moda e per reagire nel migliore dei modi alle esigenze della società.
Non si fa sport per adeguarsi alla società ed essere più alla moda, si fa sport per aver più energie per riuscire a cambiarla. Poi si può decidere se mettersi in atteggiamento contemplativo ed assaporare nel migliore dei modi tutto ciò che già funziona o se prodigarsi perché ancora più cose funzionino meglio ma in ogni caso lo sport non è uno strumento di anestetizzazione della propria personalità quanto uno strumento di costruzione del proprio io. L’uomo che fa sport al di la della sua prestanza fisica è in primo luogo un uomo e come tale ragiona e dunque reagisce agli stimoli dell’ambiente circostante in modo critico selezionando ciò che è utile e ciò che non è utile. Lo sport vero è sempre utile.