Mi si precisa che il salario dei cinesi sta aumentando ed è arrivato ad essere mediamente più alto di quello dei brasiliani, che i cinesi non producono solo cose inutili, che non saremo in grado di insegnare il comunismo ai cinesi perché non l’abbiamo mai conosciuto e la storia non torna indietro e che, per quanto riguarda il reale e concreto problema della sedentarietà cronica degli italiani (bambini ed adulti) è alquanto arduo metterlo in relazione alla mancata rapida diffusione dell’auto elettrica o all’iperproduzione cinese. In sintesi l’articolo su “La bilancia di una volta” ha un vago sapore poetico ma non è attendibile per fare una critica alla società odierna.
Da malato di televisione come la maggior parte degli italiani rispondo a ‘mo di Rischiatutto. Con ordine, un punto per volta.
Mi fa piacere che i cinesi vedano migliorare almeno di un po’ le loro condizioni di sfruttamento, mi spiace per i brasiliani che, evidentemente, raggiungono paghe da fame. In ogni caso come stereotipo di lavoratore indefesso, ubbidiente e perfettamente funzionale al sistema noi abbiamo ancora il cinese che lavora a ritmi impressionanti e lo paragoniamo spesso ad una specie di robot. Meglio se questo robot riesce ad essere felice ma purtroppo bisogna evidenziare che il problema non è solo la sua condizione quanto la sostenibilità dell’intero sistema. Non ho scritto che i cinesi producono solo cose inutili (e questo è il secondo punto che si fonde con il primo) ma che producono soprattutto cose inutili e che in ogni caso l’iperproduzione cinese (così come quella indiana, quella brasiliana e quella di tutti i paesi che con la scusa che producono a basso costo producono a ritmi infernali) non è sostenibile da un punto di vista dello sviluppo razionale del pianeta. Da un punto di vista economico è sostenibile e prova ne sia che l’economia cinese sta ancora migliorando ma da un punto di vista globale non è sostenibile per il semplice motivo che il nuvolone asiatico è grande centinaia di volte il già famoso nuvolone della Pianura Padana. I costi ecologici di questo disastro non sono stimabili e se non facciamo a tempo ad accorgercene noi (ma chi si mantiene in salute se ne accorgerà) se ne accorgeranno certamente i nostri figli che ci potranno accusare di aver portato avanti delle politiche miopi improntate solo sui problemi economici immediati del pianeta ma non su quelli di qualche decennio dopo.
Un problema di questa iperproduzione è che i rifiuti che produce devono essere smaltiti da altri paesi. Il prodotto viene esportato e quindi eliminato all’estero. I rifiuti sono un problema per tutti non solo per chi produce. Acquistare un sacco di cose perché costano poco senza porsi il problema del loro smaltimento è un vecchio modo di ragionare che non fa i conti con la nuova realtà. Nel costo di ogni prodotto dovrebbe essere conglobato anche il costo di smaltimento che occorrerà sostenere quando si dovrà smaltire quel prodotto. Invece qui si acquista a più non posso senza porsi il problema che aumentare i rifiuti comporta comunque un costo. Se l’economia cinese fosse un’ economia interna il problema sarebbe mitigato invece bisogna proprio ammettere che la Cina inquina il mondo due volte: prima con il nuvolone scaturito dall’iperproduzione e poi con lo smaltimento dei prodotti che vengono esportati e che diventano quindi un problema globale e non solo cinese. La produzione alimenta il nuvolone che, pur essendo asiatico, comunque gira per il pianeta, lo smaltimento dei prodotti avviene per lo più fuori dai confini di produzione, dove viene esportato e venduto.
Delle regole di mercato che tengano presente di questa situazione sarebbero quanto meno auspicabili e non si capisce perché gli USA che sono sempre stati il paese “gendarme” del mondo dalla seconda guerra mondiale in poi, siano assolutamente indifferenti nei confronti del nuvolone asiatico anzi se ne facciano scudo per affermare che tutto sommato gli USA non inquinano poi molto almeno in confronto a quanto fanno i cinesi. Non si tratta di scatenare guerre (anche se una guerra dei mercati, di fatto, è già in atto e produce crisi economiche in molte parti del pianeta) ma semplicemente di regolamentare il mercato in modo moderno tenendo presente che l’iperproduzione non è il modello proponibile per percorrere uno sviluppo sostenibile. Non possiamo vietare alla Cina di produrre ciò che vuole ma si possono orientare i consumi secondo politiche di sviluppo orientate in un certo modo. Le politiche attuali sono decisamente arcaiche impostate su un barbaro “Consumo il più possibile acquistando dove il prodotto costa meno senza pormi problemi di alcun tipo”.
Tutto è legato, la globalizzazione implica che problemi dell’economia cinese si ripercuotano su tutto il pianeta. Il cinese in crisi non viene più a fare il turista in Italia perché non ha i soldi per arrivarci e danneggia anche l’economia italiana. Non è certamente permettendo l’iperproduzione selvaggia che salvi il turismo. Si tratta semplicemente di ammettere che alcuni assunti base del sistema capitalista hanno trovato riscontro negativo dall’estensione del sistema capitalista a gran parte del mondo. Non si tratta di insegnare il comunismo ai comunisti (terzo punto) ma si tratta semplicemente di escogitare un sistema economico che possa porre rimedio alle falle evidenziate dal sistema capitalista all’indomani del crollo dei grandi sistemi comunisti. Sembra quasi che il sistema comunista per dimostrare l’utopia del sistema capitalista abbia prima dovuto annientare se stesso. Questa è fantapolitica, dimentichiamo un attimo la fantapolitica e concentriamoci sui problemi ecologici che sono terribilmente attuali e sono riscontrabili direttamente anche nel nostro piccolo non solo nel nuvolone asiatico.
L’auto elettrica può essere correlata in qualche modo alla sedentarietà perché la possibile diffusione dell’auto elettrica (continuamente procrastinata) poteva essere un sistema per rivedere tutto l’assetto della mobilità nel nostro territorio. Al momento l’imperativo è ancora muoversi più velocemente possibile ed il tema inquinamento è subito con indifferenza. L’auto elettrica potrebbe essere quella che ti mette il problema inquinamento in primo piano. Se è così dobbiamo rinunciare ad auto molto veloci perché la velocità costa e per dirne una il problema di autonomia delle auto elettriche che ne limita di fatto l’attuale diffusione si può risolvere al momento solo diminuendo la velocità delle vetture. Se accettiamo di tollerare un traffico più lento (i famosi 30 chilometri all’ora nelle strade urbane) allora possiamo già iniziare a proporre la mobilità con mezzi elettrici, altrimenti siamo ancora condannati ad usare il gasolio che anche se consente prestazioni eccellenti e non ti pone alcuna limitazione di autonomia è decisamente inquinante.
Il mio giro è molto largo quando affermo che la nostra sedentarietà è collegata anche con l’iperproduzione cinese ma insomma se la nostra vita è devastata da telefoni cellulari, tablet e computer dipende anche dal fatto che queste cose te le tirano dietro a prezzi abbordabili per tutti e vengono pubblicizzati con una continuità stordente. I cinesi li producono a basso prezzo noi li pubblicizziamo alla grande ed il gioco è fatto.
Poi accade che quando andiamo al cinema andiamo a vedere film degli anni ’70 perché siamo nauseati di vedere come ci siamo ridotti con la nostra tecnologia invadente ma questo lo pensiamo solo quando andiamo al cinema perché poi il cellulare è sempre acceso e la conversazioni durano al massimo 72 parole in onore alla dittatura del cellulare.
Quella sulla bilancia di una volta, purtroppo, non era una poesia e che parte dei discorsi ispirati da quella bilancia possano essere fatti anche qui sopra dove si tratta essenzialmente di attività motoria dimostra come siamo tutti legati nelle nostre scelte anche su cose che ad un primo esame potrebbero sembrare non avere collegamento fra loro. Si tratta sempre di meditare che è ciò che un noto comico cabarettista italiano diceva (e può dire ancora) di fronte ad una birra. Io continuo a sostenerlo anche senza birra. Meditate gente, meditate.