Questa non è una critica alla scuola italiana e se qualcuno la ritiene tale vuol dire che ha una visione molto riduttiva della scuola italiana. E’ una feroce critica al metodo direttivo e bisogna ammettere che quel metodo gioca ancora un ruolo troppo importante nella nostra scuola ma bisogna anche aggiungere che qualche timida speranza di farlo andare in soffitta esiste. Io dico sempre che una delle tragedie della scuola italiana è stato il 1968, o meglio gli anni immediatamente seguenti allo stesso, quando con la scusa di rimettere nei binari una scuola funzionante si è gettato il bambino con l’acqua sporca. Tutto ciò che non è metodo direttivo è stato massacrato negli anni immediatamente dopo quel periodo e così siamo riusciti a bloccare l’evoluzione della scuola per un bel po’.
La rivoluzione culturale portata avanti dal ’68 è stata identificata come la contestazione del metodo direttivo. Invece quel tipo di contestazione era una cosa ben diversa che abbracciava ben altri ambiti del solo metodo di studio. Era vera e propria politica. La politica ne è venuta fuori e politicamente ha deciso che la scuola doveva essere strutturata in un certo modo. Praticamente il metodo direttivo è stato salvato per meriti politici. Era talmente importante che fosse portato avanti un certo tipo di organizzazione scolastica che per “comodità” si è salvato il metodo direttivo anche dalle critiche fondate che gli erano state mosse dal movimento “politico-culturale” del ’68.
Non sto salvando i sessantottini, al contrario li sto accusando nel senso che per colpa della loro aggressività (che spesso è sinonimo di ignoranza) la scuola italiana si è successivamente bloccata anche laddove avrebbe avuto bisogno di un profondo rinnovamento. Del senno di poi son piene le fosse, in ogni caso stiamo ancora pagando gli effetti di quella “restaurazione” scatenata da una protesta scoordinata, caotica e assurdamente portata avanti su troppi fronti.
Dopo questa premessa storica, che mi serve invece per giustificare la scuola, per far capire come possa essere una vittima di questo sistema di studio più che la garante dello stesso, atterro sulle mie miserie quotidiane e vi faccio capire come io possa essere uno dei più accaniti detrattori del metodo direttivo.
Nel metodo direttivo non si scopre nulla. C’è un maestro che insegna il “dogma” agli allievi e c’è questo passaggio di informazione dall’alto al basso, in un’unica direzione, che deve essere gestito nel miglior modo possibile dall’insegnante e quando questo passaggio di informazione è finito la questione è morta lì. Non c’è innovazione, non c’è trasformazione dei contenuti, non si perde nulla, non si conquista nulla. Diciamo pure, se vogliamo darne dei connotati politici, che è un sistema “conservatore”, di conservazione e perpetuazione dell’informazione.
Ora dire che questo sistema sta funzionando bene in un’ epoca dove in pochi anni si perdono anche i dialetti, che potrebbero sembrare un patrimonio culturale inestinguibile, è una bestemmia. Anche se impera il metodo direttivo c’è comunque un inquinamento dei contenuti che porta a grossi stravolgimenti del modo di vivere in pochi anni (si pensi per esempio al fatto che i bambini non parlano più il dialetto nemmeno nelle campagne). L’unica costante è che alla faccia di questi mutamenti culturali impera ancora il metodo direttivo ed impera in un modo curioso. Non possiamo dire che sia uno strumento utilizzabile dagli insegnanti per avere un certo potere perché gli insegnanti di potere a scuola ne hanno gran poco, o meglio ce l’hanno sulle cose poco importanti ma non su quelle importanti.
Per esempio un insegnante che ha deciso che vuol fare andare a scuola i suoi allievi con poco peso sulle spalle non può mettere in atto questo suo sano proposito perché deve fare i conti con tutta una struttura che alla faccia delle direttive del Ministero della Sanità ha deciso che il bambino deve portarsi dietro la casa. Un insegnante che, alla faccia dei programmi ministeriali, ha deciso che vuole sgravare i suoi allievi dell’onere dei compiti pomeridiani per poter consentire loro di giocare di più non può permettersi questo lusso perché deve fare i conti con la gabbia dei programmi ministeriali e se “sgarra” può pure trovare i genitori che contestano il suo metodo di studio. Siamo arrivati ai genitori che accusano l’insegnante perché hanno paura che il loro pargolo resti indietro con i programmi di studio. Hanno paura che resti in ritardo con i ritmi di apprendimento. Come se il ragazzino sano a giocare troppo e a fare meno compiti degli altri potesse diventare ritardato mentale.
Il persistere del metodo direttivo ha radici che vanno oltre a finte esigenze del sistema scolastico attuale. Lo critico perché quello che produce in termini di cultura del movimento è devastante. Faccio un esempio perché mille parole non servono ad illuminare quanto un esempio stupido. La domanda tipo che mi arriva è “Devo dimagrire di un tot. (a volte mi mettono pure il numero esatto dei kg da perdere), che attività fisica “devo” fare?”. C’è questo “devo” dominante che sconquassa il concetto di attività fisica per stare bene. Allora nella risposta io provo a lavorare molto su questo “devo” perché molte volte viene fuori che questo “devo” è pure finto nel senso che chi mi pone la domanda è un soggetto assolutamente normopeso che per chissà quale motivo (perché comanda la televisione verrebbe da dire a me…) si è messo in testa che deve andare sottopeso e deve assolutamente togliersi di dosso dei chilogrammi che sono suoi e che non ha nessun motivo razionale per “dover” perdere.
Provo a sostituire la cultura del “devo” con quella del “posso” ma mi trovo a scontrarmi con una cultura secolare che è quella del metodo direttivo. “Devo” è secondo il metodo direttivo. “Devo” studiare da pagina 126 a pagina 174…”. “Devo” perdere 18 chilogrammi di peso perché il modello televisivo è quello e la televisione è Vangelo. La Chiesa si è arresa alle osservazioni scientifiche di Galilei (ed è lì che è diventata grande) ma la televisione non si arrende alle evidenze scientifiche del fatto che il suo sia un modello aberrante. Sono un grande ammiratore di papa Francesco penso che se un giorno papa Francesco avesse la forza, la volontà ed il potere di osservare che la televisione sta assassinando tutte le religioni e non solo quella cattolica potrebbe avere l’appoggio sincero e incondizionato anche degli altri capi religiosi.
Nel metodo direttivo ci sono dei Dogmi indiscutibili, non si fa cultura e l’assurdità è che il Dogma più forte del nostro tempo non è quello della religione che si sta evolvendo verso modelli di grande tolleranza ma quello della televisione. Non importa di che religione sei, l’importante è che non metti in discussione il modo televisivo. E così l’informazione non trattabile che passa come il verbo transita dall’alto verso il basso, senza scambio di opinioni, senza rielaborazione.
Quando chiedo “Ma sei sicuro di dover tirare giù 18 chilogrammi?” mi schianto contro un muro. E non è stata la religione a dire questa cosa, non è per principi religiosi che uno vuol tirare giù 18 chilogrammi. E’ perché c’è una cultura che ti dice che l’attività fisica è uno strumento per dimagrire. Dimagrire è una cosa importantissima altrimenti non sei alla moda, per dimagrire bisogna fare attività fisica che è una gran palla ma insomma se serve per dimagrire è anche giusto soffrire un po’.” In sintesi l’attività fisica non è quella cosa divertente che serve per stare in salute ma è quella pizza insopportabile che bisogna assolutamente fare per dimagrire. L’imperativo non è stare bene, è dimagrire perché il modello televisivo è quello e il dogma, appunto, arriva da lì, di che religione sei non è un fatto determinante, è un dettaglio da poco, diciamo che devi comunque dimagrire, siamo tutti della religione che “bisogna” dimagrire.
In una cultura dove il metodo direttivo cede il passo ad un altro modo di studiare questo tipo di modello non può stare in piedi perché casca il palco. Se la cultura vera prende il sopravvento le televisioni chiudono i battenti.
Io sono convinto che il metodo dell’infiltrazione dell’informazione possa essere quello che ci salva. Ci sono dei raggi di luce che non si possono ignorare (mi viene in mente John Belushi quando vede la luce in chiesa nello splendido film “The Blues Brother’s”) e illuminano le menti molto di più di tutto il marciume mediatico. E’ certo che la cultura del superfluo funziona come un colossale tendone che rischia di oscurare questi splendidi raggi di luce. Speriamo in qualche refolo di vento che possa sollevare il tendone.