Da un punto di vista squisitamente teorico, a livello statistico i risultati sportivi dovrebbero essere distribuiti secondo una gaussiana (per chi non mastica molta statistica la gaussiana non è che una normalissima curva che indica i normali andamenti statistici di tantissimi eventi) dove gli eventi più rari dovrebbero esseri i risultati decisamente scadenti e quelli decisamente eccezionali mentre gli eventi più frequenti dovrebbero essere i risultati medi alla portata della popolazione comune. Non avviene così per buona pace della gaussiana e ci si imbatte invece in grafici che non prendono il nome da nessuno scienziato perché studiare la distribuzione dei risultati sportivi è molto complesso e mal si presta a schematizzazioni.
Analizzando i risultati di vertice non si può ignorare una prima spaccatura fra quelli che sono i risultati “televisivi” e quelli non televisivi. Quali sono i risultati “televisivi”? Di fatto sono quelli che comprendono l’attività degli atleti professionisti. Lo sport che ottiene passaggio televisivo è certamente monetizzato, fonte di reddito e pertanto offre forti motivazioni alla produzione di risultati di alto livello. In breve, a fronte di una offerta potenzialmente bassa c’è una domanda molto alta. L’offerta è bassa perché il risultato di alto livello costa molta fatica e sacrifici all’atleta ma la domanda è alta perché per far funzionare il carrozzone della pubblicità occorrono essenzialmente solo risultati di alto livello. E così abbiamo subito una forte contraddizione sulla curva di Gauss: c’è un discreto affollamento di risultati che per la loro qualità dovrebbero essere piuttosto rari. Questo vuol dire che la domanda è in grado di influenzare l’offerta.
Poi ci sono tutti gli altri, il resto del mondo, i comuni mortali. E così si nota subito una terra di nessuno che è quella dei risultati ottenuti dai bravi atleti non professionisti. Questi, teoricamente, dovrebbero essere un po’ di più dei risultati di livello assoluto. Ed invece sono di meno. Sono quelli del vero eroismo dello sport che coincide con la produzione di risultati di alto livello non remunerati. Ci si domanda: se un risultato non da un ritorno economico perché dannarsi tanto l’anima per raggiungerlo? E questa è una domanda che ci si pone soprattutto ai giorni nostri e da corpo a questa spaccatura nel grafico. Un tempo esistevano gli eroi che erano quegli atleti altamente performanti che producevano notevoli risultati anche senza averne ritorno economico. Dopo questa fascia procedendo verso la normalità ci si accorge che sono sempre fenomeni sociali ad alterare l’offerta di risultati più o meno difficili da produrre. Premesso che per i risultati di altissimo livello la motivazione deve sempre essere di ordine economico, per quelli di livello più basso sono sufficienti anche piccoli incentivi ad alterare la distribuzione grafica dei risultati.
Questa osservazione ci può tornare utile per fare delle ipotesi di pianificazione in tema di attività sportiva di massa. A livello di profilassi sanitaria non servono i risultati di alto livello, quelli possono avere solo una funzione di pubblicizzazione verso una certa disciplina sportiva ma non sono certamente necessari per migliorare il livello medio di salute della popolazione, almeno non in modo diretto. A livello di profilassi sanitaria sono importanti i risultati normalmente ottenibili dalla popolazione dedita ad una sana pratica sportiva condotta con continuità. Questi non sono molto difficili da produrre, richiedono solo un’ applicazione abbastanza costante anche se certamente non esasperata. Per dirla con un neologismo “bisogna stare sul pezzo” certamente non perdersi in centomila distrazioni fuorvianti che portano a cali di concentrazione letali anche per la produzione di risultati semplicemente discreti.
Sono quelli i risultati che un sistema sportivo evoluto deve essere in grado di incentivare. Sono quelli che portano uno studente di vent’anni ad allenarsi regolarmente tutti i giorni o quasi senza assolutamente richiedere i due allenamenti al giorno e l’integrazione alimentare. Non si può passare in un solo balzo dai due allenamenti al giorno dell’atleta televisivo costantemente seguito dall’equipe medica ai due allenamenti alla settimana di giovani che in una scala di valori ideali hanno lo sport si e no al decimo posto, in una vita compressa da troppi impegni stramaledettamente urgenti. Due allenamenti alla settimana a vent’anni sono troppo pochi. Bisogna incentivare quei risultati sportivi che portino la maggior parte dei giovani a servirsi dello sport davvero come strumento di salute e non come diversivo veramente marginale di una vita dominata dallo stress di tante altre, troppe cose. Se lo sport riacquista la giusta importanza in un’ ottica di equilibrio e di vero impegno per la salute allora è più facile trovare anche i giovani che producono risultati di buon livello senza essere professionisti. Questo non è importante per avere uno sport spettacolare anche fuori dai teleschermi ma proprio come propaganda di stili di vita che non sono suggeriti dalla routine della società contemporanea.
La gaussiana è una linea teorica, da un punto di vista pratico sarebbe importante che nella sua parte di maggior frequenza fosse davvero rispettata nell’andamento. Chi può produrre risultati normali è giusto che si impegni per produrli, anche se sono tanti, il fatto che siano tanti non deve disincentivare la ricerca di questi risultati. E’chiaro che in questo modo chi offre risultati sotto alla media rischia di essere emarginato e non ci si trova più in una situazione di “mal comune mezzo gaudio” ma è giusto che sia così perché il risultato sportivo mediocre in un ventenne non è grave in quanto inaccettabile sportivamente (a livello sportivo l’unica cosa inaccettabile è la condotta antisportiva e non certamente un risultato mediocre) ma in quanto potenziale fattore di rischio in tempi successivi. Chi fa troppo poca attività sportiva in giovane età è un potenziale sedentario in tempi successivi.
Non possiamo mettere le multe per “difetto di velocità” a chi non riesce a correre i 100 metri a vent’anni in meno di 15 secondi, però possiamo incentivare chi corre in 11 secondi, con quel tempo non finirà in televisione proprio da nessuna parte ma aiuta a difendere un modello sportivo che deve essere coltivato. Sempre secondo la gaussiana potrà godere di ottima salute in futuro proprio chi corre i 100 in 11″ più di chi li fa in 15″ e più ancora di chi li fa in 10″ netti.
La regola del buon senso dice che lo sport se è troppo poco non serve a nulla se è troppo può addirittura essere pericoloso (per questo sono sguinzagliate dietro le equipe mediche ai giovani che mirano a raggiungere il vertice) per esclusione bisogna farne abbastanza ma non troppo. Il sistema sportivo deve avere la capacità di incentivare la produzione di quei risultati sportivi che possono essere conseguiti allenandosi con impegno ma senza esagerare. A dirla sembra tanto facile, a metterla in pratica se non si riesce a coinvolgere la scuola è facile che non si vada proprio da nessuna parte.