Come al solito ho confuso l’ideale con il reale ed ho scritto un articolo poco pratico, forse curioso da leggere ma che ha poca attinenza con la realtà pratica. Dicendo realtà pratica ho commesso un’errore freudiano nel senso che sono già andato a parare dove voglio con questo secondo articolo. Esiste una realtà “pratica” (e potrebbe sembrare una ripetizione) ma esiste anche una realtà “ideale”. La prima va osservata e anche se ognuno la vede a modo suo ha comunque una sua oggettività indiscutibile, la seconda va “immaginata” e anche se ognuno la immagina a modo suo ha in ogni caso una sua concretezza indiscutibile. Le idee non sono balle, a volte sono pure più importanti della realtà quando sono il presupposto per costruirne di nuove. Un esempio concreto? Su un’ area dismessa dove sorgeva un campo sportivo non è tanto importante se su quell’area crescono margherite oppure ortiche (la realtà “tangibile”) ma capire se le idee che circolano attorno a quell’area sono per ricostruirci un impianto sportivo nuovo o uno splendido quanto inutile centro commerciale. E’ realtà “tangibile” anche questa non solo per le tangenti che possono passare di mano per orientare la scelta in un certo modo ma anche per ciò che andrà a succedere in tempi successivi quando queste idee avranno prodotto i loro effetti.
Non è un articolo su “tangenti versus idee” questo ma un’ ammissione della complessa realtà dello sport che ha come minimo due facce ben distinte: quella dello sport professionistico e quella dello sport che io chiamo “vero” legato alla pratica della base e sorretto soprattutto dal volontariato.
Quando io auspico una maggiore professionalità della base dello sport creo un conflitto fra queste due realtà. L’atteggiamento “professionistico” nello sport è quello tipico dell’organizzazione dello sport di facciata, quello che io in modo scorretto e superficiale chiamo “finto” e che ha molti passaggi televisivi (praticamente tutti i passaggi dedicati allo sport dalle televisioni importanti). Lo sport che io chiamo vero (ma sottolineo che è “vero” anche l’altro anche se magari il vincitore lo decide lo sponsor ma ha comunque una sua concretezza innegabile e muove flussi finanziari da capogiro) si regge essenzialmente sul volontariato, muove flussi finanziari piuttosto esigui almeno con riferimento alla massa dei praticanti che lo anima e fatica ad adottare quei piani attuativi molto articolati che sono tipici delle imprese dirette da professionisti molto accorti. La stessa collaborazione scuola – federazioni sportive, tanto auspicata nei miei articoli idealmente romantici e lungimiranti, non si riesce a strutturare proprio per questo vizio di base. La scuola è organizzata in modo professionale, lo sport che interessa i ragazzi “qualsiasi” ha una base organizzativa che si regge sul volontariato. Le due strutture viaggiano su due piani diversi e metterle in contatto fra loro è difficile pure da un punto di vista burocratico. Occorrerebbe una fantomatica legge che disciplini una forma di collaborazione fra mondo dello sport retto dal volontariato e la scuola strutturata su base professionale. Visto che non è il caso di costruire la scuola del futuro sulla base del “volontariato” sarà opportuno dare almeno un minimo di professionalità al sistema sportivo del volontariato che fino ad ora è l’unico che si è preoccupato di diffondere lo sport per tutti.
Non esiste uno sport che “ci” serve, o meglio questo può esistere solo nella nostra testa come modello ideale ma non è ancora concretamente esistente. Nella realtà dei fatti esiste uno sport che “si” serve ed ha appunto almeno due facce. Mentre lo sport di base “si” serve dei volontari per continuare a sopravvivere e a allargare la sua diffusione nella popolazione nonostante l’assenza delle istituzioni (in primis quella scolastica) su questo compito, il secondo “si” serve di professionisti ed imprenditori che portano capitali per progetti molto strutturati sullo sport professionistico.
Che i pochi contributi elargiti allo sport siano girati completamente allo sport di base o siano distribuiti anche verso lo sport professionistico ciò non cambia molto la sostanza delle cose. Si tratta di cifre interessanti ma non decisive per ristrutturare lo sport in toto.
Forse ciò che più conta, più che una razionale distribuzione di quei pochi danari, è una mentalità nuova. Lo sport come materia scolastica, come cosa importante anche se non ha una sua struttura istituzionalizzata a livello pubblico anche se esiste ancora come evento sporadico finalizzato alla produzione di campioni e spettacolo più che alla diffusione del movimento per tutti. Insomma se l’insegnante di educazione fisica è ancora “quello dei salti” e l’istruttore di calcio è quel “brav’uomo che ha tanta pazienza con i ragazzini” ciò non toglie che queste due figure siano fondamentali per strutturare l’attività motoria e che devano poter lavorare in un contesto riconosciuto e non relegato ai margini della programmazione scolastica. Non occorrono soldi, occorre professionalità da parte di chi organizza tempi e spazi per il lavoro di queste figure. Su base volontaria o meno chi struttura lo sport per i ragazzini esercita una professione. Può anche essere un secondo lavoro e può anche non essere retribuito ma è comunque un lavoro. “Ma io vado a giocare con i ragazzini, mi diverto, è come se tornassi bambino, non ho bisogno di essere inquadrato professionalmente…”. Non è il volontario che deve essere “inquadrato professionalmente” è l’importanza del suo lavoro che deve essere riconosciuta altrimenti non si trovano i tempi e gli spazi per farlo andare avanti nel modo migliore.
“Ma se mettiamo il naso in questo mondo scopriamo che mancano tante strutture ed esiste una conflittualità anche organizzativa con la scuola…”.
Ecco, esatto, fine dell’articolo. E’ per questo che il mio precedente era un articolo di idee più che un articolo “pratico”.
Lo sport professionistico serve gran poco alla diffusione dello sport di base. Secondo alcuni non serve proprio a nulla ed è per questo che viene reclamato un dirottamento dei pochi contributi disponibili per lo sport solo verso lo sport di base. Lo sport di base, oltre che di contributi, ha bisogno di un riconoscimento istituzionale che è essenzialmente una mossa politica che può essere dettata solo da un certo atteggiamento culturale. Se iniziamo a pensare che le Federazioni sportive servono anche a diffondere lo sport per tutti (anche se in questo modo rischiano di diventare dei “doppioni” degli enti di Promozione Sportiva) oltre che a produrre il campione, forse avremo qualche possibilità in più perché possano essere esercitate pressioni politiche per dare più peso allo sport per tutti. Al momento è quasi più facile costruire uno stadio che trovare un nuovo campo sportivo dove molti ragazzini non hanno spazio per fare sport.
Non è un conflitto fra idee e realtà ma la rielaborazione “professionale” di idee piuttosto vecchie che hanno bisogno di professionalità per essere concretizzate in una nuova realtà.