Ero indeciso se scrivere, nel titolo di questo articolo, “componente emotiva” o “aspetto emotivo”. Ho deciso per quest’ultima locuzione perché a volte l’aspetto emotivo del movimento è talmente importante che definirla “componente” mi pareva riduttivo.
Possiamo arrivare a dire che il movimento è ancor più emozione che fisicità. Ma come? Se è movimento sarà in primo luogo dinamicità ed in secondo luogo emotività legata a quel “dinamismo”…. Non a mio parere. Posso ammettere che esiste una parte strettamente fisica in ogni movimento ma arrivo a dire che è altrettanto vero che è impossibile che esista movimento senza emozione e molte volte la “componente” (abbassiamoci a chiamarla così) emotiva sovrasta di gran lunga quella strettamente fisica.
Ricordo, da bambino piccolo (i primi ricordi, sono passati più di 50 anni…), i primi passi sulla neve che vedevo per la prima volta nella mia città. Ricordo le caratteristiche dei passi sulla neve, il movimento del piede all’interno dello scarponcino che andavo ad indossare per la prima volta per non inzupparmi. Assolutamente non questo gran movimento, il normalissimo movimento di un bambino che cammina sulla neve con gli scarponcini, ma c’è una componente emotiva legata a questo movimento che me lo rende indimenticabile. Quando ancora nevica nella mia città vorrei quasi poter avere quel tipo di scarponcini (anche piuttosto economici e scomodi) per poter riassaggiare quel tipo di movimento anche se sicuramente le mie caviglie adesso reagirebbero in ben altro modo a quella situazione.
Questo è un ricordo certamente bello ma devo riportarne anche uno molto meno divertente per essere esaustivo e far capire come le emozioni condizionino il movimento.
Ricordo il primo momento in una piscina pubblica. Ricordo tutto blu e non è un bel ricordo. Non è il ricordo dell’impianto quel blu, di quello ricordo pochino, è il ricordo della mia entrata in acqua. Tutto blu, a sorpresa nell’attesa eterna (quanto? 2-3 secondi? Forse 4? Come fanno 4″ a sembrare eterni?) che qualcuno mi tirasse su dal tutto blu dove non si poteva respirare.
Non ho ancora fatto del tutto la pace con l’acqua, questione di emozioni. Il bello è che se fossi diventato costruttore di opere stradali mi sarebbe piaciuto costruire ponti perché in realtà l’acqua mi piace, il problema è che mi piace da fuori e mi piace vederla senza andarci dentro. Da quel punto di vista per me i ponti sono una cosa fantastica perché sono quelle cose che ti permettono di attraversare l’acqua senza andarci dentro. Non sono diventato un costruttore di ponti, sono diventato un insegnante di educazione fisica e, ovviamente, l’esame che ho avuto più difficoltà (enormi difficoltà…) a superare è stato quello di nuoto. Ancora oggi a chi mi chiede consigli sull’attività motoria in acqua (compresa la ginnastica) rispondo che se in acqua sta bene è una cosa fantastica. Se in acqua non si sta bene è molto meglio se si tenta di migliorare questo rapporto e se anche con tutta la buona volontà la situazione non migliora allora non è il caso di disperarsi perché praticamente tutta l’attività motoria che non si riesce a fare in acqua si può fare fuori tranne… nuotare.
E’ più bello ricordare le cose piacevoli che quelle spiacevoli. Ricordo la prima volta che ho preso parte ad una gara sugli 800 metri. Non ero ancora assolutamente un ottocentista e fu un caso perché a 15 anni, nella categoria “Ragazzi A” (corrispondente all’attuale categoria “Cadetti”) gli 800 non erano previsti dal regolamento. Probabilmente quel giorno sono diventato ottocentista pur non essendolo ancora fisicamente perché ricordo ancora come fosse oggi le sensazioni del rettilineo finale. Fu una volata abbastanza scadente con un bilancio appena positivo (superati due, superato da uno) per recuperare una delle posizioni delle retrovie di quella batteria ma la sensazione fu divertente, pensavo di fare molta più fatica. Per televisione (potenza della televisione…) ero abituato a vedere volate terribilmente faticose con tensioni terribili di atleti letteralmente acidificati in quella lunghissima retta finale. Con la mia muscolatura praticamente inesistente facevo fatica ad acidificarmi molto così come facevo pure fatica a produrre finali di gara veramente violenti. In quel caso le sensazioni, le emozioni hanno contato molto più del piazzamento, della fatica fisica effettivamente fatta. Anche se qualcuno potrebbe insinuare “la tua psiche ha reagito positivamente perché non hai fatto questa gran fatica” ma questa osservazione spiega un po’ pochino del vissuto emotivo di quella situazione.
C’è gente che ad entrare in palestra si entusiasma, c’è gente che solo a mettersi la tuta ha già sensazioni di disagio.
Se la tuta crea un condizionamento negativo di tipo Pavloviano (Pavlov è ancora terribilmente attuale) si può benissimo andare a camminare anche senza mettersi in tuta. Non è necessario mettersi in tuta per affrontare qualche rampa di scale. Tanti hanno letteralmente paura a fare le scale a piedi quando un buon 99% di questi soggetti dovrebbe aver paura a farle in ascensore, non perché l’ascensore sia particolarmente pericoloso (anche se ogni tanto si blocca) ma perché il pericolo è rinunciare costantemente ai benefici che può portare affrontare sistematicamente le scale a piedi. Purtroppo è più facile affrontare la claustrofobia che non la paura di fare troppa fatica.
In un semplicismo esasperato a volte diciamo che la componente emotiva del movimento è tutto ma non ci sbagliamo di molto.
Ricordo un allenatore di atletica di altri tempi che diceva che non è importante come ci si allena ma quanto si è convinti della validità dell’allenamento che si sta conducendo. Sembrava un’affermazione un po’ strampalata ma forse adesso ci stiamo rendendo conto di come potesse avere anche un certo significato. Se non consideriamo le emozioni nel movimento non possiamo comprenderlo bene e questo sia che si tratti di alto livello, sia che si tratta di soggetti che si muovono semplicemente per stare bene.
L’idea di affrontare l’attività motoria partendo proprio da ciò che entusiasma di più è molto più razionale di quanto si può pensare e permeata da tanto buon senso. Questo anche nel terzo millennio dopo che l’attività motoria ha pure corso il rischio di essere considerata scienza. Ma se è scienza c’è pure ancora di mezzo Pavlov ed i riflessi condizionati non si possono ignorare tranquillamente. Un’ emozione conta più di cento allenamenti.