Yelena Isinbayeva, la più grande interprete del salto con l’asta femminile apparsa finora sulla faccia della terra, una delle più grandi atlete in assoluto dell’atletica e di tutto lo sport, è un po’ a terra. La prospettiva che gli venga letteralmente rubata la sua probabilmente ultima Olimpiade la sconvolge non poco. Non ha bisogno di vincere ancora, Yelena Isinbayeva, per dimostrare al mondo quanto è riuscita a fare nel salto con l’asta, tanto più che si era già ritirata dalla pratica agonistica ed è rientrata proprio per partecipare a queste Olimpiadi, ma è semplicemente stordita dal fatto che la sua partecipazione possa essere ostacolata da problemi politico-burocratici più che dai concreti problemi di condizione fisica che normalmente perseguitano tutti gli atleti che praticano attività sportiva ad alto livello.
Lotta con una caparbietà che la rende grande come persona oltre che come atleta, lei che potrebbe benissimo starsene a casa perché ha già vinto tutto, e lotta anche e probabilmente soprattutto per i suoi compagni di squadra che rischiano di restare a casa come lei. Ovviamente è sul disperato andante, vista la situazione, e si è anche lasciata scappare un “Se non ce la facciamo a reintegrare la Russia ai Giochi è la fine dell’atletica leggera.”
Sono d’accordo con lei quasi su tutto, sono pure d’accordo che i politici della grande Russia si siano arrabbiati troppo poco per questa cosa grottesca, tante volte hanno fatto la voce grossa anche per questioni meno importanti. La Russia, che ha sempre dato una grandissima importanza allo sport, arriva quasi ad ignorare questo gigantesco affronto in occasione di una Olimpiade che è l’evento sportivo più importante.
Non sono d’accordo con lei su una cosa: che se questa protesta non va a segno, se davvero la Russia dell’atletica sarà esclusa dai Giochi, questa sarà la fine dell’atletica. Capisco il pessimismo cosmico, in questa eventualità, della grande atleta russa ma spero che non sia nemmeno la fine della sua carriera atletica e che invece questa ingiustizia la sproni a tornare per far vedere quanto è ancora in grado di fare.
Quanto all’atletica in generale sono pressoché sicuro che questa non sarà la sua fine.
Intanto c’è uno zoccolo duro di milioni e milioni di praticanti che è la base, quella che io chiamo l’atletica “vera”, e questo tipo di atletica non risente di queste decisioni in modo drammatico. Poi, anche per quanto riguarda l’alto livello della disciplina, sono convinto che questa ingiustizia potrebbe aprire nuovi orizzonti. Potrebbe essere finalmente la volta che ci togliamo di dosso l’assurdità dell’antidoping e se così fosse, questo sarebbe il giorno zero della vera lotta contro l’abuso dei farmaci. Potremmo passare veramente da una finta lotta contro il doping ad una autentica lotta per il contenimento dell’uso dei farmaci nello sport di alto livello. Potremmo tornare ai fasti di un tempo quando l’allenatore contava più del medico.
L’antidoping è cresciuto assieme al doping. L’uno ha provocato l’evoluzione dell’altro in una girandola perversa che ha portato alla necessità di controllare gli atleti quasi tutti i giorni. Quelli che usano farmaci per evidenti motivi e quelli che non li usano perché basta un nulla per essere bloccati dall’antidoping che va a caccia anche dei fantasmi visto che non è capace di prendere i mostri.
L’antidoping ha ovviamente alimentato il sistema dell’omertà che è quel meccanismo per il quale se un atleta viene trovato positivo invece di parlare liberamente e di dire come stanno le cose, deve assolutamente stare zitto per non inguaiare anche altri atleti. Sulla base di questo principio l’abuso di farmaci si è diffuso a macchia d’olio in tutti gli sport negli ultimi anni, raggiungendo livelli preoccupanti. Positivi sono risultati soprattutto atleti delle categorie amatoriali o artigiani sconsiderati del doping “fai da te”, per fortuna una ristretta minoranza, che hanno fatto credere che il problema esista ma sia facilmente controllabile.
La falsa percezione nell’opinione pubblica è arrivata a far dire che sarebbe addirittura l’ora di cancellare alcuni record ottenuti in epoche sospette e questo sarebbe un falso storico imperdonabile. Nessuno ha capito che, grazie ai fasti ed ai nefasti dell’antidoping, oggi si usano molti più farmaci di un tempo. Nessuno ha capito che alla base della stagnazione dei risultati, piuttosto clamorosa, in alcune discipline sportive non c’è un migliorato controllo dell’abuso di farmaci ma solo un’ involuzione tecnica.
L’atletica attuale di alto livello sta effettivamente correndo dei rischi, anzi ne sta già pagando le conseguenze con lo stallo del dibattito tecnico soffocato dall’evoluzione della farmacologia dello sport, ma il crollo del sistema dell’antidoping potrebbe solo che aprire una nuova era migliore della precedente.
Un’ era dove la tecnica torna ad essere più importante della medicina e dove l’omertà sui protocolli farmacologici possa finalmente essere abbattuta per salvaguardare la salute degli atleti. Forse, in questo modo si potrà perdere qualche telespettatore, qualcuno che si sente preso in giro dalla scoperta di un mondo così complesso, ma la vera presa in giro è nascondere tutto. La vera presa in giro è squalificare gli atleti meno evoluti, quelli che si dopano ancora con le strategie di trent’anni fa, facendo finta che il problema sia solo quello.