Piove, corrono solo i più temerari, io che sono vecchio e ho già corso tre o quattromila chilometri sotto la pioggia decido di non far parte di quel gruppo, il campo sportivo si trasforma in una specie di bar, con discorsi da bar. E’ un bar un po’ particolare però perché l’argomento oggetto di dibattito è l’agonismo riferito ai bambini. Mi trovo a fare il democristiano quale non sono mai stato in gioventù (l’unica vera colpa della Democrazia Cristiana è stata quella di non aspettarmi…) per mediare due posizioni estremistiche che, per quanto estremistiche, hanno delle motivazioni interessanti. Essenzialmente da un lato si dice “Agonismo sempre, da uno a cento anni, perché questa è la vita…” e dall’altro si replica “Agonismo al bando perché è il suo eccesso che rovina sia la vita che lo sport…”.
Dicevo che faccio il democristiano, ma lasciando perdere la politica (che tutti mi intimano a non trattare su questo sito…) “matematicamente” faccio il moderatore, quello che si pone a metà strada fra le due posizioni tentando di conciliarle e rendendo possibile il dibattito perché se ognuno resta fermo nella sua posizione confronto proprio non ce n’è e non si può creare nulla di nuovo. Comincio a dire che è una questione di età e se, per quanto riguarda i bambini fino ai dieci anni circa sono d’accordo con chi sostiene che l’agonismo va centellinato e controllato, per quanto riguarda i ragazzini dai tredici anni in su sono d’accordo con chi sostiene l’agonismo a spada tratta e dichiara che senza agonismo lo sport rischia di diventare una noia mortale e perde gran parte della sua forza di coinvolgimento emotivo fondamentale per gli adolescenti.
Nel gioco dei bambini l’agonismo è insito, è inevitabile e non è necessario che noi andiamo ad aumentarlo. Visto che c’è sempre dobbiamo solo preoccuparci di controllare che vincano tutti, anche quelli che nella fantasia (a volte fin troppo obiettiva) dei bambini stanno perdendo perché è chiaro che ci sarà comunque qualche bambino che ha un rendimento sportivo superiore e qualcun altro che, pur essendo un bambino, avrà già qualche “deficit”. Può sembrare perverso chiamarlo “deficit” e non dobbiamo assolutamente chiamarlo così ma, insomma se diciamo che un bambino di 8 anni che ha qualche problema con le “tabelline”, per certi versi, ha già un piccolo deficit, è anche vero che un bambino di 8 anni che non sa correre i 30 metri in meno di sette secondi ha già un altro “piccolo deficit”. Se premiamo qualcuno, a questa età, sono d’accordo che dobbiamo premiarli tutti. Io che sono spartano e poco amante dei fronzoli, sostengo che li abbiamo già premiati tutti facendoli giocare e non c’è bisogno di perdere tempo in altre menate.
Dai tredici anni in su, che possono essere dodici o quattordici perché non tutti hanno gli stessi tempi di crescita, la faccenda cambia radicalmente. Il tredicenne, soprattutto da un punto di vista psicologico, ha ben poco da spartire con il bambino di dieci anni, tanto è vero che uno lo chiami ancora bambino e l’altro devi cominciare a chiamarlo ragazzino perché si è proprio evoluto sensibilmente. Negare l’agonismo a questa età, oltre che togliere un’opportunità di crescita è anche bluffare e creare un mondo edulcorato che non rispecchia la realtà. La vita è intrisa di agonismo e lo sport dovrebbe aiutarci a “sopportare” l’agonismo della vita.
Nel sostenere l’importanza dell’agonismo da questa età in poi chiedo se esistono ancora i limiti di partecipazione in atletica per i tredicenni alle gare regionali e mi rispondono che esistono ancora. Mi pare strano che sia così ma nel mio fare democristiano (e daje con la politica…) se è così, io vorrei proporre che spariscano questi limiti almeno fino ai quindici anni. Non è giusto, in un colpo solo, passare dall’idea che tutti vincono al trauma del fatto che se uno non fa un certo risultato non può nemmeno andare a fare le gare regionali. Non ho mai centrato un limite per le gare regionali giovanili in vita mia. La prima volta che ho centrato un limite di partecipazione era quello per la partecipazione ai campionati nazionali della categoria assoluta ed ero fra i più giovani di quelli ammessi. Peccato che abbia centrato quel limite, era meglio se fallivo anche quello e qualche anno più tardi centravo direttamente quello per la partecipazione alle Olimpiadi. Nel mio “ritardo cronico” alla fine sono stato un atleta precoce e mi sono bruciato presto senza poter esprimere al 100% il mio potenziale, Forse è proprio per questo che sono ancora qui a gareggiare anche se non mi alleno con la pioggia e allora, da quel punto di vista, sono quasi contento di non essere entrato nello sport di alto livello, se questo è stato il prezzo da pagare per non aver mai voglia di “andare in pensione”.
Questo discorso di agonismo “cronico” mi porta a debordare dai tredicenni ai più grandi. Quando proponiamo lo sport ai tredicenni non dobbiamo esasperarli e dobbiamo cominciare a raccontare loro cosa rischia di accadere qualche anno più tardi. Qualche anno più tardi rischia di accadere che mentre ci sono dei sedicenni già capaci di prestazioni eccezionali tali da far inneggiare al futuro campione, ce ne sono altri che, in modo assolutamente irrazionale, si sentono così tanto in ritardo da aver voglia di mollare l’agonismo nel momento più sbagliato. Queste sono delle formula 1 che entrano in curva ai 200 chilometri all’ora e, se ne escono, rischiano di percorrere il rettilineo agli 80 all’ora. Ad 80 all’ora in rettilineo ci vanno le utilitarie non le formula 1.
Allora a sedici anni io ti dico di non entrare in curva ai 200 all’ora perché il tuo organismo è tenero, non ancora strutturato e rischi di non uscire nemmeno dalla curva e comunque se ne esci, in rettilineo si fanno i 300 chilometri all’ora non gli 80 perché( a vent’anni tu devi essere ancora in pista ed in pista sei pericoloso se vai piano, non se vai forte. A vent’anni sei pericoloso se ti alleni due volte la settimana perché dai il cattivo esempio agli altri, a vent’anni devi allenarti tutti i giorni perché se non lo fai a quell’età non lo farai più per tutta la vita e non c’è condizione sociale e necessità di affermazione professionale che deva interferire con questo tuo diritto sacrosanto perché altrimenti ci tocca dire che erano più evoluti i sobborghi delle periferie disagiate, che producevano i migliori pugili, dei nostri quartierini tirati a lucido che però ti spediscono a fare il professionista superimpegnato senza tempo libero già da poppante.
Il vero agonismo da combattere è quello sociale che ti dice che a vent’anni non c’è più tempo per fare sport. A vent’anni lo sport comincia e se non è da tutti cominciare una carriera di alto livello che potrà durare dieci, quindici o vent’anni deve essere da tutti almeno provare ad “assaggiare” un pochino lo sport vero, quello nel quale ci si allena intensamente perché l’organismo è strutturato per sopportare grandi carichi di allenamento. Il vero allenamento va proposto a 20 anni non a sedici. A sedici è un brutto espediente per anticipare risultati che non devono essere anticipati. A venti è la norma che va proposta anche a chi sa già che molto probabilmente non stabilirà nessun record mondiale ma ha la sana curiosità di vedere che velocità massima fa il suo mezzo in rettilineo.
In sintesi la mia idea è quella di esaltare l’agonismo al momento giusto e quindi di ritardarlo un po’ invece di anticiparlo sempre di più. Se l’agonismo è esasperato già a dieci anni, molto facilmente quel bambino non avrà più voglia di gareggiare già dopo pochi anni. Se l’agonismo viene guidato, controllato e spiegato da noi adulti forse ha la possibilità di essere condotto con buon senso anche per tutta la vita. Probabilmente i primi che dobbiamo interrogarci siamo proprio noi adulti che mentre non capiamo un ventenne che si allena tutti i giorni anche se non è un campione, siamo li a spronare un sedicenne ad impegnarsi al massimo perché se continua cosi… può diventare un campione. Deve continuare così perché a sedici anni è severamente vietato smettere la pratica agonistica per chiunque. Se poi possa diventare un campione o meno dobbiamo essere proprio noi adulti con la massima sincerità a dire che si fa un po’ fatica a capirlo a sedici anni, dovrai capirlo più avanti scoprendo quanta fortuna hai e quanta voglia di far fatica ti è rimasta. Non consumarla tutta troppo presto.