In termini di sistemi di estrinsecazione dell’energia, si discuteva già ben prima che il tormentone “soglia anaerobica” e cardiofrequenzimetri andasse a monopolizzare ed a devastare il dibattito tecnico sugli sport di resistenza. Se il ritorno di quei discorsi può servire a liberarci dall’incubo di oltre trent’anni di dittatura di menate attorno alla soglia anaerobica ben tornate le panzane sul sistema aerobico e quello anaerobico, quello lattacido e quello alattacido, almeno quando si discuteva di quelli un certo fermento attorno alle tecniche di allenamento c’era, poi è subentrata la calma piatta ossequiosa di tutti i nuovi dogmi.
Ha un vantaggio discutere dei diversi sistemi di estrinsecazione dell’energia: che costringe a parlare di sistemi diversi di allenamento. Non c’è più un unico sistema di allenamento che ti aiuta a spostare la soglia aerobica e quella anaerobica, vi sono diversi sistemi di allenamento che producono effetti diversi e che hanno in comune l’obiettivo di migliorare i risultati in una certa disciplina sportiva.
E così si può discutere di sistema anaerobico alattacido o di corse alla massima velocità che sono prodotte grazie a quel sistema. Oppure di sistema anaerobico lattacido che possiamo stimolare con corse sempre molto veloci ma ripetute più volte o protratte per distanze un po’ più lunghe delle precedenti. Oppure ancora si può disquisire di capacità aerobica con riferimento a corse lunghe a bassa intensità o anche di potenza aerobica se consideriamo che queste corse lunghe siano condotte invece ad un ritmo abbastanza impegnativo (quanto impegnativo? Ma ovviamente esclusivamente quello dettato da tutti gli stramaledetti cardiofrequenzimetri del mondo associati…).
Quando discutiamo su queste corse si può farlo in termini di fatica, in termini di frequenza cardiaca o, molto più semplicemente, in termini di velocità. E, per esempio la velocità di 33 chilometri all’ora per un atleta, che sia prodotta con il sistema anaerobico alattacido o con quello lattacido sarà comunque innegabilmente la velocità di 33 chilometri all’ora, così come quella di 17 chilometri all’ora che sia frutto di una corsa in perfetto equilibrio o di una corsa assolutamente in grado di stimolare la potenza aerobica, sarà comunque inequivocabilmente una corsa ai 17 chilometri all’ora.
Salvo che per il velocista puro che deve indugiare molto su esercitazioni extracorsa per migliorare la velocità massima, più o meno tutti gli altri atleti che partecipano a gare di corsa sono costretti ad utilizzare diverse velocità di corsa per motivi tecnici e anche di allenamento dei vari sistemi di estrinsecazione dell’energia. Chiariamo subito che al duecentista interessa poco riuscire a correre per più di un’ora senza far fatica, però lo stesso velocista che corre in allenamento per esempio una decina di prove massimali sui 60 metri e già alla quarta o alla quinta comincia a dare segni di cedimento viene assalito da giustificati dubbi sulla necessità di escogitare qualche strategia per migliorare la resistenza specifica.
E così ad un maratoneta di alto livello non interessa, grazie ad esercitazioni particolari riuscire a passare da 11″8 a 11″6 sui 100 metri ma se questo maratoneta è davvero un maratoneta di altissimo livello e non è in grado di correre i 1500 metri in meno di 3’45” farà davvero bene a chiedersi se non ha qualche lacuna di velocità di base. Numeri alla mano si può ottenere la miglior prestazione mondiale di maratona anche senza essere mai stati in grado di correre un 100 metri in meno di 12″ per tutta la vita ma è praticamente impossibile correre la maratona in 2 ore e 2 minuti se non si è in grado di correre i 1500 metri in un tempo anche abbastanza ampiamente inferiore a 3’45” (Gebresilassie faceva addirittura 3’31” ma lui era un po’ un marziano della maratona…).
L’analisi delle capacità prestative di un atleta sulle varie distanze ci permette di avere un quadro abbastanza attendibile delle sue caratteristiche di atleta senza dover far discorsi di soglia aerobica, anaerobica, di potenza del sistema anaerobico lattacido o di capacità dello stesso.
In tali termini l’atleta non dice più “Devo spostare la soglia” o “Devo migliorare la capacità lattacida” bensì “Devo migliorare la mia prestazione sugli 800 metri perchè se voglio correre sotto i 3’30” non posso restare bloccato su un personale di 1’46″8 sugli 800″. Oppure l’ottocentista da 1’44” che corre i 400 in 45″8 ma non è mai sceso sotto i 3’50” sui 1500 dirà: “Se voglio correre gli 800 in 1’43” o addirittura meglio devo mettermi in grado di fare anche 3’40” sui 1500, se non meglio.” E questo non è un imperativo perché il grande Alberto Juantorena, capace di 1’43″4 sugli 800 forse i 1500 non li finiva nemmeno però non c’è dubbio che mentre si può essere ottocentisti di altissimo livello con un personale anche di poco sotto i 46″ non siamo altrettanto sicuri che si possa riuscire a diventare grandi ottocentisti se non si è nemmeno in grado di correre un 1500 in meno di 3’50”.
Il sistema di allenamento va stimolare tanti dote diverse, poi, alla fine va ad alterare la capacità prestativa sulle varie distanze. Se, per assurdo, con un sistema di allenamento si migliora la capacità di correre veloce (tornando all’esempio dell’ottocentista da 1’44”: passa da 45″8 di personale sui 400 a 45″4) poi si migliora sulla capacità di resistere (che so, da 3’51” a 3’39” sui 1500) ma le prestazioni sugli 800 restano sempre uguali (sempre 1’44”) vuol dire che si è sbagliato nella messa a punto di queste nuove capacità. Un preparazione ben calibrata anche se forse non del tutto produttiva può essere quella che nonostante un peggioramento delle doti di base (faccio per dire da 45″8 a 46″2 e da 3’51” a 3’54”) ti porta a fare il record personale sulla tua specialità (ad esempio 1’43″5). E’ chiaro che una preparazione simile può considerarsi vincente solo a metà in quanto il non miglioramento delle capacità di base è un cattivo presupposto per i miglioramenti futuri.
Andare ad analizzare come si funziona sulle varie distanze è certamente più tecnico che continuare ad elucubrare sulle frequenze cardiache, così come valutare, per esempio, le frequenze di corsa alle varie andature (e stiamo parlando di frequenza dei passi) è sempre più tecnico che continuare a monitorare la concentrazione di emoglobina nel sangue. Vi sono maratoneti che sanno tutto sul loro consumo d’ossigeno, sulla loro soglia di innesco e sulla densità del loro sangue in ogni momento della stagione, però non sanno nemmeno in che tempo sono in grado di correre i 5.000 metri e a che frequenza di passo corrono quando viaggiano a ritmo gara.
Se tornare a disquisire in termini di ATP e ADP oppure di capacità di resistere ad elevate concentrazioni di acido lattico ci può smuovere fuori dal sonno decennale innescato dall’eccessiva medicalizzazione della preparazione legata agli sport di resistenza ben ritornati siano pure i discorsi che si facevano già negli anni ’60. L’importante è che si dia nuovo vigore alla metodologia dell’allenamento e che non si confonda questa con lo studio dei parametri bioumorali dell’atleta sui quali, negli ultimi 30 anni, ci siamo soffermati fin troppo. Alla faccia del fatto che la manipolazione esogena del sangue è stata dichiarata illegale quasi prima che nascesse.