Un mio amico che allena una squadra di ragazzini di 11-12 anni di pallamano mi porta in campo un argomento molto dibattuto dagli insegnanti: l’opportunità di insistere o meno nel proporre contenuti abbastanza tecnici per i ragazzini di questa età (anche con schemi di gioco) secondo i concetti base specifici dello sport che vanno a praticare.
La discussione su tale argomento è già avvenuta “dal vivo” ed io ho risposto subito formulando a mia volta una domanda: “Come fai tu si divertono?” e lui : “Si, non c’è dubbio” e quindi, stroncando il dibattito tecnico-scientifico ho “sentenziato” (dopo 40 anni di umile studio dell’attività motoria passati a capire che non si “sentenzia” mai proprio un bel nulla…) che va bene così.
Ovviamente, prima della mia sentenza, ho pronunciato il fatidico “A mio parere…” assolutamente d’obbligo per chi abbia un minimo di buon senso nel trattare i fatti e misfatti dell’attività motoria, ma non ho avuto dubbi sulla mia posizione.
Sono andato pure controcorrente rispetto ai miei principi generali in teoria dell’allenamento per i ragazzini ma riesco a giustificare questo atteggiamento. Il mio amico indottrina abbastanza i ragazzini, non si può dire che li specializzi eccessivamente ma si reputa un istruttore che non indugia ad esagerare un po’ con gli schemi di gioco e con nozioni che teoricamente potrebbero riguardare ragazzini un po’ più grandi. Io “sarei” del parere opposto ma l’uso del condizionale è d’obbligo. Sono convinto che l’ingrediente principale dell’attività motoria per bambini, ragazzini e mi “allargo” pure sulle altre età, sia il divertimento. Se il mio amico ha un grande entusiasmo verso l’applicazione degli schemi di gioco e riesce a trasmette questo entusiasmo su questa cosa, riesce a coinvolgere i ragazzini e a farli divertire sta seguendo una via praticabile ed anzi anche auspicabile. Mi spingo più in là: tale metodica è certamente apprezzabile anche se venisse fuori che tali schemi sono del tutto inutili per la futura evoluzione tecnico tattica del ragazzino, il solo fatto che tali schemi siano divertenti è già più che sufficiente per farmi dire che funzionano bene come scelta.
Quando sostengo il divertimento come ingrediente principale dell’attività motoria (e qui considero i ragazzini ma io estendo la mia convinzione anche agli adulti…) non trovo tutti a darmi ragione, anzi. Molti sostengono che “lo sport è scuola di vita” e, con tale affermazione, si trovano poi a dire che lo sport ti deve insegnare il rispetto delle regole, la capacità di far fatica per giungere ad un certo risultato, ed insomma è un mezzo per allenarsi a sopportare le difficoltà della vita. Adesso non voglio farmi appioppare l’etichetta di eretico ma si può sostenere l’importanza del divertimento proprio con discorsi decisamente diversi da quelli sopracitati, o meglio, ammesso che nella vita ci sono cose molto difficili da affrontare che necessitano di impegno e rigore metodologico, si approfitta dello sport proprio per fuggire da questa condanna e lo si utilizza come strumento d’evasione, di fuga dalla Realtà. E’ certamente molto più criticabile il mio punto di vista ma poggia su basi solide e concrete come quell’altro. Sport come strumento di accettazione della Realtà per allenarsi a sopportare la Realtà oppure come strumento di “non accettazione della Realtà” per allenarsi a renderla meno pesante.
“Tu vuoi formare una banda di cretini!” è il minimo che mi si possa obiettare. Ma io, che sono sempre stato un grande difensivista in tutti gli sport di squadra (e pure in quelli individuali, per quanto possibile) mi difendo pure da questa accusa. E’ “Realtà” anche la non accettazione della Realtà e quando la Realtà è opprimente la sua non accettazione è la Realtà più conveniente ed entusiasmante. Torniamo sulla filosofia ma non troppo. Caliamoci nella Realtà dei nostri giorni.
Io vedo i ragazzini (ma anche i bambini) sempre più stritolati da impegni di mille tipi, la scuola è sempre più esigente, alla scuola si aggiungono altri impegni stressanti. La mia idea di uno sport assolutamente anarchico per fuggire da questo tipo di Realtà si fonda sul concetto della necessità di una valvola di sfogo. Poi il mio amico dice che riesce a far divertire i ragazzini riuscendo ad insegnare anche un tot. di schemi di gioco. Ed allora lo approvo doppiamente perché osservo che riesce a farli divertire anche somministrando loro dei contenuti complessi. Non so se quel metodo sarà vincente da un punto di vista sportivo ma io dico che è già vincente su quello che continuo a sostenere come l’obiettivo principale dello sport: divertirsi.
E piovono altre critiche: se con lo sport insegni che l’importante è il divertimento quella lezione verrà traslata in tutte le altre situazioni dell’esistenza. Non è detto perché mio compito è far capire che lo sport può essere fantastico, leggendario ed è pure parte di Realtà, ma non è l’unica Realtà.
Le critiche aumentano perché vado a fomentare un conflitto fra la Realtà piacevole (che è quella dello sport) e la Realtà opprimente (che è, per esempio, la scuola) che diventa sempre più insopportabile proprio se confrontata con quella precedente. Sto trattando di casi concreti, non astratti: io ho allenato anche ragazzini con impegni scolastici importanti e qualcuno è certamente rimasto vittima dell’entusiasmo verso l’attività sportiva da me proposta. Non ho statistiche che stiano a dirmi che i miei allievi sono stati bocciati più degli altri ma garantisco che qualcuno è stato bocciato per colpa dell’eccesso di tempo dedicato allo sport ed io non ho avuto la capacità di far capire che questo era un problema importante. Al contrario mi sono chiuso in me stesso a criticare una scuola che ancora adesso, dopo 35 anni che ne sono uscito, faccio ancora fatica a capire.
Il modello “Forrest Gump”, per certi versi, è un modello estremistico ed i ragazzi italiani sono i primi a non volerlo perché sostengono che la scuola italiana sia più seria ed è giusto essere bocciati se si dedica troppo tempo allo sport e poco allo studio. I ragazzi sono maturi, io no. Il problema è che voglia di maturare in tale senso proprio non ne ho e difendo a spada tratta anche le aberrazioni del sistema scolastico americano che in certi casi, per dirla brutalmente, da indicazioni fuorvianti del tipo: “Non ci interessano le tua capacità scolastiche, l’importante è che tieni alto il nome del nostro istituto e che tu lo faccia grazie ad un buon rendimento nelle materie di studio o grazie alle tue prestazioni sportive per noi è lo stesso.”
E’ chiaro che io vado a creare un conflitto fra scuola e sport ma questo conflitto è inevitabile se le ore dedicate all’una sovrastano in modo esagerato le ore dedicate all’altro.
Dal mio punto di vista le ore dedicate allo sport non sono mai abbastanza ed il fatto che lo sport divertente crei un conflitto con la scuola è un problema da risolvere, non da evitare.
Alla luce di ciò può essere meglio interpretata la mia risposta “Ben vengano gli schemi di gioco purché siano divertenti” perché per me gli schemi di gioco sono uno dei tanti strumenti a disposizione dell’insegnante per rendere lo sport entusiasmante.
Pertanto è pure possibile che mi trovi d’accordo con altri insegnanti che sostengono la necessità di improntare schemi di gioco partendo da posizioni educative diametralmente opposte. La mia condizione sine qua non è che vi sia divertimento. Se sono divertenti, viva gli schemi di gioco!