E’ normale che la capacità di differimento sia più del tecnico che dell’atleta perché l’atleta ha certamente più fretta e vuole conseguire degli obiettivi in tempi brevi anche se questi obiettivi magari non sono del tutto funzionali all’ottenimento di obiettivi più importanti ma ottenibili solo in tempi successivi.
Nella mia carriera atletica tale scelta è stata una scelta obbligata. Io non sono riuscito ad ottenere buoni risultati nelle categorie giovanili semplicemente perché ero in ritardo di crescita ed anche se mi fossi prodigato con tutte le energie per ottenerli non ce l’avrei fatta per il semplice motivo che non avevo i numeri per poter ottenere quei risultati. Non mi sono “allenato” a differire il risultato ma ho semplicemente patito la mancanza di risultati in modo inerte, subendo questa situazione.
Così poi, quando nelle categorie assolute la crescita fisica e gli sviluppi di un processo di allenamento iniziato ben prima hanno consentito l’ottenimento di risultati di un certo valore, non ci ho pensato due volte ad accelerare l’ottenimento di questi risultati ed in breve mi sono trovato da atleta in ritardo di crescita a potenziale talento bruciato troppo presto per eccesso di carico di allenamento. Una buona capacità di differimento forse avrebbe potuto garantirmi una carriera più longeva e qualche risultatino più interessante di quelli che ho ottenuto alla fine. Se fosse per me i risultati li avrei ottenuti molto prima e magari a sedici anni ne avevo già le scatole piene di correre. Li ho ottenuti più tardi, sono pure riuscito ad infortunarmi per la fretta di ottenerli prima possibile e dopo 40 anni corro ancora perché in quel modo non mi è passata la voglia di correre ed ho pure sviluppato una discreta capacità di combattere gli infortuni che mi porta ad insistere ancora adesso.
Come tecnico ovviamente predico la capacità di differimento ai miei atleti ma ne capisco assolutamente le esigenze e pertanto questa conflittualità fra voglia di ottenere i risultati in fretta e necessità di muoversi in un certo modo per creare le basi per l’ottenimento di migliori risultati nel giusto momento di maturazione è certamente naturale e scontata nel suo manifestarsi.
Allora bisogna avere una buona capacità di mediare mettendosi in comunicazione sincera con l’atleta e valutando gli obiettivi più razionali dove un obiettivo razionale può essere anche quello di vivere alla giornata senza programmare nulla.
E’ importante, dal punto di vista dell’atleta, tentare di capire quanto ci perde a concentrarsi su un obiettivo parziale che non è tappa obbligata per l’ottenimento di altri risultati in tempi successivi e qui bisogna essere chiari e non catastrofisti altrimenti, giustamente l’allievo perde fiducia nel tecnico
Il tecnico deve altresì capire quanto è importante questo obiettivo parziale per l’allievo perché questo in modo poco razionale ma non del tutto può anche dirti: “Non me ne frega niente di essere fra i primi dieci atleti della nazione a 23 anni io voglio essere fra i primi 50 atleti a 18 anni e forzo i tempi per quell’obiettivo anche se rischio di guastare i risultati successivi per il semplice motivo che si vive una volta sola…” Se questo obiettivo è molto importante non ci sono alternative perché la rinuncia a quell’obiettivo può portare a spegnere l’atleta che non trova più la forza per continuare l’attività agonistica.
Dunque è chiaro che perdere tempo dietro a troppi obiettivi intermedi può anche essere di ostacolo ad una preparazione tesa a portare al top l’atleta in tempi successivi ma è anche chiaro che l’atleta non può avere la testa del tecnico e non ha questa capacità di differimento molto elevata che gli consente di programmare serenamente a lungo raggio.
Io sostengo che sia importante valutare sempre le ragioni dell’atleta poi è chiaro che se questo impara anche a ragionare razionalmente ed a disciplinare i bollenti spiriti questa cosa forse torna utile a tutto il processo di allenamento. Però c’è una cosa importante da capire che è che l’atleta fondamentalmente non è lì per allenarsi ma per divertirsi ed è per questo che io auspico che l’attività agonistica possa essere divertente anche per chi non ottiene mega risultati in giovane età. Se così non è quell’atleta si perde quasi sicuramente per strada e ne trae danno l’atleta stesso e tutto il movimento sportivo. Noi adulti, più che contare su una grande lungimiranza da parte dei giovani dobbiamo avere la capacità si strutturare l’attività sportiva in modo che possa essere divertente a tutte le età.
Solo in questo modo potremmo colmare quel bucone pazzesco che vede competere volentieri i giovani fino a sedici – diciassette anni per poi sparire per un lungo periodo e tornare con strane velleità agonistiche solo dopo i 40 anni. La capacità di differimento, forse, più che dei giovani, deve essere nostra e dobbiamo programmare l’attività più che per ottenere grandi risultati nell’immediato per fare in modo che questa attività non perda tanti giovani nella miglior età per lo sport che è quella compresa fra i 18 ed i 25 anni circa.