“Critichi giustamente la mania di inquinare la lingua italiana con inglesismi inutili poi però ti perdi in “transfer” (articolo sulla specificità dell’allenamento) e nella disputa sull’ormai arcaico congresso di Duisburg (ma chi se lo ricorda?!?) usi Marathon – training, Intervall – training e addirittura Mischung che deriva pure dal tedesco in luogo di allenamento continuo, allenamento interrotto da pause e “Miscuglio” che sono più facilmente comprensibili per noi italiani. Non solo ma, anche in italiano, ci metti del tuo quando scomodi il concetto di entropia per spiegare il perché della necessità di sedute di allenamento facilmente riconoscibili… Se gli stessi concetti vengono espressi con parole più semplici forse hai qualche possibilità in più di non essere frainteso.”
Essenzialmente, più che i pochi inglesismi che uso (penso di essere uno degli italiani che ne usa di meno in assoluto…) non è andato giù il concetto di entropia che, anche se piuttosto noto, si fa fatica a capire cosa c’entri con la teoria e metodologia dell’allenamento sportivo.
Mi spiace scomodare il doping ad ogni piè sospinto ma se lo ignoriamo (come fa la maggior parte della stampa nostrana) non possiamo far capire gli stress ai quali è sottosposto un atleta moderno. Non è che gli atleti ricorrano ad un uso sempre più sistematico di farmaci perché si divertono a far così, lo fanno perché una preparazione che porta a risultati di alto livello quasi sempre porta a squilibri di un certo tipo che, da un punto di vista medico è più rapido risolvere con i farmaci che non aspettando nuove congiunzioni astrali o nuove strategie di allenamento a basso impatto che poi hanno inevitabilmente un impatto sempre nuovo e difficilmente prevedibile nei suoi accadimenti (ed è per questo che è da quasi mezzo secolo che nessuno esperimenta più nulla, soprattutto sugli atleti di alto livello, per non provocare disastri su talenti clamorosi).
Il concetto di entropia, se vogliamo, è anche piuttosto semplice. Ti dice che la Natura tende al massimo disordine in un modo che è quello proprio programmato dalla Natura. Se vogliamo la Natura è un po’ bizzarra perché tende al massimo disordine ma in un modo che è tutto suo. Verrebbe da dire che è il più grande dei dittatori perché in realtà tende ad un ordine ben preciso che noi chiamiamo “massimo disordine” ma è un suo ordine ben preciso.
Fra un atleta che vuole correre i 100 metri in meno di dieci secondi ed il concetto di entropia c’è una certa distanza. Ci sono mille occasioni, per quell’atleta per cedere alle tendenze dell’entropia e scadere nelle sue prestazioni che sono tutto tranne che normali.
L’allenamento polarizzato ha il grande pregio di semplificare le cose e, nella preparazione alle corse su medie e lunghe distanze (dunque qui i 100 metri non c’entrano nulla ed ho pure fatto l’esempio sbagliato…) fornisce gli strumenti per tentare di capire come l’atleta può davvero ottimizzare il processo di recupero (magari si spera addirittura senza farmaci) e come può indovinare (e scusatemi il verbo “indovinare” ma io, che non credo nella “scienza” dell’allenamento sportivo come scienza ma solo come arte, lo ritengo proprio indovinato perché andiamo sempre cronicamente per tentativi) le giuste intensità di carico per proporre stimoli decisivi per nuovi adattamenti nelle sedute intense che vanno effettivamente a marcare le mappe cerebrali. Ho scritto mappe cerebrali perché poi c’è un adattamento di tipo nervoso complessissimo che noi tendiamo sempre ad ignorare forse proprio perché è terribilmente complesso e ci fa paura trattare le cose troppo complesse.
Questa semplificazione forse torna più utile al nostro sistema nervoso che non all’organismo che comunque le sue mazzate se le prende perché quando andiamo a proporre intensità massimali in ogni caso l’organismo è sotto stress.
Il riconoscimento di stimoli abbastanza facili da decodificare é la carta vincente di questo “metodo polarizzato” che sta destando tanto interesse forse solo perché adottato da atleti che stanno ottenendo risultati di grande valore. Probabilmente se questo metodo fosse adottato solo da atleti di medio valore non gliene fregherebbe niente a nessuno e tutti direbbero che è solo un’assurda semplificazione.
No, anche le semplificazioni nella teoria e metodologia dell’allenamento sportivo possono avere la loro utilità, l’allenamento polarizzato, molto semplice nei suoi concetti basilari, ne è un fulgido esempio, che poi ci sia qualche pirla tipo il sottoscritto che chiama in causa l’entropia per spiegare perché questo concetto può funzionare ma invece che spiegare tutto fa nuovo caos, quello è solo un episodio da relegare alla letteratura sportiva di basso livello. Ma nel mondo delle cose reali, purtroppo (o per fortuna, per combattere la monotonia…) esiste anche quella.
Non arrabbiatevi, per conto mio bisogna considerare il non troppo complesso concetto di entropia. Se dopo non avete conosciuto Egidio Perantoni, detto “el dotor” e vi siete fermati ai luminari classici della teoria e metodologia dell’allenamento sportivo, poco male, non siete gli unici.