E poi, ne hai altre?! In effetti sono un po’ tantine le cose citate nel titolo ma poi ce ne sarebbero ancora altre.
Il problema è che lo sport non è un insieme di tecniche per imparare un determinato gesto, forse è anche questo, ma è soprattutto altro.
Partiamo dalla memoria. Senza memoria purtroppo non siamo nulla. Dico purtroppo perché una delle malattie più diffuse del nostro tempo ci dimostra che senza memoria non siamo nulla e la qualità della vita scade drammaticamente, anche se fisicamente siamo ancora efficienti, se la memoria viene a mancare.
Nello sport la memoria è determinante, fin da piccoli. Questo “fin da piccoli” è importante perché poi, quando abbiamo a che fare con un ragazzo che da piccolo è stato un prodigio, ci troviamo già con un problema piuttosto grosso. Questo nella memoria ha fissato un qualcosa di piuttosto ingombrante che è un passato di trionfatore, difficile da replicare e da portare avanti. A meno che non sia un vero campione che continua a vincere e sempre più ed allora il problema si presenterà avanti negli anni o anche solo a fine carriera, il passato da campione è una vera e propria spada di Damocle per ogni ragazzino che fa i conti con una realtà scomoda con la quale il confronto è quasi sempre stressante e che, come minimo, può portare ad una assuefazione al successo che diventa una cosa normale invece di una cosa eccezionale che da grandi soddisfazioni.
La memoria gioca molto meglio per chi ha già vinto poco o proprio nulla perché la memoria vincente e gratificante é quella del desiderio del successo più che quella del suo ottenimento. Chi ha già vinto tutto da piccolo da questo punto di vista è già adulto e quindi svuotato di una motivazione determinante che è quella del bambino che vuole provare cose nuove.
Ho già toccato la motivazione ma prima devo portare in campo la fantasia. Questa è proprio tipica dei bambini che hanno una grande fantasia ma sulla fantasia c’è da dire che proprio lo sport ti aiuta a coltivarla e può tenerla molto elevata anche andando avanti con gli anni. Praticamente uno degli obiettivi dello sport è proprio quello di tenere allenata la fantasia e se questa cura può portare ad un ritardo di maturazione poco male perché è meglio essere dei mezzi Peter Pan che adulti precoci quali sono molti, troppi, ragazzini contemporanei invischiati nella logica dello stress già a sedici anni o poco più.
La fantasia nello sport è determinante come e forse ancora più della memoria, senza fantasia non si va da nessuna parte ed uno dei problemi del talento precoce che ha già vinto molto è che i troppi successi rischiano di stroncare la fantasia invece che coltivarla. Chi brama la vittoria ma non la ottiene la immagina sempre diversa e sempre più bella. Chi la ottiene subito finisce per non immaginarla più e riconoscerla con colori piuttosto tenui che non sono nemmeno i suoi.
La fantasia occorre a tutte le età e, per conto mio, il momento nel quale ne occorre di più nella carriera dello sportivo è attorno ai 20-22 anni quando si verifica un inevitabile conflitto fra il sogno ed il reale che investe pienamente la motivazione allo sport. Il sogno è quello di emergere nello sport, di vincere molto e poter giustificare il molto tempo dedicato a questo con risultati che giustificano questo impegno. La realtà ti pone costantemente a confronto con la società tritatutto alla quale dei tuoi sogni non gliene frega proprio niente ed interessa invece solo che riesci a produrre pertanto se sei un campione in grado di produrre gesta sportive utili a tutti, molto bene, applicati, anzi applicati davvero tanto per produrne sempre di più. Se invece non sei un campione allora alla società della “produzione” non servi come sportivo ma come professionista di un qualcos’altro dove lo sport ci sta bene solo se ti aiuta ad essere più efficiente in quella professione altrimenti confligge in modo molto scomodo creandoti veri e propri problemi esistenziali. In questa fase della vita occorre veramente una grande fantasia per continuare a fare sport come si deve e questa fantasia fa a cazzotti con la finta razionalità della società dello stress. Bisogna essere terribilmente lucidi per far sopravvivere la fantasia altrimenti questa soccombe sotto le pressioni del solito tran tran. Indubbiamente chi pratica sport in modo convinto dopo i 20 anni senza essere un campione non è una persona conformista perché da questa scelta non ha benefici in tema di inserimento sociale.
La motivazione si inserisce su memoria e fantasia e se queste due sono ben piazzate grazie a circostanze favorevoli non occorre nemmeno questa grande motivazione per continuare a praticare sport con un certo impegno. Se invece ci sono dei deficit su queste due cose allora la motivazione diventa fondamentale. Se hai una memoria guastata da episodi spiacevoli o comunque poco gratificanti nello sport ed una fantasia minata da situazioni contingenti che lasciano poco spazio alla fantasia allora solo una forte e particolare motivazione può supplire a queste due. Una forte motivazione vuol dire che per un qualche accidenti di percorso psichico senti bisogno di fare sport e di farlo in modo autentico cercando di migliorare giorno dopo giorno senza adagiarti su obiettivi che per un giovane devono essere in costante revisione.
La motivazione è terribilmente specifica per ogni soggetto e fa comunque i conti con la storia dello stesso. Una forte motivazione può essere sufficiente anche a superare difficoltà ambientali di una certa consistenza. Ci si domanda, al contrario, se anche circostanze ambientali piuttosto favorevoli possano essere importante fattore di maturazione sportiva per un giovane che non appare molto motivato intrinsecamente. Su questo sono piuttosto pessimista nel senso che ritengo che una situazione ambientale favorevole possa essere utile solo come stimolo per rinnovare una motivazione che deve comunque acquisire consistenza altrimenti, a mio parere, non ci sono speranze su un autentico approccio allo sport anche attorno ai 25 anni, quando le pressioni sociali sono a dir poco soffocanti e la maggior parte dei giovani praticano sport ormai con puro ed esclusivo spirito salutistico.
Su queste cose che riguardano l’ambiente i maestri dovrebbero essere gli ex sovietici e gli africani in genere che in modo leggendario hanno prodotto grandi campioni proprio grazie all’ambiente. Se questi grandi campioni siano davvero venuti fuori perché dovevano uscire dalla gabbia del sistema sovietico o perché dovevano scappare dalla fame che purtroppo esiste ancora in molte zone dell’Africa lo sanno soprattutto quei tecnici che hanno seguito gli atleti in queste circostanze. Alcuni forse saranno pronti a giurare che coercizione del sistema sovietico e fame delle popolazioni africane c’ entravano gran poco perché queste cose hanno investito milioni di persone ma solo alcuni hanno trovato la motivazione per scappare da queste cose. E, se è così, vuol dire proprio che la motivazione intrinseca riesce anche a superare le cause ambientali.
Però, scombinando un po’ le carte in tavola, ci tocca dire che anche il nostro grande Pietro Mennea, pur non vivendo né la fame dei paesi africani e tanto meno la coercizione dei paesi sovietici, andando a parlare con Cassius Clay che si meravigliava che il duecentista più veloce del mondo fosse un bianco, candidamente affermava: “Io dentro sono più nero di te…”. Mi viene da pensare che quel suo essere nero fosse un nero genetico più che da circostanze ambientali perché tanti ragazzi nati in quei posti non hanno sentito nessuna necessità di diventare velocisti eccelsi.
Le nostre categorie di linguaggio hanno grandi limiti e forse memoria, fantasia, motivazione ed ambiente possono anche essere un’ unica cosa che può dare la passione per lo sport. In fin dei conti, per fortuna, la passione per lo sport è anche difficilmente spiegabile ed analizzabile ed è pure possibile che un ragazzo che diventa un campione per puro impegno senza partire da grandi doti fisiche possa dire della sua grande applicazione ad emergere: “Io non avevo problemi sociali di alcun tipo. Semplicemente mi sono innamorato di una che non ci stava, avevo una memoria fastidiosa che non riuscivo ad addomesticare e sono diventato un campione perché non avevo altro da fare ed avevo bisogno di dimenticare…”. Stando in tema Luigi Tenco cantava: “Mi sono innamorato di te perché non avevo nulla di fare…” strana motivazione ma convincente e che non toglie nulla alla potenza della passione. La passione è passione e basta e possiamo spendere fiumi di parole per spiegarla ma non ci riusciamo mai.