TECNICA DI CORSA: METODO DELL’ESASPERAZIONE DELL’ERRORE

La tecnica di corsa è un argomento scomodo per molti tecnici ed anche per molti atleti, lo è perché molto spesso, quando andiamo ad apportare variazioni significative alla tecnica di corsa si rischia di creare i presupposti per infortuni da sovraccarico. Ciò accade essenzialmente perché non siamo più abituati a considerare la tecnica di corsa come ad un elemento trainante della preparazione bensì come un correlato piuttosto marginale della stessa. Accade che o si fa finta di intervenire sulla tecnica di corsa con esercitazioni aspecifiche che lasciano tutto assolutamente invariato ed allora non si è operato assolutamente un intervento sulla tecnica di corsa ma si è fatta solo un po’ di propedeutica al gesto corsa, oppure, quando davvero si va ad interferire nei circuiti nervosi che regolano il gesto apportando delle variazioni importanti e significative, queste variazioni vanno a procurare dei disastri perché ad esse non si da il giusto peso e lo spazio nella preparazione. Mantenendo i normali carichi di preparazione (che spesso sono molto elevati) come se nulla fosse, si concretizza il sovraccarico per il semplice  motivo che variare la tecnica di corsa vuol dire far lavorare i muscoli in modo molto diverso da quanto fatto fino a quel momento. Il risultato finale, molte volte è l’abbandono del tentativo di modificare la corsa perché quella via viene considerata “impraticabile” e, mantenendo quei volumi di allenamento, lo è davvero. Un’altra scelta potrebbe essere quella di ridurre i volumi di allenamento ed insistere sulla tecnica di corsa per vedere se i nuovi adattamenti sono stabilizzabili, possono essere acquisti in modo non traumatico e, soprattutto, se nel tempo danno risultati apprezzabili.

Detto questo si capisce che quando si va a provare a modificare la tecnica di corsa bisogna essere un po’ convinti di ciò che si sta facendo, altrimenti la tentazione di cambiare idea arriva quasi subito.

E così, un buon sistema, appunto, è di dedicarsi a tutte quelle esercitazioni preatletiche che di fatto non modificano assolutamente la tecnica di corsa. La metodologia dell’esasperazione dell’errore non fa al caso di chi si accontenta di ciò perché anche se per essere messa a punto può aver bisogno di molti mesi se non anni di applicazione si può dire che fin da subito si presenta come “pericolosa” perché fin da subito porta a correre in modo diverso.

Con la metodologia dell’esasperazione dell’errore non andiamo a proporre nessuna esercitazione preatletica ma andiamo direttamente sul gesto corsa. Il primo problema (che poi è anche l’unico) è capire qual’è il dettaglio sul quale vogliamo soffermarci. Occorre una certa fantasia nel selezionare l’aspetto biomeccanico da analizzare e non possiamo certamente permetterci il lusso di indagare troppi aspetti in un colpo solo pena il fallimento dell’analisi per colpa di un caos di informazioni che diventano ingestibili. Con il metodo dell’esasperazione dell’errore essenzialmente si va a caccia di informazioni per evolvere le conoscenze sul gesto corsa. E’ un metodo che, nella sua fase iniziale, insiste solo sul sistema nervoso e va a modificare la struttura muscolare solo molto più tardi quando il gesto è stato acquisito. Se vogliamo è un po’ il contrario di quanto si vuole fare con le esercitazioni preatletiche dove, adoperando strumenti che possono portarci a variazioni della struttura muscolare, speriamo poi (spesso invano) che queste variazioni possano portare anche ad una variazione della tecnica di corsa.

Esasperazione dell’errore in realtà è un modo un po’ maldestro di definire questa metodologia perché si dovrebbe definire “esasperazione della devianza” oppure “estremizzazione di un aspetto biomeccanico”. Il concetto è che per capire le varie sfumature, le varie tonalità di un particolare dettaglio tecnico, si vanno a provare più soluzioni dove, oltre a quelle presunte idonee, si pone l’accento anche su quelle ritenute potenzialmente scorrette. Sarà solo da una ponderata analisi di tutte queste situazioni ad emergere quale sia davvero l’atteggiamento da ritenersi corretto e conveniente per quel soggetto e quale l’atteggiamento da abbandonare. Per cui si naviga un po’ al buio perché parliamo di esasperazione dell’errore quando dell’errore non sappiamo proprio nulla ed abbiamo solo delle ipotesi da verificare.

Il caso pratico è quello che ci può far capire un po’ meglio la questione. Un soggetto corre con i piedi divergenti, a “papera” come si suol dire. Semplifichiamo la questione e poniamo che questa “papera” sia simmetrica, tanto per evitare una problematica, quella dell’asimmetria, che potrebbe portare ad una infinità di altri discorsi altrettanto e forse ancor più complessi. La “papera” avrà una sua struttura muscolare e vuol tentare di capire se è condannata a correre “a papera” per sempre o se invece è nelle sue facoltà riportare i piedi in una posizione almeno un po’ più tendente al parallelismo, almeno un pochino meno divergente.

Per analizzare ciò non è certamente sufficiente dire come si faceva cinquant’anni fa “Corri con i piedi più dritti” ma è necessario anche dire come si faceva “solo” 30 anni fa (perché tanti sono più o meno gli anni che ha il timido tentativo di diffusione della tecnica dell’esasperazione dell’errore prima che venisse stroncata dalla moda flagello del cardio frequenzimetro…): “Prova ad esasperare la devianza: corri con i piedi ancora più divergenti”. A quel punto la consapevolezza del dettaglio biomeccanico è di più facile acquisizione e può partire davvero un processo di revisione di quel dettaglio. Tutti i tentativi di revisione di quel dettaglio tecnico andranno modulati nel campo compreso fra l’eccesso di errore ed il suo opposto, saranno questi innumerevoli tentativi a dire alla fine quale davvero possa essere considerato l’errore. Tale processo deve essere lento e costante altrimenti fa certamente disastri. Non è detto che porti a buoni risultati nel breve periodo, è quasi sicuro che porta ad adattamenti muscolari, oltre che nervosi, di una certa  importanza.

Ovviamente questo non è un lavoro molto facile ed è assolutamente individuale e non standardizzabile e questo è il suo grosso limite in un contesto dove i tecnici sono pochi e spesso hanno la necessità di seguire molti atleti con indicazioni più generiche possibile e magari applicabili ad un intero gruppo più che ad una “pluralità di singoli atleti”.

Non a caso il cardiofrequenzimetro ha fatto centinaia di migliaia di proseliti mentre i cultori della messa a punto fine dell’aspetto biomeccanico sono sì e no poche centinaia su tutto il territorio nazionale.

Allenarsi sull’aspetto tecnico è forse (forse…) meno dispendioso da un punto di vista energetico e della preparazione fisica ma decisamente più impegnativo dal punto di vista della continua revisione del piano di allenamento e quindi proprio “laborioso” da un punto di vista psicologico. Allenarsi da un punto di vista meramente condizionale è forse (forse…) più impegnativo fisicamente ma certamente meno stressante da un punto di vista psicologico perché non necessita di continue rivisitazioni delle strategie di addestramento. Se proprio c’è qualche difficoltà a livello fisico ci si può aiutare con qualche integratore che può accelerare il processo di recupero dell’allenamento molto consistente in volume. Altrettanto non si può dire per l’allenamento tecnico: nessun integratore ti aiuta a mantenerti concentrato sulle esigenze di messa a punto dell’allenamento tecnico, è proprio fatica mentale, più che fatica fisica.

L’abbandono dell’attenzione alla tecnica di corsa forse è figlia dei tempi, siamo nel mondo della produzione in serie, il mondo dell’artigianato “fatto a mano” è una cosa d’altri tempi. L’allenamento condizionale è come un abito acquistato al supermercato, l’allenamento tecnico è come un abito di sartoria: se non hai tempo di stare lì a provarlo e riprovarlo non ipotizzare nemmeno di poterlo indossare.