“… qualcuno potrebbe anche sostenere che Pizzolato a New York era talmente in forma, sia nel 1984 che nel 1985, che ha vinto senza bisogno di nessuna magia perché era effettivamente il più forte di tutti…”
Non lo metto in dubbio, sono convinto anch’io che Pizzolato in quelle due edizioni della Maratona di New York fosse in splendida forma ma non rinuncio a vedere un aspetto magico nella questione, soprattutto sul secondo successo perché fra il primo ed il secondo sono volate un’infinità di parole che hanno reso quella vittoria del 1985 ancora più magica. E’ come se quel secondo successo fosse stato lanciato proprio dalle parole più che dall’ottimo stato di forma dell’atleta.
Mi tocca scomodare nientepopodimeno che Cassius Clay nel suo leggendario incontro di Kinshasa con Foreman. Cassius Clay l’ha vinto ancora prima di salire sul ring e l’ha vinto a parole e l’ha vinto proprio perché tutti lo davano per perdente. Ha dimostrato che la magia delle sue parole era una cosa autentica e questa cosa autentica è evidenziata benissimo nel film documentario “Quando eravamo re” che narra proprio di quell’incontro. Ad un certo punto di quell’incontro, dove Muhammad Alì (così si chiamava in effetti a Kinshasa perché aveva cambiato nome) le stava prendendo sonoramente ed in modo quasi clamoroso, l’intensità dei colpi di Foreman comincia un po’ a calare ed è lì che si fa spazio la magia, il tifoso di Alì comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e, con molta fantasia, si può anche arrivare ad immaginare l’epilogo sorprendente dell’incontro. Con molta fantasia però, e questo è un requisito essenziale delle parole magiche, perché ci vuole una grande fantasia nell’ipotizzare che un pugile che le ha prese praticamente per tutto l’incontro ed è restato su per miracolo trovi pure la forza verso fine incontro per mettere K.O. l’avversario. Questo è successo a Kinshasa ed è fin troppo facile evocare la magia ma comunque non si può negare come ci sia stato un vissuto particolare in tanti momenti pre incontro che ha condizionato alla fine l’esito dell’incontro.
Tornando su livelli molto più bassi e ben distanti da quelli del mitico Orlando Pizzolato anch’io nel mio piccolo ho vissuto la magia del successo inaspettato e, fatalità (è proprio il caso di dire “fatalità”…) con le stesse dinamiche del successo di Orlando e… negli stessi identici giorni. A Povegliano, a pochi chilometri da casa mia si correva in quegli anni una di quelle corse di massa che sono nate nei primi anni ’70 ai tempi dell’Austerity, la cosiddette “Non competitive”. Le non competitive in quegli anni erano talmente non competitive che i primi 100 le correvano abbondantemente sotto i 4′ per chilometro e per arrivare nei primi 10 su un percorso di 14-15 chilometri circa dovevi correre attorno ai 3’20” per chilometro. Io nel 1984, il giorno che Orlando vinse a New York arrivai primo un po’ a sorpresa in quella corsa di paese. Con senso dell’umorismo decisi di chiamarla “Poveglyork” e l’anno dopo mi ripresentai al via come Pizzolato a New York. Riuscii a vincere di nuovo ma lì fu il vero capolavoro perché per centrare il bis dovetti battere un soggetto che valeva 19.200 metri sull’ora in pista. Per darvi una misura della differenza con il sottoscritto vi basti pensare che io all’epoca sull’ora in pista valevo a malapena i 18 chilometri. Insomma in quell’edizione della “non competitiva” di Povegliano mi riuscì un exploit di grande valore e a me piace dire (e ne ho ancora la convinzione) perché ero galvanizzato ancora dal successo dell’anno precedente e come calato in un’atmosfera magica da quel primo successo. E’ vero che ero in forma, più ancora che l’anno prima ma penso che se non avessi ragionato un po’ da svitato sul fatto che visto che avevo vinto l’anno prima potevo replicare anche quell’anno non sarei riuscito a produrre quel tipo di prestazione. Pertanto, per me, checché se ne dica, il nome “Poveglyork” che in realtà non esiste nemmeno, è un nome magico. Ma allora, si dirà, se non esiste nemmeno è chiaro che è tutta una balla, una costruzione fantastica. Costruzione fantastica fin che volete ma resta il fatto oggettivo che in quella nebbiosa domenica mattina di novembre del secolo scorso io sono riuscito a correre per un tot. di chilometri a 3’15” per chilometro su strade di campagna e pure finendo più forte in un modo che non mi era mai riuscito in vita e che purtroppo non mi è più accaduto nemmeno successivamente.
La Magia nello sport esiste, non è facile definirla, per alcuni si chiama più semplicemente stato di forma ed allora ha un alone meno leggendario della magia. Con le parole possiamo disquisirne fin che vogliamo ed i tecnici “tecnici” saranno sempre a confinarla entro ambiti ben precisi e piuttosto ristretti. I tecnici meno tecnici, invece ed un po’ più ignoranti (io aggiungerei “umilmente ignoranti”) non la confinano per niente e tentano di scovarla in ogni dove. Gli ingenui non sapevano dell’impossibilità dell’impresa e la realizzarono…