TUTTO E’ RELATIVO

Oggi sono una specie di Albert Einstein. Ho già scritto che il divertimento in una certa competizione non è proporzionale alla qualità del risultato ottenuto ed anzi certe volte c’entra gran poco con questo. Ho corso una mezza maratona a Pontelagoscuro, era un po’ che non ne correvo in gara ed ero titubante perché pure in allenamento era un po’ che non correvo sulle lunghe distanze. Ho fatto quattro conti che potevo farcela ad arrivare almeno vicino all’ultimo classificato sulla base della classifica dello scorso anno e così mi ci sono buttato dentro.

All’inizio il morale era alto e ad un collaboratore della segnaletica vicino al primo chilometro ho detto: “Primo chilometro? Allora ne mancano solo venti, è quasi fatta…” Temo che non fossero dello stesso parere i poliziotti che mi tallonavano in quanto “fine corsa” e non come criminale qualsiasi. Avranno fatto un breve calcolo e quando hanno visto che dopo due chilometri avevo già duecento metri di distacco dagli ultimi avranno pensato che un mio eventuale ritiro gli avrebbe fatto risparmiare un buon quarto d’ora. Invece dopo quei due chilometri il distacco dagli ultimi non è più aumentato e, complice un “rifornimento” al 5° chilometro che io salto sempre perché ho più paura del rifornimento che di restare a secco, in un colpo solo ne supero ben due. Non sono più ultimo a la macchina incubo della polizia non mi tallona più, non sono io l’assassino. Dal 5° al 10° chilometro riesco a pigliarne altri 2 e penso a Gauss (anche se dopo sarà Einstein ad illuminarmi) che dice che la frequenza della popolazione è più diradata agli estremi e pertanto potrebbe pure essere che se nella prima metà ne ho superato 4 nella seconda riesco a superarne pure più di 4. Gauss però, per quanto incontestabile, mi porta un po’ di sfiga e attorno al dodicesimo chilometro non vedo più nessuno davanti perché i distacchi del dodicesimo chilometro sono più consistenti di quelli dei primi chilometri e così alla faccia di Gauss rischio di perdermi anche perché gli sbandieratori del percorso quando passo io ormai hanno il braccio in preda ai crampi e sventolano poco convinti. Vado avanti tentando di non pensare che con 230 partenti è facile che man mano che si va avanti i distacchi siano tali da coprire allo sguardo il personaggio immediatamente davanti. Per fortuna prima del 15° chilometro riesco a pigliarne pian piano altri due evitando una crisi mistica e confermando almeno la media di due pigliati ogni 5 chilometri. Dal quindicesimo chilometro in poi succede l’imponderabile, mi rendo conto che ce la sto facendo, che ci sono ancora energie per andare in fondo e che il temuto tratto sull’argine del Po può essere affrontato in modo non drammatico. Aggredisco la salita che porta sull’argine, che anni passati mi pareva l’Everest, come se fosse l’argine di un fiumiciattolo qualsiasi e quando sono sull’argine non c’é nemmeno quella brezza che invece che a Ferrara ti pensare di essere a Trieste. Gli ultimi quattro chilometri mi appare Albert Einstein e mi fa capire che tutto è relativo. E’ una goduria, oserei dire che non mi sono mai divertito tanto in una mezza maratona (anche se non essendo la mia specialità non è che ne abbia corse poi molte). Ne passo altri quattro ma non è quello che conta, il fatto è che ho corso gli ultimi chilometri meglio dei primi quando invece pensavo di prendere una balla spaziale. Forse il succo del discorso è proprio quello: se ti attendi molto rischi di restare deluso, se ti attendi poco quel po’ che arriva ti entusiasma e se è anche un po’ di più ti esalta pure. La macchina della polizia è distantissima a più di un quarto d’ora. Mi sento un vero bandito, li ho seminati…