L’IDEALIZZAZIONE

“Ebbasta ‘co ‘sta storia…” Ok, allora ditemi che l’idealizzazione non ha a che fare con lo sport e non ha a che fare con l’amore. L’idealizzazione è il motore dello sport ed allo stesso tempo anche il motore dell’amore. E’ la cosa che dimostra ancora una volta che lo sport e l’amore, pur essendo due cose distinte, viaggiano in parallelo e seguono dinamiche simili. Non è dissacrante parlare di sport ed accostarlo all’amore perché ci fa scoprire aspetti sublimi dello sport e non diminuisce il concetto dell’amore ma anzi ci aiuta a comprenderlo ed a capirlo con maggior lucidità, proprio quella cosa che a volte ci ubriaca di sensazioni e ci fa perdere la bussola. Il poeta s’incazza quando vogliamo comprendere l’amore ma chi ama l’amore ha anche il desiderio di capirlo e non solo di farsi trascinare via da questo secondo un concetto un po’ datato di leopardiana memoria.

Analizzare l’idealizzazione può apparire poco poetico ma non è una cosa del tutto stupida e può essere azione entusiasmante e pure affascinante.

Nell’amore diciamo che la persona oggetto di amore ci affascina e questa cosa è ancora più importante della bellezza. Ci si innamora del fascino più ancora che della bellezza ed è il fascino che ci fa vedere una certa persona ancora più bella di quello che è, in una parola un po’ atterrante ma abbastanza esplicativa è il fascino che ci rincoglionisce più che la bellezza.

Il fascino scatena l’entusiasmo, anche la bellezza entusiasma ma non nella stessa misura. Qualcuno si chiederà come possa essere lo sport affascinante. Giusto dire come possa esserlo più da giovani che non in età matura, ma anche l’amore se vogliamo è così. Quando l’amore scatena i sensi anche un po’ su con l’età è ancora più gradito e, tanto per cambiare, pure lo sport è così quando con dinamiche strane riesce a scatenare la passione anche quando l’età del massimo rendimento è passata e nonostante che la capacità prestativa sia scaduta e pure di molto riesce ad evocare sensazioni leggendarie.

Il sottoscritto riesce a ricordare meglio il vero fascino dello sport con riferimento a fatti della gioventù anche se devo ammettere che talvolta ci casco dentro pure ora e non me ne vergogno per niente (recentemente una gara in Svizzera dove pur offrendo un rendimento tutt’altro che eccezionale ma comunque più che soddisfacente per il sottoscritto mi sono sentito un po’ come dentro ad una Olimpiade).

A testimoniare questa non concordanza fra bellezza e fascino ricordo delle incredibili vigilie di corsa campestre. Nella corsa campestre io non sono mai andato neanche a calci nel sedere nemmeno quando ero su di giri un po’ su tutte le distanze e non solo sugli 800 metri che erano la mia distanza preferita. Forse proprio perché non ottenevo grandi prestazioni in questo genere di gare il fascino per un’eventuale buon risultato era ancora più elevato. L’idea di ottenere buoni risultati su una gara su pista o su strada non era poi folle in certi momenti della mia carriera, quella di ottenere buoni risultati nella corsa campestre, sì, praticamente sempre. Ebbene come nell’amore a volte la misura dell’intensità di questo non dipende nemmeno dal successo ottenuto, anche nello sport il fascino non dipendeva dalla possibilità di giungere al successo ma solo dall’intensità con la quale questo veniva sognato. Così devo dire che le vigilie emotivamente più significative erano proprio quelle prima della campestre anche se dopo magari la gara si rivelava una bidonata pazzesca ed all’entusiasmo della vigilia sentitissima si abbinava la depressione di una domenica pomeriggio di profonda delusione. M’è capitato di vincere gare di una certa importanza e non provare quelle sensazioni, assolutamente non nella vigilia e tutto sommato nemmeno nel post gara, caratterizzato da un certo compiacimento ma piuttosto misurato. Insomma discrepanza fra fascino (l’attesa spasmodica) e bellezza (il vero valore del risultato effettivo, in momenti nei quali non avevo sognato praticamente nulla).

In tutto questo l’idealizzazione gioca un ruolo determinante ed è quella che va ad alimentare il fascino. Qui mi tocca fare un distinguo e posso dire che per certi versi lo sport è pure peggio dell’amore nel senso che può portare a fughe dalla Realtà ancora più significative. La persona oggetto di fascino nell’amore un minimo di fascino deve averlo e su questo la fantasia e l’idealizzazione costruiscono castelli. Nello sport la competizione oggetto di fascinazione può anche non presentare caratteristiche particolarmente allettanti ma riesce comunque a scatenare una serie di reazioni a catena che portano ad un vero e proprio tourbillon emotivo.

Nel proseguire questa analisi dell’idealizzazione ci si può chiedere se questa dopo aver offerto utili servigi, sia costretta a far pagare dazio salato in tutte le situazioni o non possa invece passare all’oblio senza danni. Allora ammettiamo subito che un qualcosa che sconquassa davvero a livello emotivo difficilmente si estingue come se nulla fosse. Però non è detto che questa estinzione deva essere assolutamente violenta e dannosa, tutt’altro. Può esserci una “remissione dei sintomi” lenta e graduale che fanno tornare allo stato iniziale senza traumi evidenti. Possiamo chiederci se questa idealizzazione sia sempre un qualcosa di istintivo ed irrefrenabile un po’ come il precedentemente analizzato (negli ultimi articoli) colpo di fulmine oppure possa essere anche un qualcosa di un po’ ricercato e voluto in modo quasi artificiale. Su questa cosa ho una mia teoria che parte proprio dal colpo di fulmine (attenzione che anche su questo ho già teorizzato un confronto con lo sport definendo nientepopodimenoche un certo “colpo di fulmine sportivo” come evento emotivo praticamente fulminante e propiziatore di situazioni nuove per la forma sportiva) che sarebbe la miccia per una eventuale idealizzazione che è un processo quasi cosciente e comunque non sempre irrefrenabile. Il colpo di fulmine per certi versi lo subiamo anche se non vogliamo, l’idealizzazione tendiamo a costruirla sulla base di questo, decidendo, almeno parzialmente se dare a questa storia una corposità sempre più significativa. Ci si trova “fulminati” da un momento all’altro per motivi del tutto imprevedibili ed incomprensibili, non ci si trova in presenza di una idealizzazione fortemente strutturata senza rendersene almeno un po’ conto ed aver ipotizzato degli sviluppi di questa.

C’ è una partecipazione della nostra volontà nell’azione di idealizzazione che ritengo che possa essere almeno parzialmente condizionata. Che questi meccanismi possano presentare delle analogie fra sport ed amore non penso di essermelo inventato io ora su queste note, che poi di questa cosa non gliene freghi praticamente niente a nessuno è pure vero perché lo sportivo continua a pensare in termini di rendimento sportivo, più che di sensazioni, mentre l’innamorato pensa in termini di realizzazione del rapporto di coppia. Quelli sono limiti concreti della letteratura che fa trattare lo sport con il computer e l’amore con la categoria della poesia e della letteratura di un certo tipo più che quella che tratta l’analisi del pensiero e questo è un limite del nostro modo di affrontare le cose, per categorie appunto più che per sguardo d’assieme.

Lo sguardo d’assieme è quell’accidente che ci permette di razionalizzare un po’ le vicende umane, ci può servire per avere un certo equilibrio. Poi i buongustai dicono che certi equilibri possiamo pure ignorarli proprio per sentire in modo più netto le cose benedette della vita: lo sport spinto a livelli notevoli e l’amore cieco che ci porta dove vuole lui. Ovviamente i buongustai non hanno sempre ragione e bisogna capire quando un certo piatto à possibile e quando invece può risultare un po’ “pesantino”.