Cena di classe, ma più che di classe di ex compagni di scuola, ex di 43 anni fa e dunque praticamente vecchi, parliamo dei giovani perché per fortuna con i giovani ci abbiamo ancora a che fare e però non ne parliamo bene, non perché non li stimiamo, anzi abbiamo molte speranze su di loro, ma non li vediamo messi molto bene in questo tipo di società. Ed allora ci sono i punti di vista diversi, chi dice che non lottano ed è colpa loro, chi invece come il sottoscritto sostiene che la colpa è nostra perché non gli abbiamo insegnato a lottare ma a obbedire.
Forse sono due punti di partenza diversi per arrivare alla stessa conclusione ma non è una bella conclusione.
Sulla scuola (noi siamo compagni di scuola…) ci scontriamo in modo netto e li mi pare di essere un marziano. Lì molti miei colleghi insistono sul fatto che non hanno voglia di fare un cavolo e sono troppo protetti dai genitori.
Io sostengo che i ragazzi diano troppa importanza alla scuola, la danno per colpa nostra e drammatizzano in modo esagerato arrivando a ritenere l’incubo della bocciatura un vero e proprio flagello.
In sostanza i miei colleghi sostengono che i ragazzi studiano troppo poco mentre io sostengo esattamente il contrario che dedicano troppo tempo allo studio e soprattutto che perdono tempo a studiare cose inutili con il solo obiettivo di superare le incessanti verifiche dell’attuale arcaico sistema scolastico che dedica alla valutazione tempi biblici.
Ovviamente la ricaduta sullo sport è consequenziale. Anche lì non si applicano come dovrebbero e pertanto non ottengono i risultati che potrebbero ottenere.
E lì rischio di dare i numeri perché si va nel campo di mia competenza e su concetti sui quali rischio di scontrarmi tutti i giorni.
Non sono i giovani che non hanno voglia di fare sport. Siamo noi che molte volte confezioniamo per loro un tipo di sport stressante e loro che arrivano al campo purtroppo già stressati dalla scuola non hanno certamente bisogno di alimentare ansie da prestazione anche sul campo sportivo.
In sintesi le mie speranze, anche se comunque in un cambiamento, sono diverse da quella della maggior parte dei miei colleghi. Mentre loro sperano in una gioventù che si accenda accettando queste regole e trovando energia per portare avanti questo sistema sociale, forse io sono un po’ più pessimista (nel valutare il fallimento di questo sistema sociale) o utopisticamente ottimista (nel valutare il grande potenziale innovativo dei giovani) e ritengo che la speranza sia nel fatto che loro decidano di cambiare questo sistema sociale smettendola di ubbidire ed adattarsi a situazioni insostenibili. In sostanza questa scuola arcaica che soffoca in modo esagerato il tempo libero possono cambiarla solo loro perché se aspettano che siano gli adulti a cambiarla potranno attendere ancora qualche secolo.
Ci scontriamo anche su quisquilie che sembrano apparentemente di poco conto ma sono poi rappresentative del modo di intendere il ruolo dei giovani. Io dico che il registro elettronico dove i genitori possono vedere i fattacci del pargolo momento per momento. è lesivo della loro privacy ed è semplicemente da telefono azzurro al quale un ragazzo dovrebbe rivolgersi lamentando che il genitore sa continuamente i suoi cazzi istante per istante.
Per conto mio il registro elettronico è una bomba innescata contro la maturazione del ragazzo che non è libero di decidere autonomamente la gestione del problema scolastico. Il genitore che interviene sulle questioni scolastiche del figlio è semplicemente devastante e lo è in primo luogo perché è decisamente soffocante e poi perché impedisce che il ragazzo sia libero di relazionarsi come meglio crede con l’insegnante per gestire la sua scuola che non è certamente quella del genitore. Chiaro che un ragazzo che a scuola fa il delinquente deve essere segnalato ma se il suo problema è semplicemente che nell’ambito di un comportamento educato decide di gestire la scuola in un certo modo questa deve essere una libera scelta.
A cascata l’atteggiamento nei confronti della società diventa quello univoco di doverla subire adattandosi il più possibile a questo modello sociale e alle sue condizioni oppure quello un po’ più positivo e romantico di potersi illudere di costruire una società nuova che non prenda per il culo i giovani ma li consideri davvero e non solo a parole la forza trainante della società.
Qualcuno mi dice che questa è una rivisitazione, nemmeno in termini tanto diversi, del defunto 1968, io dico che come minimo è una netta presa di distanze dal riflusso dei primi anni ’80 che non è più finito e sta facendo strage pure adesso. Dire che non sono affari nostri è da ignavi, è certo che queste sono questioni da giovani ma ci siamo immersi dentro pure noi almeno fin tanto che siamo vivi (qualcuno, per certi versi, dice anche dopo…). In ogni caso la società del “Le faremo sapere” l’abbiamo costruita noi e, generalmente, “Le faremo sapere” non è una cosa che un ventenne dice ad un cinquantenne ma l’esatto contrario.
Io, come sempre, spero che almeno al campo sportivo i giovani prendano le redini in pugno e partecipino allo sport che piace a loro più che quello che piace agli adulti che penso che non sia uno sport che si smette di praticare quando ti rendi conto che non ti farà diventare ricco.
Forse il vero succo del discorso è proprio questo: i giovani devono imparare che nella tomba non ti porti i soldi che hai accumulato in vita e noi che sappiamo che il tempo corre velocemente dobbiamo insegnare loro almeno questo. Devono vivere la loro gioventù lasciando perdere le cagate degli adulti e questo può fare decisamente bene a loro ma anche a noi che altrimenti diventiamo vecchi prima del tempo.