- – L’articolo “Perché non riusciamo a studiare il sistema nervoso centrale”, per altro curioso e per certi versi interessante, parte da delle premesse un po’ sconcertanti e, a mio parere, inesatte. Non è vero che non riusciamo a studiare il sistema nervoso centrale, tutt’altro, i progressi delle neuroscienze fin dalla metà del secolo scorso sono stati decisamente notevoli. Questo per non screditare del tutto la scienza che, anche se a volte piglia dei granchi notevoli, riesce comunque a farci comprendere sempre meglio l’universo ed al suo interno quello che noi ci combiniamo dentro… –
Il titolo di quell’articolo era effettivamente fuorviante come gran parte dei titoli dei miei articoli che butto lì a caso, quasi in modo provocatorio, per destare curiosità.
In effetti ho scritto una clamorosa balla perché non è per niente vero che non riusciamo a studiare il sistema nervoso centrale, anzi, proprio grazie alle neuroscienze abbiamo fatto dei notevoli progressi in materia, però il senso di quella falsa osservazione non è del tutto campato in aria e probabilmente andava semplicemente tradotto in un più preciso: “Perché, nonostante che siano state fatte grandi scoperte, tutto sommato possiamo tranquillamente dire che non ci capiamo ancora quasi nulla…”
E questo non lo dico solo io che mi occupo di attività motoria ma lo dicono pure gli scienziati e pertanto su questa cosa siamo abbastanza d’accordo.
Visto che ci capiamo ancora poco e che gli aspetti da indagare sono pressoché infiniti, anche l’esperto di attività motoria può provare delle osservazioni in proposito e, se anche quelle osservazioni non saranno certamente decisive per il progresso della scienza, possono comunque essere utili e fornire, almeno, degli spunti di riflessione.
Sono partito dalla più banale delle osservazioni: l’attività fisica ossigena il cervello e pertanto può essere utile anche per il buon funzionamento di questo. Già molto tempo fa veniva consigliata l’adozione della corsa o di buone camminate nella preparazione degli scacchisti di alto livello. Ora non penso che il gioco degli scacchi possa beneficiare direttamente dell’allenamento con la corsa. Fra il gesto motorio di spostare un pedone o la regina e quello del correre ci vedo poca assonanza, però se correre mi ossigena in modo ottimale il cervello va a finire che sposto pure meglio la regina non perché la sollevo con più classe ma perché la metto nel posto giusto.
Questa è un’osservazione banale ma poi ci sono le cose che riguardano direttamente il cervello e che influenzano l’attività sportiva in un modo che nessuno psicologo dello sport è capace di prevedere e capire completamente.
Faccio un esempio, se vogliamo anche abbastanza romantico, per potermi affrancare un po’ dalla scienza per spiegarmi. Pensiamo ad un atleta, anche nel culmine dell’attività sportiva e pertanto non proprio un ragazzino, che sta preparando minuziosamente la sua stagione agonistica. Quell’atleta si prepara in un campo dove ci sono anche altri giovani, ragazzi e ragazze, per fortuna. Sta svolgendo minuziosamente una certa seduta di allenamento, che so, dieci prove sui 400 metri, piccolo tassello di una preparazione lunga e meticolosa e dopo la quinta prova, quando non è ancora del tutto in coma ma anzi il suo cervello è ben ossigenato, incrocia con lo sguardo quello di una ragazza che si sta allenando, magari pure lei non ancora in preda alle tossine di fine allenamento. Può essere che non l’abbia mai vista, o non l’ha mai notata, oppure l’ha sempre vista, da anni, ma non così e quello stramaledetto giorno scatta la scintilla che può scattare al primo sguardo ma anche al tremilionesimo. Secondo voi quell’accidenti che dura meno di un decimo di secondo e tecnicamente (proprio tecnicamente!) si chiama “Colpo di fulmine” vale meno delle restanti cinque prove sui 400 che deve correre quel giovane?
Io dico che quella frazione di secondo, sia che porti ad uno splendido matrimonio o che non porti proprio a nulla perché uno dei due ragazzi o pure tutti e due sono già legati sentimentalmente ad un’altra persona o semplicemente perché la “fulminatrice” non ci pensa nemmeno, pesa su quel periodo agonistico sportivo e pure non dell’atleta in modo determinante ed è anche potenzialmente decisivo molto di più di quei dieci 400 e anche di quelli successivi per chissà ancora quante sedute di allenamento.
Ho spostato il punto di osservazione con una cosa squisitamente romantica ma non potete dirmi che non ho ragione nemmeno se non sapete neanche cos’è un colpo di fulmine, perché, sotto sotto, siete lì che lo state aspettando da anni.
Ci sono delle cose che nascono nel nostro cervello, in modo inaspettato ed imprevedibile, che prevaricano del tutto le altre. Quelle romantiche hanno fatto scrivere libri e libri ed anche se non sono libri di scienza sono libri di realtà perché nel nostro cervello anche se c’è spazio per la razionalità c’è spazio pure per l’irrazionalità ed io aggiungo che questa è la nostra grandezza altrimenti saremmo tutti terribilmente noiosi.
Ma non c’è bisogno certamente di scomodare il romanticismo per portare in campo argomenti che condizionano lo sport e l’esistenza di un giovane, ma aggiungo di un soggetto di qualsiasi età ed evidentemente se si tratta di un bambino o di un soggetto maturo le dinamiche saranno certamente diverse e, faccio per dire il bambino, potrebbe essere influenzato molto positivamente dall’allenatore che è più di un allenatore e magari è una specie di genitore molto comprensivo quando per chissà quale stramaledetto motivo in famiglia il ragazzino respira un’atmosfera pesante. Oppure il master che sul campo trova un’atmosfera di amicizia della quale, sempre per motivi vari, ha terribilmente bisogno e se non ci fosse quell’atmosfera col cavolo che va a correre e sudare.
Insomma l’aspetto emotivo è difficilmente sondabile, come ho scritto più volte è determinante, fondamentale e, non a caso, io auguro ai miei lettori di innamorarsi dello sport che praticano, senza creare casini in famiglia ma innamorarsi dello sport che si pratica è proprio la cosa migliore per seguirlo con continuità e forse anche per sempre se la salute ci accompagna.
Prima ho accennato al colpo di fulmine e adesso non è che voglia mettermi a scrivere romanzi romantici però, senza diventare grottesco, vorrei dire che per conto mio esistono delle specie di colpi di fulmine anche nello sport.
Chiariamo subito una cosa per non passare per scemo. sono di una portata decisamente più debole di quelli veri fra due persone ma hanno più o meno la stessa dinamica.
Sono assolutamente imprevedibili e anche se possono portare a dolore psicologico e pure problemi esistenziali anche concreti (il famoso “Maledetto il giorno che mi sono sposato” un po’ più frequente del più raro “Maledetto il giorno che ho cominciato a giocare a Rugby…”) in fondo in fondo siamo tutti li ad attenderli con ansia. Ebbene lo sportivo che si attende il colpo di fulmine dalla sua attività sportiva io credo che sia terribilmente saggio ed abbia ottime speranze, non so se sia altrettanto saggio il buon padre di famiglia che si attende il colpo di fulmine da altre circostanze ma in quel caso mi auguro che abbia la forza di gestirlo ed allora forse può essere un’ottima esperienza di vita pure quella.
L’attività sportiva è difficile che possa dare il suo colpo di fulmine all’inizio, tende a dare, se funziona veramente bene, una serie di colpi di fulmine in tempi successivi e lì uno capisce che quello è lo sport della sua vita. Ci alleniamo per giorni e giorni e giorni, in poche frazioni di secondo magari alcune a distanza di anni da altre capiamo che il nostro sport è proprio quello. In ogni caso non si può programmare lo stato emozionale di una determinata attività sportiva come evidentemente non si può programmare lo stato emozionale in una relazione di coppia. Così come i fidanzati che ci credono anche nei momenti più bui temporeggiano in attesa di altri colpi di fulmine (che come coppia si augurano che siano fra loro e non con altri soggetti…) l’atleta un po’ spento che ci crede nel suo sport temporeggia nell’attesa di altri ritorni di fiamma che con un po’ di pazienza arrivano praticamente sempre.
Ecco la pazienza è fondamentale ma lo è pure nel rapporto di coppia, non solo nello sport. Se uno dei due ha fretta il rapporto vacilla e la fretta può portare a cercare nuove esperienze che magari minano (in certi casi la rinforzano ma non sempre) l’esperienza precedente.
Nello sport il vantaggio è che la pazienza deve essere solo di chi lo pratica perché lo sport in sé per sé non si muove anche se le rogne legate ai campi sportivi, soprattutto in Italia, sono cose di tutti i giorni, ma con la buona volontà si trova il modo per superare questi ostacoli. Certo pure lì se uno appena è annoiato da uno sport ci prova subito con un altro può mettere in crisi la passione per lo sport originario e rischia, di… non innamorarsi mai.
Come nella vita, anche nello sport innamorarsi costa sacrificio, esclude dalla tua ottica cose che se non ti innamori riesci a vedere meglio, ma se si vuole innamorarsi davvero non si può essere farfalloni ad oltranza. Questione di scelte. Ovviamente, come al solito, sono stato prolisso ma se parliamo di cervello non si può certamente essere sintetici.