L’hanno sezionato in tutti i modi arrivando a stabilire le aree deputate ad una certa funzione e le aree deputate ad altre funzioni, eppure del cervello che, è il capo del nostro sistema nervoso centrale, non ci capiamo ancora nulla. Alla fine non capiamo nulla nemmeno del sistema nervoso centrale in toto anche se la trasmissione periferica è stata decodificata con sufficiente precisione. Ma non capiamo perché le informazioni provenienti dall’esterno vengono rielaborate da un certo soggetto in un certo modo e da un altro in modo diverso. E non siamo in grado di stabilire chi rielabori nel modo “migliore” salvo stabilire a priori degli astratti livelli di salute mentale che però sono concordati dalla collettività per il quieto vivere ma non “garantiti” dalla fisiologia. Fisiologicamente è sano sia il cervello di quello che vuole cambiare il mondo sia quello di chi lo vuole esattamente così com’è anche se ad essi arrivano gli stessi identici stimoli ma rielaborano in modo diametralmente opposto.
In psicologia dello sport lavoriamo sui vari stimoli che arrivano dall’ambiente sportivo per tentare di comprenderli e capire come possono agire sulla psiche dell’atleta. Partiamo dal presupposto che siamo contenti quando questi stimoli sono utili per ottenere buoni risultati agonistici ma potremmo anche chiederci se i risultati agonistici sono la cosa più importante per l’atleta stesso e così tendiamo a “smontarlo” nella sua psiche per renderlo più consapevole possibile della sua condizione di atleta.
Parlando di sport di base siamo fiduciosi sul fatto che l’attività fisica porti ad una buona ossigenazione del cervello e pertanto speriamo che possa farlo funzionare meglio ma è su questo “meglio” che facciamo fatica anche a capirci perché, a parte certi indici di funzionalità neurologici, non possiamo poi determinare a priori qual’è il cervello che funziona meglio e quello che funziona in modo poco razionale. Insomma usando categorie antiche, che però sono ancora buone per raccontare alcune cose, il fascista dirà che il comunista è matto da legare ed il comunista dirà semplicemente che il fascista è da internare in manicomio. Staccandoci da questo e venendo su argomenti terra terra, lo sportivo assuefatto allo sport dirà che meno di dieci ore la settimana di sport non servono a nulla ed il soggetto che lo sport lo guarda solo alla televisione dirà che un paio d’ore di sport alla settimana possono bastare anche se poi si possono subire nella stessa settimana più di dieci ore di televisione.
Su queste cose possiamo solo metterci d’accordo per vivere in una società dove tutti possano trovare spazio ma non possiamo definire dei livelli standard di salute mentale altrimenti finiamo per cadere nelle aberrazioni dei paesi dove vige la dittatura che definiscono malati di mente gli oppositori del regime e fanno di tutto per convertirli a sani propositi conformi alle direttive politiche.
Un sintomo di civiltà può essere ritenuto quell’atteggiamento per il quale è scontato che ogni cervello reagisca in modo diverso nella rielaborazione dei vari stimoli e quella è la base della democrazia. Ammettere che siamo tutti diversi è un atto di onestà scientifica e la scienza, anche in modo rudimentale, fa poca fatica a dimostrare questo. Al tempo stesso questa osservazione è quella che fa schiantare un po’ le presunzioni di capire a fondo il sistema nervoso centrale. Ci mancano dei dati decisivi su questo e sono quelli alla base della differenza di interpretazione. Insomma ci siamo messi d’accordo su cosa è rosso e cosa è verde ma non tutti vediamo lo stesso rosso come non tutti vediamo lo stesso verde e non c’è bisogno di essere daltonici per arrivare al fraintendimento. Il daltonico purtroppo viene emarginato perché clamorosamente diverso da tutti gli altri nell’interpretare i colori in modo che viene definito patologico e pertanto pericoloso per la collettività. Il non daltonico che percepisce il verde o il rosso in modo un po’ diverso dagli altri non se ne rende nemmeno conto, non potrà essere dichiarato pericoloso solo per quel motivo ma potrà comunque comportarsi in modo diverso almeno in tutte le questioni che hanno a che fare con il rosso o con il verde.
Viene fin troppo facile la battuta sul codice della strada dove l’incapacità di distinguere i colori del semaforo è decisiva per capire se puoi guidare un’automobile o meno. Scoprire il daltonismo patologico non è difficile e pertanto quel problema si risolve facilmente. Ma andando su altre “sfumature”, anche se non riguardano i colori, per esempio a livello sociale facciamo fatica a metterci d’accordo su cosa sia pericoloso e cosa non lo sia. La disputa sui limiti di velocità che sta caratterizzando molte realtà locali, pare più una disputa fra conservatori e laburisti. Da un lato i personaggi legati alla civiltà del petrolio che non rinunciano all’automobile nemmeno sotto tortura e secondo i quali mettere i centri urbani ai trenta all’ora vuol dire sconvolgere la società. Dall’altro i “rivoluzionari” secondo i quali anche la sola idea di salvare qualche vita umana è già più che sufficiente per farci cambiare l’idea di usare l’auto nei centri urbani come se fossimo ancora nel ventesimo secolo. La voce “pericolo” è percepita dai vari soggetti in modo diverso. Per alcuni il pericolo è essere investiti da un’automobile e/o restare intossicati nel traffico sempre più insopportabile, per altri il pericolo è dover cambiare abitudini e rinunciare all’automobile quando andare dappertutto con questa si era rivelato tanto comodo.
Anche con riferimento al trasporto pubblico il “pericolo” viene percepito in modo diverso. Per alcuni il pericolo è aver a che fare con una rete di trasporto pubblico carente che ti impone di usare l’automobile anche se non vorresti. Per altri il pericolo è che la rete di trasporto pubblico diventi talmente efficiente che ti toglie ogni scusa per andare in auto e così aumentano i divieti per l’utilizzazione del mezzo privato. Per alcuni il pericolo è che l’autobus continui ad essere scomodo e più lento dell’auto per altri il pericolo è che diventi talmente comodo e rapido da convincere la quasi totalità dei cittadini ad usarlo.
L’emarginazione e la conformazione giocano un ruolo chiave in tutte le interpretazioni. Alla fine per il quieto vivere ci si adegua al sentimento comune e così la massa ha una forza inerziale assolutamente non trascurabile. Secondo questa gli eccentrici sono quelli che hanno torto e comunque anche se non hanno torto hanno la caratteristica di vedere e percepire cose che molti altri non percepiscono, e con questa cosa devono certamente farci i conti.