MUOVERE LE GAMBE CON LA TESTA OPPURE MUOVERE LA TESTA CON LE GAMBE

Spieghiamo questo ennesimo titolo strano. Non va inteso letteralmente. Letteralmente le gambe si muovono con i muscoli delle gambe e la testa si muove con i muscoli del tratto cervicale, fin troppo semplice.

Poi uno può complicarsi la vita, sempre in senso letterale, andando a spostare la testa con l’azione delle gambe e non è per niente facile e bisogna avere una grande mobilità articolare, oppure addirittura spostare le gambe con la testa e lì siamo a livello di numeri da circo ma non è di queste prodezze che voglio trattare.

No, in modo forse ancora più complesso, voglio analizzare il senso metaforico della questione e vedere se grazie all’attività del sistema nervoso centrale è più facile muovere il corpo o se grazie all’azione muscolare (dove però il sistema nervoso centrale c’entra sempre…) possiamo, in senso metaforico muovere un po’ la testa, dare stimoli alla nostra psiche.

Ebbene una piccola risposta l’ho già data dicendo che bene o male il sistema nervoso centrale c’entra sempre, dunque la testa c’entra sempre e pertanto non c’è movimento senza almeno un minimo di messaggio che proviene dalla testa.

Allora la prima cosa è anche facile da capire e con la testa muoviamo decisamente le gambe. “Lavorare” sulla testa come fanno gli psicologi dello sport per muovere ancora meglio le gambe è un certo tipo di discorso, è complesso ma non è l’unica cosa delle tante che facciamo per muoverci meglio, per migliorare il rendimento nello sport e anche per stare bene fisicamente. Al contrario muovere le gambe per muovere la testa e dunque fare sport, attività fisica in genere con l’obiettivo di influenzare positivamente la nostra psiche è tutt’altro discorso, a mio parere è ancora decisamente più complesso e lì il risultato agonistico, ma aggiungo pure l’efficienza fisica, passano in secondo ordine. Quando un soggetto inizia a fare sport perché è depresso e trova nello sport una valvola di sfogo e degli stimoli che influenzano positivamente la psiche, del rendimento agonistico così come dell’efficienza fisica non gliene frega proprio niente. Al paradosso può anche sbagliare con l’attività fisica e magari invece di migliorare i risultati li peggiora e l’efficienza fisica scade perché è sempre intossicato ma se quella stramaledetta preparazione è stimolante, divertente ed entusiasmante a livello psicologico diventa un cosa insostituibile e tu puoi pure dirgli: “Allenati di meno che ti disintossichi, rendi di più e stai pure meglio fisicamente…” che quello continua ad allenarsi sempre di più perché in preda all’assuefazione all’attività fisica.

Sono del parere che offriamo un grande servizio alla collettività quando ci muoviamo in questa direzione e se all’atleta ad un certo punto bisogna dargli una bastonata in testa perché si sta allenando troppo e non risponde più ai comandi quello non è nemmeno un grande problema. Un atleta assuefatto all’attività fisica generalmente è una persona che sta bene. Un modesto sovraccarico crea qualche problemino di ordine fisico (che si autoregola perché quando ti parte un ginocchio non ci stai a massacrarlo sempre di più e lo metti a posto per correre ancora di più, ma in qualche modo lo metti a posto) ma viene barattato volentieri con disagi esistenziali che uno è disposto pure a pigliare psicofarmaci per contrastarli se non riesce a trovare qualcosa di entusiasmante che possa risolverli.

Un esempio pigliato dalla cinematografia che viene fin troppo spontaneo citare è quello del mitico Forrest Gump che per provare a risolvere un disagio esistenziale inizia a correre e non smette più. Altrettanto celebre è la battuta offerta da Forrest quando dopo migliaia e migliaia di miglia percorse si ferma, a chi gli chiede sorpreso: “Perchè ti fermi?” risponde semplicemente: “Sono un po’ stanchino…”.

Quel “Sono un po’ stanchino…” è la chiave di interpretazione di questo articolo e se da un lato vuole evidentemente dire che il nostro Forrest Gump era un grande atleta visto che riusciva a sopportare carichi incredibili di attività fisica, dall’altro vuol dire che il disagio psichico che l’ha fatto partire era di una portata tale da mascherare ogni sintomo di fatica e renderlo trascurabile anche se era una fatica epica perché il vantaggio che ne aveva nel mitigare il dolore psichico era superiore allo stress causato da quella indubbiamente grande fatica. Insomma ad un certo punto non si capisce se Forrest Gump non si ferma più perché è un talento eccezionale con capacità fisiche incredibili o se è semplicemente devastato nella psiche incapace di percepire il dolore fisico. Se ne deduce, ma questo lo deduce lo spettatore del film ancora prima che l’esperto di attività motoria, che quando si ferma è perché in realtà comincia a stare un po’ meglio ed il fatto che percepisca almeno un po’ la fatica è il trionfo dell’attività fisica come metodo terapeutico. Diciamo pure che Forrest Gump non è guarito me se percepisce la fatica vuol dire che sta almeno un po’ meglio.

In gergo si dice “Corri che ti passa” ed è la sintesi di quel lungo ed apprezzato film.

In Italia, ogni anno un buon numero di corridori nemmeno tanto allenati si cimentano nella massacrante 100 chilometri. E’ una corsa che non è nemmeno una corsa perché la grande massa dei partecipanti non riesce a correre per tutto il percorso ed abbina alla corsa lunghi tratti di cammino, arrivano al traguardo un gran numero di concorrenti e certi non è che sprizzino salute da tutti i pori nelle ultime fasi di questa gara. Ebbene, molti ci tornano e la ripetono ed io sono convinto che da un punto di vista psicologico possa effettivamente essere una gran cosa. Da un punto di vista fisico ho qualche dubbio ma non sono qui a mettere dubbi sull’utilità fisica della partecipazione alle cosiddette “ultramaratone”. Sono piuttosto a rilevare come il loro impatto sulla psiche sia di vasta portata e possa superare il disagio fisico certamente non irrilevante che sempre caratterizza queste imprese, con qualsiasi livello di allenamento.

Io stesso, senza poter portare testimonianza di gare sulla 100 chilometri, pur avendo corso alcune maratone con un certo piglio agonistico (la più lenta, la prima, in 3 ore e dieci quando avevo 17 anni) posso affermare che queste mi hanno fatto divertire ma non mi hanno dato dal punto di vista psicologico, quel sollievo che ho provato una mattina di qualche anno fa (diciamo solo 43…) quando, uscito di casa con l’intento di correre un po’ per rilassarmi in vista di una giornata di studio per preparare gli esami di maturità, ho corso per 4 ore e quarantasei minuti costruendomi la motivazione per studiare circa mezz’ora quel giorno verso sera, dopo aver passato il pomeriggio a letto a recuperare la sana corsetta della mattina.

Ricordo con molta nostalgia quella mattina, non ho corso per 4 ore e quarantasei minuti per preparare nessuna maratona, preparavo gli 800 ed i 1500 all’epoca, semmai la Maratona la correvo a fine stagione per divertirmi e non certamente vicino al periodo agonistico, ma allora era fine aprile e prima degli esami di maturità trovai il tempo di ritoccare il mio personale sui 1500 (per quello degli 800 dovetti attendere settembre ma… non penso per colpa di quell’uscita mattutina di aprile!). Dunque di quella corsetta da quasi cinque ore avevo bisogno per motivi squisitamente psichici e non fisici e/o di preparazione a gare. Preciso che nelle sale non era ancora uscito Forrest Gump, ci mancava ancora un bel po’ e pertanto non ho imitato nessuno, ho solo seguito il mio istinto e dico istinto di studente più che di atleta. Sono del parere che le grandi studiate se affrontate “per necessità” siano la cosa più idiota che ci sia e siano il miglior modo per non imparare nulla ed ingolfare la mente con nozioni da spedire nella memoria a breve termine ostacolando il vero processo di apprendimento e soprattutto la capacità critica. In breve, quelle 4 ore e quarantasei non mi sono servite a nulla come atleta ma mi sono servite come persona per permettermi di reagire all’idea di otto folli ore di studio in una domenica di primavera dei miei 18 anni.

E’ una cosa che racconto ancora adesso agli studenti che si immergono in studiate colossali nell’imminenza degli esami di maturità ai quali dico: “Se lo fai perché ti piace studiare complimenti, ma se lo fai per pigliare un voto in più agli esami di maturità sappi che la tua salute conta più degli esami di maturità e non puoi passare un’intera giornata a studiare senza mettere il naso fuori dalla porta almeno per l’ora d’aria che è concessa anche ai carcerati.”

Il concetto è che cinque ore di attività fisica assassinano i muscoli ma questi dopo qualche giorno si riprendono mentre otto ore di studio “forzate” motivate solo dalla necessità di far vedere che sei un “bravo” studente ad una commissione che manco ti conosce (altra cosa assurda dell’esame di maturità) ti danneggiano nella psiche. Per cui, raccomandazione ai giovani che purtroppo quasi mezzo secolo dopo hanno a che fare ancora con un esame di maturità privo di senso: “Non rinunciate all’attività fisica per preparare gli esami di maturità e, nei limiti del possibile, studiate per il gusto di capire le cose e non per far vedere ad una commissione che non sa nulla di voi che avete studiato”. Studiare per far vedere agli altri che si ha studiato è la più grossa delle idiozie che si possa fare, non ostacolata ed anzi incentivata dall’inefficiente scuola italiana.

Nella società della burocrazia e delle cose false, dei troppi termini in inglese ripetuti pappagallescamente senza reagire per uniformarsi all’informazione finta che detta le mode, curare lo spirito critico e servirsi dello sport, talvolta anche esagerando, per reagire e staccarsi dal gregge è una delle cose più sensate ed autentiche che si possano fare. E’ chiaro che lo sport vero può portare anche ad emarginarsi, non sempre è strumento di conformazione, non sempre ti aiuta a seguire le mode, anzi tutt’altro.

Muovendo le gambe si può aiutare il movimento della testa. Poi il fatto che nella nostra società chi usa la testa si possa trovare anche meno bene di chi non la usa è un’altra realtà ma vivere le cose autentiche è più bello che subire la finzione e per questo l’attività fisica può fare veramente bene alla salute.