BREVI NOTE AUTOBIOGRAFICHE

Mi dicono che parlo a vanvera di cose troppo generiche senza far capire da che pulpito proviene la predica e che nel mio sito proprio non si capisce chi sia ‘sto personaggio che si permette di fare critiche anche abbastanza aspre sulla società in genere, sulla scuola e soprattutto sul libero mercato che a mio parere ci condizionerebbe solo nel male e non anche nel bene.

Ebbene, purtroppo devo partire da distante, da quando ero bambino altrimenti non si capisce nulla. In modo molto sintetico diciamo che ero un bambino che ha giocato troppo poco e poi, quando ha cominciato, non ha più smesso.

Da qui forse nasce la critica alla scuola attuale, rea, a mio parere, di far giocare troppo poco i bambini e non lasciar spazio per il gioco dei grandi, che è lo sport, nei tempi successivi.

La critica al libero mercato invece forse nasce fin da prima, quando, pur essendo piccolo, pensavo troppo perché giocando poco avevo troppo tempo per pensare.

Ho avuto la percezione, da piccolo, di crescere in una famiglia non troppo agiata economicamente. Si mangiava senza problemi, anzi mia madre mi provocava la nausea da cibo perché continuava a ripetermi di mangiare di più visto che mi vedeva magro e pallido ma non si rendeva conto che mi mancava il gioco (vivevo in centro città) e non il cibo. Però anche se non avevamo problemi economici gravi percepivo che intorno a noi c’erano molte famiglie che non avevano come la nostra il problema di “arrivare a fine mese”. Il problema, per il sottoscritto, si evidenziava solo nel fatto che quando chiedevo a mio padre perché non cambiava l’auto (ero molto appassionato di automobili e di quel tipo di auto lo sono ancora alla faccia che critico l’automobile praticamente sempre nei miei estenuanti e prolissi articoli sulla sedentarietà dilagante) rispondeva che mancava poco perché giocava al Totocalcio e pertanto prima o poi avrebbe vinto una somma per cambiare l’auto.

Il mio problema vero era che pensavo troppo e giocavo troppo poco, non che mio padre non riusciva a cambiare l’auto. Fra l’altro ero pure davvero un po’ malaticcio come temeva mia mamma, io sono convintissimo per il poco gioco e così nelle poche occasioni di gioco mi rivelavo subito fisicamente deficitario rispetto ai miei coetanei e certi tipi di gioco dove le capacità fisiche sono determinanti li ho pure scartati dalle mie scelte in un pessimo giro del cane che si morde la coda perché giocando meno ero sempre più tagliato fuori da certe dinamiche.

In quel periodo fra l’altro ho pure avuto problemi seri con dei vaccini e questo mi serve per contestare chi leggendo alcuni miei articoli mi bolla per “no-vax”. Non sono assolutamente un “no-vax” ho semplicemente subito dei danni da vaccino (spero non permanenti…) e purtroppo (o per fortuna, per certi versi) me lo ricordo ancora molto bene.

Quando ho iniziato a giocare è cambiata la mia vita. Avevo otto anni ed il tutto è successo perché ho cambiato residenza trasferendomi dal centro città alla periferia (mossa suggerita dal mio medico pediatra che penso proprio che ci abbia visto dentro). Premetto che l’impatto con la scuola non è stato molto normale. Lì mi sono sentito un po’ strano nel senso che sul banco ero mediamente più bravo degli altri ma a ricreazione ero veramente un disastro e a me, tutto sommato importava, di più quanto avveniva a ricreazione di quanto avveniva sul banco anche se ci rimanevo un po’ male quando qualche mio compagno simpatico ma che semplicemente non ci arrivava (in matematica proprio “non ci arrivavano”, non ho mai pensato che la matematica fosse una materia da imparare, in matematica o ci sei o non ci sei, punto e basta…) prendeva brutti voti già alle elementari (e per questo ancora oggi io abolirei i voti per risolvere il problema dei brutti voti non solo alle elementari ma in tutti gli studi di ordine e grado).

Quando mi sono trasferito in periferia il mio rapporto con il gioco e l’attività fisica in genere è cambiato completamente. Mi sono reso conto ancora di più quanto ero deficitario rispetto agli altri ma lì mi sono appassionato al gioco ed ho deciso che avrei provato a fare un po’ come i miei compagni che “studiavano” la matematica per diventare meno asini in matematica. Fra l’altro con un po’ di presunzione perché pensavo (e questa è una brutta cosa e forse mi condiziona ancora un po’) che mentre nell’attività fisica pian piano, con pazienza e buona volontà puoi tirarti fuori, in matematica non c’è proprio nulla da fare e puoi studiare pure tutto quello che vuoi che se non ce l’hai nel sangue non ci capirai mai nulla.

Le mie note autobiografiche potrebbero anche finire qui e spiegano tutto il resto. Solo un paio di righe per spiegare perché quando mi chiedono che mestiere faccio io rispondo “Io gioco, non lavoro”.

Il mio mestiere è un non lavoro nel senso che insegno attività motoria per la terza età che in Italia è un mestiere che non esiste. Se non insegni a scuola non sei inquadrato. I professori che preparano gli insegnanti di attività motoria per la terza età, sono insegnanti che hanno insegnato a scuola ai ragazzi, non gente che ha fatto il mio mestiere e pertanto privi di una esperienza sufficientemente collaudata per poter insegnare il mestiere. Io stesso, se volessi insegnare la mia materia all’Università non potrei farlo perché pur avendo seguito gli studi per fare questo mestiere (il mitico Isef, che nella mia città era pure all’avanguardia) non ho insegnato a scuola. Come dire che per lavorare all’Ospedale nel reparto di Geriatria devi aver fatto prima una vita nel reparto di Pediatria. Se hai passato l’esistenza in Pediatria non potrai essere un buon Geriatra. Così come se hai insegnato ai ragazzi di scuola evidentemente ti potrà mancare qualcosa nell’insegnamento della materia agli anziani.

Pertanto, rinnovando una tradizione di famiglia non ho questi grandi agi e rischio di passare per comunista (ma nessuno in famiglia era comunista, semplicemente al verde, e questo potrebbe spiegare la mia vocazione ecologista) anche se il comunismo non solo è morto e sepolto ma a mio parere non è mai nemmeno esistito sopraffatto da sistemi sostanzialmente dittatoriali che hanno anteposto la necessità del controllo della popolazione al rispetto dell’ideologia.

Credo che nella nostra era si lavori troppo. si faccia troppo poca attività fisica e che gli squilibri sociali provocati dal “libero mercato” non creino per niente le condizioni per le quali la gente possa lavorare di meno e giocare di più, in sintesi pensare di più alla salute e meno ai soldi. Con una piccola critica a mio padre, che ho amato profondamente, potrei dire che se invece di dirmi “Adesso quando vinco al Totocalcio cambio l’auto” mi diceva che quello non era un problema ed io invece dovevo pensare a giocare di più forse avrei meditato meno su cose un po’ pesanti.

Un’ ultima cosa sulle medicine. A sedici anni quando ormai facevo atletica come un disperato sperimentando allenamenti di tutti i tipi per colmare quel gap sui miei rivali che a mio avviso andava assolutamente colmato ebbi un ritorno di fiamma dello “spirito malaticcio”. Passai mesi e mesi su una bronchite recidivante fra farmaci nuovi e pause dalla corsa per non peggiorare la situazione. Un giorno un certo farmaco nuovo, quando ancora la situazione era decisamente nebulosa, mi provocò una crisi bradicardica piuttosto pericolosa. Per telefono il medico mi disse subito di interrompere un certo farmaco. Io, zelante, interruppi l’assunzione di quello e pure di tutti gli altri svariati farmaci. Contemporaneamente, in modo autonomo, decisi di riprendere a correre. Culo (oppure sfortuna e spiego il perché) ma cominciai a stare subito meglio ed in poco tempo ne venni fuori riprendendo ad allenarmi ancora più di prima in modo folle ed entusiasmante.

Culo o sfortuna non lo so perché purtroppo un certo scetticismo sulla medicina mi è rimasto e ancora oggi e se per qualcosa mi viene prescritta una terapia un po’ troppo massiccia con i farmaci sono scettico e tendo a trattare con il medico come se fossi un suo collega, con una diffidenza che talvolta non fa bene al rapporto paziente-medico. Però l’importante è non prendersi in giro e sono convinto che raccontarsi le strategie di cura (come quelle di allenamento e preparazione fisica) sia fondamentale per capirsi.