NECESSITA’ E POSSIBILITA’ NELLO SPORT

Probabilmente quando ho affermato che nell’atletica siamo la DDR del ventunesimo secolo ho esagerato, ho fatto il titolo ad effetto di stampo giornalistico, però c’è indubbiamente un dato di fatto in questa esplosione di risultati nell’atletica italiana che non corrisponde ad un avvicinamento in massa allo sport da parte della gioventù. Bisogna ammettere che l’atletica sta benino rispetto agli altri sport anche numericamente nella base pur se con una pratica che nella media non è per niente esasperata per non dire che c’è un impegno in termini di allenamento che è circa la metà di quello che adottavano i normali praticanti qualche decennio fa.

Resta il fatto dei grandi risultati, a livello assoluto ed anche a livello giovanile, che per conto mio si giustificano con una grande base motivazionale dettata da situazioni di emergenza che la gioventù di altre nazioni vive probabilmente in modo meno drammatico. Altro dato interessante: se andate a guardare la mappa dei risultati il sud non ha nulla da invidiare al nord. Se il sud è in ritardo quasi in tutto rispetto al nord, a dispetto anche di una minore capillarità e qualità degli impianti sportivi la presenza di ottimi atleti non è per nulla più bassa che al nord, anzi, probabilmente sulla percentuale dei praticanti pure più elevata. E allora questa cosa ci può far pensare come lo stato di necessità sia effettivamente una grande molla perché i giovani del sud vivono questo precariato, questa incertezza nel futuro, in modo ancora più drammatico di quelli del nord.

Ci potremmo giustamente chiedere se questo è il modo ideale per fare sport e con riferimento ai risultati di alto livello la risposta è tragicamente affermativa: è lo stato di necessità che ti mette le ali per portarti ai grandi risultati e ti fa sopportare i sacrifici di una preparazione che ad alti livelli è decisamente impegnativa e molto spesso ai limiti del fisiologico.

L’ideale, anche se l’ideale non esiste nemmeno nel mondo delle favole, sarebbe che la gioventù italiana praticasse sport perché può praticarlo, non perché “deve” praticarlo. In questa situazione il monito della classica professoressa troppo esigente di stampo antico che sapendo che il ragazzo si allena tutti i giorni, visto che fatica ad arrivare alla sufficienza nella sua materia, sbotta “Sarebbe bene che tu cominciassi a pensare al tuo futuro” produce una reazione strana di questo tipo: “Bene, allora visto che devo pensare al mio futuro o intensifico ulteriormente la preparazione per andare nell’elite degli atleti con certe ambizioni oppure mollo tutto e mi metto a studiare di più” e questo è il modo peggiore per fare sport ed è il motivo per il quale io mi infurio con la scuola italiana dove la maggior parte dell’apprendimento avviene a casa studiando i libri di testo e non a scuola dove dovrebbe essere giustamente guidato e facilitato.

Il ragazzo italiano che fa sport ha paura di dedicare troppo tempo allo sport salvo che non ottenga risultati talmente altisonanti che possano far pensare a sogni di gloria.

In un paese evoluto i ragazzi praticano sport e tutti i giorni, non due volte la settimana, con passione e senza la necessità di diventare campioni. Lo sport che fa bene alla salute è quello dove se ottieni i risultati bene, altrimenti sei contento lo stesso e prosegui con gioia ed entusiasmo la pratica quotidianamente. Quello che ti sprona a diventare un campione prima possibile è una valvola di sfogo di stampo sovietico dove la propaganda politica a mezzo dello sport era fondamentale e premiava in modo clamoroso i campioni dello sport. Quello spirito che nell’est europeo non esiste più (ed i “non risultati” lo testimoniano) ma sopravvive in una nazione un po’ disagiata che, guarda a caso, ha la maglia dello stesso colore della vecchia DDR. Siamo noi.