EFFETTO GANCIO

Non vedrete scritto nulla sui libri di sport dell’effetto “gancio”. Forse quando si tratta di pugilato, il famoso gancio nel pugilato ma l’effetto “gancio” è tutt’altra cosa ed in letteratura non ce n’è traccia. Eppure gli atleti ne parlano, eccome se ne parlano. quante volte soprattutto sulle piste di atletica si sente dire “Sono al gancio…” e vuol semplicemente dire che l’atleta è al massimo, di più di così non ce la fa. Non è un ‘espressione postiva, anzi è di sconforto, perché l’atleta si lamenta di essere al gancio, non ne è per niente contento. Potrebbe essere contento perché se è al massimo vuol dire che sta dando tutto, che è in buona condizione e che il suo organismo sta rendendo bene. Invece è arrabbiato, ed è questo il vero “gancio” perché quel rendimento massimale non sta dando i frutti sperati. L’atleta dice che è al “gancio” quando, nonostante stia rendendo al massimo delle sue possibilità o comunque spingendo al massimo delle sue possibilità, non sta ottenendo una prestazione soddisfacente, almeno per quanto si era prefisso, pertanto vorrebbe fare meglio o in termini di piazzamento o di risultato tecnico o anche su entrambi i fronti.

Ecco, mentre per ripararsi dal gancio del pugilato esiste tutta una serie di espedienti che nelle accademie pugilistiche vi sanno spiegare, per sottrarsi al gancio dell’atleta che è al massimo ma vorrebbe andare ancora di più c’è solo una strategia: rallentare. E’ la strategia meno spontanea che ci sia perché sei lì che vuoi dare di più ma se non trovi il coraggio di dare ulteriormente di meno, almeno per un istante, non riesci a sganciarti.

Succede sempre all’operatore che ha fatto gas sulla mia auto a metano che non essendo nata a metano ha il bocchettone del gas nel cofano. Per chiudere il cofano se prima non lo alzo non si chiude. La volontà istintiva è di abbassarlo per chiuderlo (come si fa nelle auto moderne) ma nella mia auto che non è proprio moderna se prima non alzi ulteriormente il cofano non lo sganci.

L’atleta al gancio ha bisogno di fare questa semplice mossa per togliersi dal gancio, semplice ma non istintiva perché si tratta di rallentare proprio quando vorresti accelerare.

L’atleta al “gancio” non è decontratto (altro modo di dire che è solo un’immagine perché in realtà la contrazione muscolare c’è altrimenti non stiamo nemmeno in piedi…) ed è in condizione psicologica non rilassata perché si sente in deficit di rendimento. Per certi versi potremmo dire che lo sport è crudele perché mentre il primo che non ha bisogno di andare più forte è anche in grado di aumentare perché generalmente non patisce l’effetto gancio, il secondo che vorrebbe aumentare per raggiungere il primo non ci riesce perché pure in preda dell’effetto gancio.

Non è sempre così per fortuna, altrimenti tutte le corse di mezzofondo sarebbero terribilmente noiose, e a volte accade che, mentre il primo anche se è in testa inizia pian piano a percepire un effetto gancio, il secondo, soprattutto se si rende conto che il primo è vittima di questa situazione, si “sgancia” automaticamente e comincia a sentire pian piano che la sua corsa è efficace, per nulla deficitaria e gradatamente, controllando la situazione (ed è questa la maestria che si prende quando ci si libera dal gancio), va a pigliare il primo che, agganciato sempre più, probabilmente non avrà la forza di reagire.

Insomma il confine psicologico fra atleta al gancio e atleta non al gancio è sottile e labile però, varcato questo confine gli effetti fisici che ne conseguono sono di vasta portata e ne conseguono grandi variazioni di rendimento. Questo discorso, che può essere valido applicato ad una singola competizione e lo spettatore assiste proprio in diretta all’alternarsi di queste dinamiche in pochi minuti, si può verificare anche in grande scala nel contesto di un piano di preparazione e dunque diluito per mesi in problematiche che si manifestano giorno dopo giorno fin che in un modo o nell’altro si arriva alla risoluzione grazie a qualche variazione nella preparazione che a quel punto si rivela quasi come “miracolosa”.

L’atleta al gancio non ha bisogno di fare più fatica, non ha bisogno di spingere sempre di più, al contrario ha bisogno di rilassarsi, di staccare un attimo il piede dall’acceleratore per cambiare marcia. Tornando all’esempio con le automobili che tanto detesto perché ci rovinano l’esistenza ma che a volte conosciamo più di noi stessi, sull’automobile se non stacchi il piede dall’acceleratore non riesci a cambiare marcia e così facendo rischi di andare in fuori giri se stai già viaggiando ad una velocità che richiede una marcia superiore.

Questa dinamica dello stacco dal gancio ricorda un po’ la necessità di uno dei punti salienti della preparazione che vengono trascurati un po’ troppo spesso. Nella preparazione sportiva ci si prepara per ottenere livelli di rendimento sempre superiori, ma ci si prepara anche per riuscire ad ottenere buoni livelli di rendimento con fatiche sempre minori. Uno degli obiettivi del grande atleta è anche quello di riuscire a svolgere il suo compito senza far troppa fatica altrimenti rischia di essere sempre al “gancio” o perlomeno di non riuscire a staccarsi da questo gancio appena si manifesta per il semplice motivo che non è in grado di rallentare. Il grande campione sa rallentare e talvolta lo fa con una maestria tale che gli altri concorrenti non si rendono nemmeno conto che ha rallentato.

Il mio riferimento alla società in generale è scontato, troppe volte mi diverto a fare confronti fra sport e società civile e qui il confronto è fin troppo facile. Molti atleti nello sport si sentono spesso al gancio perché questa è la società del gancio. Nella società dello stress e della fretta ti senti sempre al gancio anche quando non sei sul campo sportivo. Ecco, allora impariamo dallo sport a sganciarci perché è chiaro che quando si lavora al gancio non si lavora in una situazione ottimale e fa pure male alla salute.