Vi siete mai chiesti perché le corse su strada straripano di partecipanti di ogni età, nelle palestre sollevano pesi anche personaggi che di forza ne hanno da vendere e non praticano nessuno sport e nelle piste di atletica ci vanno tanti bambini ma non tanti adulti?
Si potrebbe pensare che la corsa su strada sia l’attività che fa meglio agli adulti, che la tonificazione in palestra sia indispensabile per una gran parte di popolazione, anche se magari non pratica nessuno sport e che il luogo dove i bambini possono giocare meglio sia la pista di atletica. Nulla di tutto ciò, la risposta è una sola: business.
La corsa su strada è un business colossale e per alimentarlo si è diffusa l’idea che più chilometri fai e meglio ti fa alla salute. In effetti in una corsa lunga più di venti chilometri (la classica “mezza”) di podisti che ne stanno anche diverse migliaia, non altrettanto su un “quasi breve” 5 chilometri.
Per quanto riguarda la palestra si è diffusa l’idea che è proprio il caso di essere ipermuscolati come se dovessimo imitare tutti le gesta del grande Leonardo Fabbri che però lancia più distante il peso proprio adesso che è meno ipermuscolato e più leggero (perché anche lì la tecnica la fa da padrona). Questo messaggio passa anche a gente che non pratica nessuna attività sportiva e pertanto va in palestra con finalità che non sono facilmente comprensibili.
Sulle piste di atletica trovi un gran numero di bambini che probabilmente potrebbero arricchire il loro alfabeto motorio meglio al classico campo giuochi dove ci sono meno regole di gioco e la fantasia regna sovrana, ti attenderesti di trovare un bel numero di persone di età fra i 15 ed i 30 anni che pratica atletica ma mentre di quindicenni per fortuna qualcuno ce n’è di trentenni ce ne sono gran pochi quasi che trent’anni per praticare l’atletica fossero troppi. Non solo, ma dal momento che nelle corse su strada vedi gente che corre anche a 70 anni senza farsi nessun problema ti aspetteresti di vedere anche qualche qualche amatore che frequenta la pista di atletica. Ebbene gli amatori in pista sono gran pochi e il fatto che tutto sommato siano più dei trentenni (i quali a volte sono drammaticamente già… amatori) non è per niente una consolazione. Insomma in pista non c’è il business, o meglio c’è solo per i bambini sottratti al campo giuochi ed alle aree libere di quartiere che purtroppo non esistono più perché ci sono ovunque auto parcheggiate fin su per i muri.
Una cultura vera dello sport dovrebbe scavalcare il business e allora bisognerebbe liberare le palestre da gente che cerca l’ipertrofia muscolare senza nessun motivo valido, restituire ai ragazzini almeno fino ai 10-12 anni la gioia del gioco libero senza adulti che rompono le scatole e tentare di far capire agli adulti che anche se non corri per più di 15 chilometri consecutivi puoi comunque essere considerato uno sportivo e non è necessario correre i 100 in meno di 10″5 o saltare in alto più di due metri per poter aver voglia di frequentare un impianto per l’atletica. Chiaro che se vengono fuori queste cose ci si accorge che gli impianti sportivi sono un po’ pochini, che sulle strade ci riesci a correre la domenica mattina ma se ci provi negli altri giorni è pericoloso ed è meglio che ti vai a chiudere in palestra e che i ragazzini se invece di immergersi nello sport con regole già ad 8 anni aspettano i 12 o 13 anni hanno molte più possibilità di resistere come sportivi veri fino a quei fatidici 25-27 anni nei quali si vede che prestazioni sono in grado di ottenere cercando di praticare sport davvero e non come amatori precoci.
Non si può fare la battaglia al business perché ha basi solide e ben motivate dal tornaconto di un discreto numero di operatori. Si può tentare di diffondere la cultura dello sport vero che dribbla il business e punta alla sostanza più che ai lustrini, ma con questo tipo di cultura la massa di persone che dedicano molto tempo allo sport rischierebbe di aumentare in modo esponenziale perché praticare davvero lo sport è bello oltre che salutare e bisogna capire se questo è un lusso che la nostra società vuole permettersi.