UTILITA’ DELLE PROVE RIPETUTE NELLA PREPARAZIONE DELLE CORSE DI MEZZOFONDO

Che le cosiddette “prove ripetute” siano in qualche modo utili per preparare le corse di mezzofondo in atletica ne siamo convinti in molti. La maggior parte dei tecnici di atletica le mettono costantemente nel piano di preparazione dei loro atleti, nel periodo agonistico e preagonistico, come si fa da oltre mezzo secolo e anche nel periodo di preparazione generale, non agonistico, come si fa ormai da quasi mezzo secolo pure lì perché la discriminante fra la prima epoca (ripetute sullo una parte dell’anno…) e la seconda (ripetute tutto l’anno…) è stata una questione di carattere organizzativo più che una questione di carattere tecnico.

Più o meno abbiamo cominciato ad inserire le prove ripetute tutto l’anno con l’avvento delle piste in materiale sintetico. Prima la manutenzione delle piste in carbonella che richiedeva la chiusura delle stesse nei periodi più piovosi impediva agli atleti di poter frequentare la pista tutto l’anno e così le prove ripetute venivano corse, sull’asfalto, sull’erba o comunque su terreni che non potevano garantire la qualità della pista.

A volte ci si interroga sul fatto se sia proprio opportuno insistere con queste prove anche distante dal periodo agonistico ma in ogni caso la presenza di questo tipo di sedute di allenamento è sempre più fitta nelle indicazioni della maggior parte dei tecnici.

Abbiamo tutti la sensazione. e penso che sia un qualcosa in più di un’ illusione. che questo tipo di sedute di allenamento abbia un’utilità pratica. Addirittura vi sono atleti che se per qualche motivo non sono riusciti ad affrontare questo tipo di sedute di allenamento si rifiutano di gareggiare, rilevando una essenzialità delle sedute di allenamento a base di prove ripetute nel contesto della preparazione.

Ecco, non volendo mettere in discussione l’utilità di questo tipo di sedute perché sarebbe semplicemente eretico nel panorama della dottrina corrente, mi limito ad osservare una cosa: noi di queste benedette prove ripetute non possiamo sapere quali sono quelle effettivamente efficaci da un punto di vista tecnico coordinativo e possiamo tranquillamente dire che, in un certo senso, spariamo sul mucchio.

Mi spiego: se da un punto di vista condizionale è tutto il “pacchetto” della seduta ad avere una sua utilità e così per esempio l’atleta che corre 30 volte frazioni di corsa della distanza di 300 metri in una seduta, reagisce, da un punto di vista condizionale, ad un un’unico polpettone che può durare anche più di un’ora così come dura oltre un’ora talvolta anche una seduta di corsa continua, dal punto di vista tecnico il discorso è diverso.

Chi corre per un’ora consecutiva si abitua a stare in movimento continuo per un’ora e per esempio con riferimento alla corsa di mezza maratona ad alti livelli addestra l’organismo specificamente per quell’evento, poi magari dal punto di vista coordinativo produce un qualcosa di molto diverso dal gesto gara ma intanto è stato “specifico” almeno con riferimento alla durata del tipo di impegno.

Chi corre trenta volte i 300 metri in allenamento, e per far questo con pause non troppo brevi ci impiega almeno un’ ora, ha l’ambizione di produrre adattamenti che non siano trasferibili sulle corse estremamente lunghe quali per esempio la mezza maratona ma su corse ben più brevi, i 5000 i 1500 ma anche gli 800 metri.

Un atleta di buon livello può correre trecento metri per 30 volte anche in meno di 45″ sono ritmi decisamente utili per i 1500 metri, di supporto pure per la velocissima corsa degli 800 e fin troppo veloci per la corsa dei 5000 dove, anche se a livello mondiale la velocità non è molto diversa, il tipo di tensioni di corsa in quella seduta di allenamento è ben diverso da quelle di una gara di 5000 metri. Il paradosso è questo: in una seduta di 30 prove sui 300 stai in movimento per un tempo che è più lungo della durata della gara anche di 5 oi 6 volte ma… non costruisci la resistenza specifica per resistere nemmeno per il quarto d’ora scarso del 5000 metri di buon livello.

D’altro canto il correre 30 volte i 300 metri non ti prepara certamente per correre la distanza dei 300 metri in gara perché di simile a quello c’è forse la durata della singola prova ma null’altro.

Il criterio di esplorazione dell’ambito di utilità di questo tipo di prove diventa allora quello della velocità di percorrenza delle prove. Se in una prova sui 300 metri in 45″ corro ad una velocità media di poco superiore ai 24 chilometri all’ora (sarebbero 24 all’ora su una prova lanciata sui 300 metri, con partenza da fermo evidentemente si perdono sei-otto decimi per il lancio) probabilmente andiamo a stimolare adattamenti di tipo tecnico per andature fino ai 26, massimo 27 chilometri all’ora, a velocità superiori a quelle la dinamica di corsa cambia sensibilmente e quel gesto non è più specifico.

Pertanto anche se ho continuato a correre prove di trecento metri ho addestrato un tipo di corsa applicabile sugli 800 metri o anche sui 1500 metri.

Il quesito amletico è il seguente: “Ma se da un punto di vista condizionale tutti quei 30 mattoncini hanno costruito la seduta di allenamento, da un punto di vista tecnico coordinativo quante e quali saranno state le prove veramente utili?”

La mia risposta empirica, basata esclusivamente sulle sensazioni degli atleti e non su dati scientifici illeggibili è che probabilmente solo due o tre di quelle prove sul totale di 30 vanno a bersaglio e ciò che è più disorientante è che di quelle due o tre non sappiamo assolutamente se quelle veramente utili sono le prime tre, le ultime due oppure, per motivi insondabili la dodicesima e la ventunesima. Si va decisamente a casaccio, spariamo sul gruppo e abbiamo la netta sensazione che qualcuna di quelle prove (certamente non tutte) procuri anche adattamenti di carattere tecnico oltre che di tipo condizionale.

Che indicazioni per la prassi ci da questa considerazione curiosa? Nessuna. Però ci deve far riflettere sull’importanza di considerare sempre la qualità dell’allenamento dove non dobbiamo commettere l’errore grossolano di far coincidere il concetto di qualità con quello di intensità perché se così fosse dovremmo preoccuparci costantemente solo di intimare l’esecuzione esclusiva di prove alla massima intensità al nostro atleta senza perdere tempo sulle intensità sub massimali.

Forse un’utilità pratica può essere questa: che ancora una volta ci rendiamo conto di come i criteri di preparazione siano decisamente perfettibili e di quante cose inutili proponiamo noi ai nostri atleti nel tentativo di pigliare, nel mare degli stimoli, quella situazione che innesca l’adattamento concreto, quello di tipo neuronale che non c’entra nulla con la condizione organica labile ed effimera. A volte puntiamo a condizioni organiche eccezionali (che i medici con poche mosse poco raccomandabili sanno costruire meglio di noi) e ciò di autentico che facciamo nel tentativo di costruire tale condizione è che effettivamente in modo quasi fortuito scateniamo degli adattamenti tecnici concreti. Nelle prove ripetute ciò avviene per l’aumento del numero di tentativi. Da quel punto di vista non solo ha senso fare 30 volte i 300 metri ma potrebbe averne anche di più correre 50 volte i 100 metri. Cosa ancora più utile sarebbe individuare quali di quelle prove sono effettivamente utili e tentare di capire il perché ma andiamo decisamente sul complicato.

Siamo più o meno tutti d’accordo sul fatto che le prove ripetute restano utili nella preparazione alle prove di mezzofondo, il perché preciso non l’abbiamo ancora capito e forse non lo capiremo mai. Non è l’unica cosa che facciamo senza aver capito il perché.