Siamo portati a pensare che lo sportivo felice sia quello che consegue i migliori risultati nello sport. Chi vince è felice, chi perde lo è un po’ meno. Nel vero spirito dello sport la faccenda non sta in questi termini perché il vero sportivo è un po’ più presuntuoso di quello che si accontenta di vincere.
Invece di dividere gli sportivi fra quelli che vincono e quelli che perdono io li dividerei secondo una categoria un po’ più eccentrica: quelli che cambiano sé stessi per per provare a vincere di più e quelli che vogliono provare a cambiare lo sport per migliorare la società. Evidentemente questi ultimi sono un po’ più presuntuosi dei primi e si trovano di fronte ad un compito ciclopico per affrontare il quale qualsiasi mega titolo sportivo può essere assolutamente insufficiente.
Vincere nello sport, tutto sommato, non è nemmeno troppo difficile. Riuscire a far vincere lo sport e propagandare lo spirito sportivo leale e schietto nella vita di tutti i giorni è molto più difficile.
Ho sempre detto che l’unica speranza di cambiamento di questa scuola può provenire solo dai giovani sportivi. Però non sono per nulla convinto che gli sportivi in grado di migliorare la scuola possano essere quelli di alto livello, quelli che già a 18-19 anni conseguono risultati di altissimo livello. Tutt’altro, quelli sono già inseriti in un carrozzone dove l’imperativo è vincere e molti di loro, purtroppo, sono disposti a fare anche sconvenienti compromessi pur di giungere al risultato. Sono gli sportivi disposti a cambiare loro stessi per cercare successo in questo sistema sportivo senza la minima presunzione di volerlo migliorare. Quelli che vedo attrezzati a migliorare la società e quindi a partire con buoni intenti anche nella scuola sono quelli che non essendo dei campioni hanno il vero compito di rappresentare lo sport per tutti, lo sport per la salute, lo sport che ogni studente ed ogni cittadino di qualsiasi età e di qualsiasi livello di qualificazione dovrebbe avere il diritto di poter praticare sistematicamente ed in modo autentico in ogni paese civile. Che si alleni tutti i giorni un atleta che salta in alto la misura di 2,15 non stupisce nessuno. Non stupisce nemmeno che questi abbia problemi con lo studio perché talvolta ha dovuto dedicare allo sport anche più tempo di quello che avrebbe voluto dedicare, dando i numeri diciamo anche 30 ore in una settimana invece delle raccomandabili 15 o 20. Ma che si alleni tutti i giorni un ragazzo che salta in alto un metro e 80 centimetri oppure un metro e 70, non è previsto.
E’ facile che il diciottenne che salta un metro e settanta non approdi mai ad un livello prestativo molto significativo tale da fagli lasciare traccia nello sport di alto livello. Ma è nella scuola e nella società in generale che questo “vero” sportivo ( e perché lo chiamo “vero” lo chiarisco subito: è molto più facile fare sport saltando 2,15 e vincendo a destra e a manca che farlo saltando uno e settanta e prendendo un notevole numero di bastonate da atleti che saltano molto di più) può lasciare un segno pesante.
Anche chi non ottiene grandi risultati ha diritto a praticare sport ed è pienamente coinvolto nella battaglia per dare spazio ed opportunità alla gioventù.
Se i giovani in massa, non solo quelli atleticamente molto dotati, reclamano che per stare in salute devono dedicare normalmente 15-20 ore allo sport per settimana allora emerge che i piani scolastici devono essere modificati e che probabilmente dovrà cambiare anche il metodo di studio meno mnemonico e più razionale. In una scuola con trenta ore alla settimana di lezione resta gran poco tempo per rifinire la preparazione a casa e questo non deve essere l’eterno problema cronico dei ragazzi ma il vero problema degli insegnanti che devono riformulare i piani di studio tenendo conto di tutte le esigenze dei ragazzi. Tale cosa va poi riportata in seguito anche nel mondo del lavoro dove la giornata lavorativa non può sforare oltre le 7 ore ed anzi di questi tempi deve essere ulteriormente compressa per dar da lavorare anche al grande numero di disoccupati che non ha nessuna intenzione di passare la vita a richiedere contributi statali per sopravvivere.
Nella società ipercompetitiva il grande campione si ammazza di allenamento, fa meglio di tutti gli altri e si inserisce con armonia ed obbedienza in questo tipo di società. Il non campione lotta per cambiare le regole del gioco e se ce la fa, alla fine è stato più utile ancora del campione perché questa società non ha bisogno di gladiatori obbedienti ma di giovani svegli, attenti e che abbiano la forza e la volontà di cambiare ciò che deve essere cambiato senza subire in modo acritico e con finta obbedienza le regole della società sbagliata che ha esaltato senza misura le differenze sociali e provocato una sperequazione dei redditi clamorosa.
Lo sport è bello perché i grandi campioni fanno cose eccezionali e spettacolari, se le comparse non tengono su il palco, e perché possano fare questo occorre che siano giustamente coinvolte, allora tutto crolla. Per certi versi la massa che fa da sfondo è ancora più importante dei talenti in primo piano ed è proprio nello sport che ciò si capisce ed emerge con grande chiarezza. Sono cose che dovrebbero sempre averci insegnato a scuola ma evidentemente non erano ben riportate sui programmi ministeriali visto che il mito della competizione e della performance ha schiacciato tutto e tutti.