Togliamoci dalla testa un’idea: non si riesce a modificare nulla della tecnica di corsa senza correre. Toglietevi dalla testa l’idea che le cosiddette andature “speciali” che sono esercitazioni propedeutiche alla corsa ma non sono corsa vera e propria, possano avere un qualche effetto sulla tecnica di corsa. Potranno anche avere innumerevoli effetti benefici e portare ad un incremento delle prestazioni ma non possono aver alcun effetto sulla tecnica di corsa perché sono terribilmente aspecifiche.
Più che lecito il quesito contrario: posto che senza correre non riesco a modificare la tecnica di corsa vediamo “cosa” riesco a modificare della tecnica di corsa “solo” correndo e dunque non ponendomi nemmeno il problema della tecnica di corsa.
Intanto una risposta semplicistica ma importante è questa: comunque correndo a certi ritmi si va ad influire sulla tecnica di corsa a quei ritmi, in che modo è difficile capirlo ma l’alta specificità del gesto corsa sancisce il fatto che, anche senza pensarci su, se insistiamo su un certo ritmo di corsa molto probabilmente andremo ad innescare degli adattamenti tecnici su quel tipo di corsa. L’osservazione conseguente a questa è che tale cosa non è vera per altri ritmi di corsa e non c’è un effetto “contagio” anzi è molto improbabile che ciò che si è verificato a certi ritmi si possa verificare anche ad altri ritmi. Per dirla in soldoni difficile provocare dei cambiamenti dell’assetto di corsa a 30 chilometri all’ora continuando a correre a 20 chilometri all’ora. Il velocista che continua a correre lentamente non cambia la sua azione di corsa di quando corre veloce ed il mezzofondista che corre al massimo della velocità per molti tratti brevi non cambia la sua azione di corsa nella corsa a ritmi medi.
Detto questo sarebbe interessante capire quali sono il tipo di modificazioni innescate con una corsa specifica a certi ritmi senza intervento di un operatore esterno, solo eseguendo semplicemente quel tipo di corsa. Risposta ovvia: il tipo di modificazioni non saranno di ordine “estetico” riferite ad un certo modello astratto di corsa.
Questa è una bella osservazione e ci fa comodo perché, udite udite, purtroppo ancora oggi molti interventi sulla tecnica di corsa non sono molto utili perché ispirati ad un presunto modello di corsa “estetico” più che ad una reale esigenza del tipo di corsa dell’atleta in questione.
Se la tecnica di corsa cambia istintivamente senza l’intervento di nessun operatore esterno quasi sicuramente quelle modificazioni saranno provocate da un qualcosa di concreto che ha certamente una discreta utilità sull’efficacia dell’azione di corsa.
Altra osservazione più complicata che può innescare un ampio dibattito e ognuno dirà la sua è “cosa non riesce a modificare istintivamente sulla tecnica di corsa la semplice riproposizione continua di corsa a certi ritmi senza indicazioni di un operatore esterno”. E anche qui la risposta semplicistica è: “Di certo ci sono delle cose che senza le osservazioni di un tecnico sfuggono all’atleta e se non stimolate in un certo modo non possono portare a modificazioni significative dello schema di corsa se non in tempi biblici”.
Riassumendo la questione spinosa: “Pur riconoscendo un’alta specificità del gesto corsa e quindi la necessità di correre a certi ritmi ben precisi per affinare il gesto corsa a quelle andature, siamo pressoché sicuri che le modificazioni del gesto innescate in modo istintivo hanno una qualche utilità, non siamo altrettanto sicuri su quanto provocato con vari stimoli da un osservatore esterno ma possiamo dire che alcune di queste variazioni non si sarebbero certamente verificate con sollecitudine senza l’intervento del tecnico perché non facilmente rilevabili e percepibili dall’allievo senza osservazioni.”
Resto del parere che curare la tecnica di corsa, anche se potenzialmente pericoloso dal punto di vista degli infortuni (si innescano importanti adattamenti muscolari) sia molto utile. Bisogna comunque avere l’umiltà di capire che l’errore è sempre dietro l’angolo e non ci si può banalmente ispirare ad un unico fantomatico modello di corsa ma calarsi pazientemente nella realtà del singolo atleta per capire cosa gli può essere proposto per aiutarlo davvero a correre meglio.
Su questo tema dell’individualizzazione della proposta faccio un esempio che fa un po’ sorridere ma purtroppo calza abbastanza bene su molte situazioni di campo. Avendo a che fare con due atleti alti un metro e 80 centimetri provate a dire di correre sull’avampiede ad uno che calza il 41 (è un piede piccolo per chi è alto 1.80 ma ce ne sono…) e provate a chiedere la stessa cosa a chi ha il 46 (se è alto 180 ha decisamente un gran piedone ma ce ne sono pure lì…). La risposta dei due soggetti sarà decisamente diversa e mentre il primo potrà mettere in pratica il vostro suggerimento in un amen, il secondo potrà provarci fino alla nausea senza riuscirci per giorni e giorni. A quel punto o vi rassegnate al fatto che avete fatto una richiesta che è razionale solo per il primo oppure il secondo vi manderà a quel paese perché correre sull’avampiede a certi ritmi con il “piedone” vi garantisco che è stressante, a volte per niente utile ed un non senso legato ad antiche leggende sulla tecnica di corsa. Bisogna sempre considerare con chi abbiamo a che fare prima di parlare, altrimenti più che dare stimoli utili rischiamo di fare solo caos sull’informazione motoria del povero atleta che ci ascolta.