L’aspetto umano nello sport ha una sua cifra tecnica, anzi, probabilmente l’aspetto umano è proprio la cosa più tecnica che aleggia attorno a tutti i discorsi di sport. Purtroppo non si trovano manuali in giro, nemmeno di pedagogia o di psicologia che ti possano dare i numeri per migliorare l’aspetto umano nelle relazione atleta-tecnico perché questa è una cosa prettamente innata che non trova regole per essere migliorata.
Un mio amico, tecnico di una squadra di provincia, diceva che non conta la qualità della preparazione ma soprattutto che l’atleta sia convinto sulla validità della preparazione e questa convinzione poteva derivare solo da un ottimo rapporto allenatore atleta. Attenzione che non sto dicendo che il tecnico deve saper darla da bere, tutt’altro. Le bugie hanno le gambe corte ed un tecnico troppo sicuro di sé che sfoggia un eccesso di sicurezza ed una saccenteria di alto livello crolla sotto i colpi dell’evidenza e viene smascherato ben presto dalla realtà di campo. Può aver successo anche il tecnico secondo i più poco preparato tecnicamente, poco erudito se ha quell’umiltà fondamentale per mettersi in gioco con l’atleta. E’ evidente che alla fine il tecnico è anche un amico dell’atleta, perché se non lo è il rapporto di collaborazione è destinato a durare ben poco.
Ci si domanda come possa essere tecnica una questione che di tecnico ha ben poco e per rispondere a tale quesito porto in campo nientepopodimenoche il pappardellone della programmazione dell’allenamento sportivo tanto di moda ancora ai giorni nostri anzi forse quasi di moda ancora più che un tempo.
La programmazione fondamentalmente va bene per i computer e un grande programmatore di computer è certamente uno che con i computer ci sa fare. Che questo abbia doti umane proprio non conta, tale cosa potrà forse ostacolarlo o aiutarlo nel rapporto con il suo datore di lavoro ma per quanto riguarda la qualità di base del lavoro è ininfluente, un computer si programma molto bene sia che hai grandi doti umane sia che non le hai. Il computer non ne soffre, Per quanto riguarda lo sport è proprio il contrario: non si programma proprio nulla perché c’è un aspetto umano, che per certi versi è decisamente tecnico, che impedisce ogni programmazione e ne inficia in modo drammatico i risultati.
Ci sono delle sfumature nel riuscire a comprendere il momento psicologico oltre che fisico dell’atleta che sfuggono a qualsiasi programmazione e che diventano determinanti per poter selezionare con correttezza un certo tipo di allenamento. Pertanto quelle che ad un primo esame possono apparire solo come doti umane sono in realtà anche e soprattutto doti tecniche e lo sono anche se non esiste una tecnica di decodificazione delle condizioni psico fisiche dell’atleta.
E’ tale osservazione, anche piuttosto banale, a spiegare perché il buon allenatore non si può costruire facendo leggere libri ma solo con l’esperienza di campo. Non solo ma anche l’esperienza di campo, che in molti casi può essere considerata decisiva, sfugge a delle regole per cui ci può essere l’errore anche dell’allenatore molto preparato che dopo cinquant’anni insiste a commettere gli stessi errori sul piano psico-pedagogico. Ci troviamo di fronte ad una matassa inestricabile perché se i libri sono impotenti in tal senso e anche l’esperienza di campo può non andare a buon fine in certe situazioni può benissimo accadere che un tecnico così così in realtà non diventi proprio mai un buon tecnico. Questa cosa, per fortuna piuttosto rara, può accadere soprattutto se manca l’entusiasmo ma si può benissimo allietare il lettore sulla situazione italiana affermando che la maggior parte degli allenatori italiani prendono compensi o rimborsi spese da fame (ed è per questo che la maggior parte di loro allenano come secondo lavoro e addirittura come semplice passione praticamente non remunerata) e pertanto in tali situazioni l’entusiasmo diventa l’ingrediente numero uno per far andare avanti la missione del tecnico e quindi senza entusiasmo il tecnico sottopagato non ci prova nemmeno.
Molte volte il buon tecnico, poco preparato sulla carta, instaura un ottimo rapporto con gli atleti e produce un ottimo lavoro solo che questo lavoro è poco riconosciuto nel club di appartenenza del tecnico perché non venduto con la necessaria abilità. In quel caso sono i risultati a parlare e talvolta viene fuori che il tecnico è proprio fortunato perché nonostante che non capisca un cavolo continuano a passargli sotto atleti di un certo livello. Questa storia fa il paio con quella del tecnico rinomato che, al contrario, per motivi atavici ascrivibili ad una sfortuna proverbiale non riesce mai ad approdare a risultati di un certo significato con atleti che dovevano certamente produrre risultati notevoli.
La chiave di lettura di queste contraddizioni probabilmente sta in quel “certamente” che non può essere affermato con troppa tranquillità nello sport. Nello sport di certo non c’è proprio nulla e può proprio capitare che emerga l’atleta poco dotato seguito dal tecnico sprovveduto che batte clamorosamente l’atleta molto dotato seguito dal tecnico affermato salvo poi dimostrare che l’atleta poco dotato non era per niente poco dotato ed il tecnico sprovveduto era sprovveduto solo per quegli sprovveduti che hanno osato definirlo così. Lo sport è bello per questo.