SULLO STORDIMENTO DA FATICA

Viviamo in una società che ha il culto della fatica e siamo più o meno tutti storditi dalla fatica. C’è chi pur di sopportare la fatica prende pure farmaci inutili e che potenzialmente fanno male alla salute come se fosse un atleta che deve reggere carichi pazzeschi di allenamento per andare alle Olimpiadi. Invece di studiare come poter fare meno fatica e ridurre gli impegni e le situazioni troppo stressanti, studiamo tutte le strategie possibili per poter resistere alla fatica come se questa fosse la missione per salvare la Patria.

Poi accade che storditi dalla fatica perdiamo completamente il senso della solidarietà e così ci troviamo in auto a superare un ciclista con una manovra pericolosa perché visto che stiamo salvando la Patria con la nostra fretta non possiamo avere molta attenzione per il ciclista che sta andando piano e dunque non salva la Patria.

Non è che ci manchino gli ideali è che l’ideale di solidarietà e correttezza sociale è stato sostituito dal culto della fatica.

Allora lo sport ci deve insegnare che solo con la fatica non si va da nessuna parte. Se è anche vero che un po’ di fatica talvolta è necessaria per affrontare certe situazioni anche e soprattutto nello sport è pur vero che per ottimizzare il processo di allenamento sportivo bisogna soprattutto pensare a ciò che si fa più che mettersi li a fare fatica a vanvera, a fare fatiche inutili, a fare fatiche che possono minare la nostra condizione atletica e la nostra disposizione verso lo sport.

Lo sport ci deve insegnare che anche nella società fare fatica e basta non ha senso, perché non ci si gusta la vita e si rischia di non farla gustare nemmeno a chi ci circonda che subisce i nostri stress. Il bravo lavoratore che fila come un missile nel traffico cittadino non solo non è un bravo lavoratore ma è pure un pericolo pubblico perché per esempio mette a repentaglio la salute del ciclista che magari è lì in mezzo al traffico non perché è in gita di piacere ma forse perché sta lavorando anche lui. Pare che abbia ragione solo chi ha più stress ed ha più fretta degli altri quando, invece chi ha troppa fretta rischia di ostacolare il lavoro degli altri e non può certamente imporre la sua fretta come metodo di lavoro.

Nello studio dell’adattamento nel processo di allenamento c’è una famosa regoletta che mette in correlazione l’adattamento con l’intensità degli stimoli motori somministrati ed il recupero degli stessi. Questa regoletta non dice assolutamente che più è intenso lo stimolo e più è breve il recupero e tanto più sarà ottimale la reazione dell’organismo. Al contrario dice che se lo stimolo è abbastanza intenso il recupero dovrà essere ottimale altrimenti non diamo la possibilità al nostro fisico di reagire nel modo idoneo allo stimolo allenante. Questa regoletta smonta il culto della fatica ed invita invece caldamente a ragionare perché siccome il corretto stimolo per il nostro organismo non sta scritto in alcun libro (io dico per fortuna…) dobbiamo attentamente pensare a cosa stiamo facendo ed in particolare se stiamo facendo “troppo poco” avremo tutto il tempo per accorgercene e per poter aumentare adeguatamente il carico, se invece stiamo facendo troppo dobbiamo stare veramente all’erta perché il rischio di intervenire tardi provocando un pericoloso sovraccarico che è potenziale fonte di infortuni è un rischio terribilmente concreto.

Nello sport possiamo studiare queste cose senza stress, non è il dottore ad imporci un certo rendimento sportivo. Nella società non riusciamo ad uscire dal culto della fatica ed io penso che tale cosa dovrebbe davvero consigliarcela il dottore. Oppure potrebbe essere un rinnovato senso religioso (penso più o meno di tutte le religioni) cosa che purtroppo latita nella società tritatutto perché se il nostro stress fa male anche agli altri (il classico esempio del ciclista vessato dalla nostra fretta) occorre un po’ di sano altruismo che alla fine oltre che agli altri fa bene anche a noi.